Cambio di sesso: sette minori su dieci ci ripensano

Abstract: cambio di sesso: sette minori su dieci ci ripensano, lo stabilisce uno studio condotto in Germania che ha valutato i dati di fatturazione a livello nazionale delle associazioni dei medici dell’assicurazione sanitaria pubblica , concentrandosi sugli assicurati di età compresa tra i 5 e i 24 anni dal 2013 al 2022. Lo studio ha registrato un alto tasso di  risoluzione spontanea della disforia lasciando passare tempo: dopo 5 anni dalla diagnosi desiste il 63,6 per cento; i tassi di desistenza sono superiori al 50 per cento in tutte le fasce di età, variando dal 72,7 per cento nelle ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni al 50,3 per cento nei maschi di età compresa tra i 20 e i 24 anni.

La Verità lunedì 17 Luglio 2024

Sul cambio di sesso parla la scienza: «Sette minori su dieci ci ripensano» 

Studio tedesco svela l’alto tasso di desistenza entro 5 anni dalla diagnosi di disforia

di Francesco Borgonovo

Ogni volta che si discute del cambiamento di sesso per i minorenni c’è sempre qualcuno che prova a chiudere la questione ponendo una domanda a quanti si oppongono alla transizione prima dei diciotto anni. Il dilemma è il seguente: se davvero avete a cuore i bambini e non state agendo per ideologia indicate una soluzione. Ovvero diteci che cosa si dovrebbe fare se non somministrare i farmaci bloccanti della pubertà e assecondare i ragazzi che si identificano nel sesso opposto.

Rispondere, in effetti, non è semplice, anche perché l’attuale correttezza politica non consente di affermare che forse i minori avrebbero bisogno di qualcuno che provasse a mettere in dubbio la loro convinzione. Chi osa dire qualcosa di simile viene subito etichettato come transfobico e messo a tacere. Che fare dunque? Beh, una soluzione forse si profila all’orizzonte. E’ decisamente probabile che la cosa migliore da fare nei casi di minori con disforia di genere sia, semplicemente, aspettare.

A suggerirlo è un recente studio tedesco firmato da Christian J. Bachmann; Yulia Golub; Jakob Holstiege e Falk Hoffmann. Si intitola Disturbi dell’identità di geere tra i giovani in Germania: prevalenza e tendenze, 2013-2022 e fornisce alcune fondamentali indicazioni.

Come spiegano gli autori, lo studio «ha valutato i dati di fatturazione a livello nazionale delle associazioni dei medici dell’assicurazione sanitaria pubblica in Germania, concentrandosi sugli assicurati di età compresa tra i 5 e i 24 anni dal 2013 al 2022. L’Istituto centrale per l’assicurazione sanitaria pubblica in Germania ha valutato la prevalenza della diagnosi  ICD.10 F64 (Disturbo dell’identità di genere) e lo ha stratificato per età e sesso.

Inoltre, in una analisi di sensibilità sono stati considerati i disturbi mentali e comportamentali legati allo sviluppo e all’orientamento sessuale».

Insomma, gli esperti tedeschi hanno lavorato su dati più precisi attualmente a disposizione e ne hanno cavato risultati molto interessanti, ben riassunti da Marina Terragni sull’ottimo sito Femministpost.it.

«In Germania, come in tutti i paesi occidentali, si è registrato un aumento vertiginoso de casi di disforia e di incongruenza di genere, soprattutto tra le bambine», spiega Terragni. «Lo studio evidenzia un aumento di otto volte la diagnosi in un decennio e un registro internazionale ha mostrato un aumento da 47 su 100.000 a 479 su 100.000 tra i sedicenni. Il oltre il 70 per cento dei casi sono presenti comorbidità psichiatriche (disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi di personalità, instabilità emotiva di tipo borderline, Adha e Ptsd). Tra le ragioni dell’aumento dei casi lo studio include anche la possibilità di sovradiagnosi».

Questi primi numeri sono determinanti, poiché mostrano intento il clamoroso aumento dei casi di disturbi dell’identità di genere che dovrebbe per lo meno far sorgere qualche dubbio su un possibile contagio sociale o comunque dovrebbe suscitare un dibattito molto più ampio e serio di quello attualmente in corso in Europa. Ancora più rilevanti, tuttavia, sono i dati sui disturbi psichiatrici, i quali da soli basterebbero a demolire il cosiddetto «approccio affermativo» e i postulati sella esistenza della fluidità di genere.

E’ possibile, infatti, che alcuni casi di disforia  siano legati ad altri problemi che nulla hanno a che fare con i diritti trans. Ma ci sono dati ancora più importanti su cui giustamente la Terragni mette l’accento. «Lo studio», spiega, «ha registrato un alto tasso di desistenza, in buona sostanza la risoluzione spontanea della disforia lasciando passare tempo: dopo 5 anni dalla diagnosi desiste il 63,6 per cento; i tassi di desistenza sono superiori al 50 per cento in tutte le fasce di età, variando dal 72,7 per cento nelle ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni al 50,3 per cento nei maschi di età compresa tra i 20 e i 24 anni. L’alto tasso di desistenza osservato, con il 63,6 per cento degli individui che non mantengono la diagnosi dopo cinque anni, sottolinea la natura in gran parte transitoria dell’ideazione transgender durante l’infanzia e l’adolescenza».

Eccoci al cuore di tutta la questione. Circa il 70 per cento dei casi di disforia si smonta nell’arco di cinque anni. Ciò significa che aspettare è la scelta migliore. Somministrare ai minori farmaci bloccanti della pubertà serve soltanto a complicare il problema e causare danni fisici ai ragazzi e alle ragazze.

Tradotto: se si medicalizza uno stato passeggero, si rischia di renderlo permanente o comunque di rendere permanenti le conseguenze dell’azione farmacologica e chirurgica. Prima ce ne faremo una ragione a dispetto delle intemerate degli attivisti trans e prima inizieremo a prendersi cura realmente dei bambini, invece di rovinare loro la vita in nome dell’ideologia.