“Cannabis e legalizzazione: le ragioni del no”  

Tempi 9 Luglio 2022

Convegno a Milano con Locatelli, Costa, Mantovano e Chiaron. Dove si è espressa una voce diversa da quella che va per la maggiore. E basata su argomenti e dati

Rachele Schirle

«Il nostro non è un convegno “contro” qualcuno, ma un incontro per esprimere un’altra voce, che è la voce di tanti. Il dibattito è fecondo quando è basato su argomenti e su dati. Quindi noi ribadiamo la necessità che sulla droga serva più prevenzione e un recupero integrale delle persone.

Vanno valorizzate le comunità di recupero, che di queste persone si occupano». Queste le parole con cui Roberto Respinti, del Centro Studi Livatino, ha chiuso l’incontro organizzato a Milano, “Cannabis e legalizzazione: le ragioni del no”, organizzato dal Centro Studi Livatino e da Sui tetti.

Un convegno che si è svolto in contemporanea a quello, di tono opposto, svoltosi sempre nel capoluogo lombardo col sostegno del Pd. Proprio in questi giorni inizia alla Camera dei deputati l’iter di discussione della proposta di legge che mira alla legalizzazione della coltivazione e della detenzione della cannabis.

La linea di confine è la concezione della libertà

Nella sala del Pirellone si sono dati appuntamento i contrari anche se, come ha spiegato il magistrato Alfredo Mantovano (autore, fra gli altri, del volume Droga. Le ragioni del no), «la vera questione non è determinare quanti milligrammi si debbano consentire o determinare l’importo delle sanzioni.

La vera questione è cosa intendiamo per libertà. Questa è la linea di confine. Chi vuole liberalizzare come in Olanda o in Colorado ha un’idea di libertà che è “fare quel che si vuole”. Noi pensiamo che libertà è porsi nelle condizioni di rispettare la propria dignità».

A confrontarsi sul tema sono stati chiamati diversi esperti: Carlo Locatelli, direttore del Centro Antiveleni-Centro Nazionale di Informazione Tossicologica, Antonio Maria Costa, già Vice segretario Onu e Direttore Esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine-UNODC, il già citato Mantovano, Vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, e Elena Chiaron, psicologa e esponente della Comunità Promozione Umana Onlus di Milano.

Ragioni mediche

Locatelli ha illustrato i motivi per cui, da un punto di vista strettamente medico, la distinzione tra droghe leggere e pesanti è artificiosa.

Citando studi e numeri, il direttore del Centro Antiveleni ha voluto fare un discorso di verità per smontare uno dei più diffusi miti sulla cannabis.

Non è così: i danni esistono e sono pesanti. E ad essere colpita oggi è una fetta di popolazione sempre più giovane e mal informata, poco consapevole dei rischi cui va incontro. 

Costa ha proseguito sulla stessa linea, affrontando di petto quella che ha definito la «lobby della cannabis».

Oggi la diffusione della droga avviene grazie al sostegno della criminalità organizzate e delle banche («in galera ci vanno solo i piccoli spacciatori, perché non anche i banchieri canaglia?») e oggi anche di alcuni Stati («ma il danno provocato dalla cannabis ha un costo sociale che la società ha il dovere di contrastare»).

Per Costa è indispensabile il lavoro di scuola e famiglia prima, e delle comunità di recupero dopo.

Un ragionamento illogico

Mantovano ha invitato i sostenitori della legalizzazione a farsi un giro per le strade degli Stati americani dove la cannabis è stata consentita.

«Vi troverete schiere di giovani che girano senza meta, e tassi di incidenti e ricoveri più alti». D’altronde, si è chiesto il magistrato, «come si può definire leggera una sostanza che causa certi effetti?

Quando ho iniziato a svolgere la mia professione, la percentuale di thc era dell’1 – 2 per cento. Oggi è 10, 20, fino a 78 volte tanto. Come si può pensare che liberalizzando si sconfiggeranno i trafficanti? È un ragionamento illogico.

Non appena lo Stato fisserà dei limiti, la criminalità organizzata offrirà la stessa sostanza in dosi maggiori, a minor prezzo e ad acquirenti più giovani».

In conclusione ha parlato Chiaron che, forte di un’esperienza di 25 anni sul campo, ha portato la sua testimonianza di chi sa che dietro l’uso di queste sostanze c’è spesso una storia di sofferenza.

E che però anche sa che, sebbene spesso la realtà sia dura e difficile, le comunità vanno sostenute perché sono gli spazi «per abitare una cura fatta di pratiche incarnate».

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