La Croce quotidiano 16 marzo 2018
Qual è il contributo dell’Italia al bilancio dell’Ue e quanti finanziamenti riceve? Ogni anno il saldo negativo del nostro Paese ammonta a oltre 5 miliardi di euro! Mettendo in fila gli ultimi sette anni di rapporti finanziari Italia-Ue (2009-2015), emerge un altro dato sconcertante: siamo “contributori netti” complessivamente dell’Unione per ben 38,6 miliardi di euro!
di Giuseppe Brienza
Sapete perché è necessario analizzare la dinamica dei rapporti finanziari tra Italia e Unione Europea? Perché con l’ausilio di dati oggettivi come sono i numeri, si può cercare di fare un bilancio su quanto ci conviene oggi, dal punto di vista esclusivamente finanziario, l’appartenenza all’Ue.
Bene, facendo un paragone tra quanto versiamo ogni anno a Bruxelles per il funzionamento dell’Unione e quanto riceviamo dall’Europa sotto forma di trasferimenti e contributi ne risulta un saldo fortemente negativo. Negli ultimi sette anni, infatti, il nostro Paese ha versato nelle casse Ue 111miliardi di euro, ricevendone indietro circa 73. Siamo quindi contributori netti dell’Unione per ben 38,6 miliardi di euro in sette anni. 5 miliardi di euro all’anno è quanto paghiamo per rimanere nell’Unione se ci fermiamo ai soli saldi finanziari tra quanto diamo e quanto riceviamo.
I conti sono leggermente diversi se si guarda alla Relazione annuale della Corte dei Conti sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari. Il “saldo netto” per il periodo 2009-2015 tra versamenti fatti alla Ue e accrediti ricevuti è per la Corte di 37,747 miliardi, per una media di 5,4 miliardi all’anno di differenza tra quanto l’Italia ha dato e quanto ha ricevuto da Bruxelles (cfr. “I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi comunitari”. Relazione annuale 2017).
«L’Italia – come riporta l’ultimo rapporto di “ImpresaLavoro”, centro studi di orientamento liberale fondato dall’imprenditore Massimo Blasoni – non è l’unico contributore netto dell’Unione ma rimane comunque il quarto paese per contribuzione netta in valore assoluto. Siamo in compagnia di grandi economie continentali come Germania, Regno Unito e Francia. Sono, invece, percettori netti, cioè ricevono da Bruxelles più di quanto versano, tutti i paesi entrati nell’Unione in seguito all’allargamento ad est e alcuni membri storici come la Spagna (14 miliardi in sette anni), il Portogallo (20 miliardi), la Grecia (30 miliardi)» (Centro Studi ImpresaLavoro, Unione Europea: dal 2009 al 2015 Italia contributore netto per 38,6 miliardi di euro, Roma 30 marzo 2017 – https://impresalavoro.org).
Sui conti pesa poi l’imminente entrata in vigore della Brexit. Il Regno Unito, infatti, è stato contribuente netto dell’Unione per ben 54 miliardi di euro negli ultimi sette anni, una cifra che rischia ora di essere ripartita tra gli altri contributori netti, Italia compresa, allargando ancora di più il divario tra quanto versiamo a Bruxelles e quanto riceviamo dall’Europa.
Sarebbe allora il momento di smettere, come ha detto giustamente il presidente d’ImpresaLavoro Blasoni, di sedere nei consessi europei «con la timidezza dello scolaro che non ha fatto i compiti per casa quando invece dell’Unione siamo un pilastro irrinunciabile, oltre che un paese fondatore.
L’andamento della nostra economia negli anni dell’euro è stato sempre peggiore della media dei nostri partner continentali, eppure il nostro paese non si è sottratto ai suoi compiti. Ha versato nelle casse dell’Unione più di quanto ha ricevuto in cambio, ha partecipato a strumenti di stabilità finanziaria di cui non ha mai usufruito, ha pagato con l’instabilità politica interna e un’endemica debolezza economica la sua partecipazione a mercato e moneta unica. La posizione di contributori netti dovrebbe garantirci maggiore autorevolezza nella trattativa con gli altri paesi: un vantaggio sprecato in questi anni dalla debolezza dei nostri governi».
Considerando inoltre che il nuovo bilancio dell’Unione 2020-2027 prevede il finanziamento di nuove politiche europee delle quali faranno in primo luogo le spese i fondi di coesione e quelli agricoli, si capisce bene come le finanze pubbliche italiane rischiano grosso. Bruxelles punta a chiudere il negoziato entro le elezioni europee del 2019 e, quindi, occorrerà essere consapevoli della posta in gioco.
Dal nostro punto di vista, suggeriamo di fare una valutazione seria sull’ulteriore incremento dei finanziamenti per il programma Erasmus, acronimo di “European Region Action Scheme for the Mobility of University Students”, giunto lo scorso anno al suo trentesimo anno di vita e finalmente messo non ideologicamente sotto osservazione nella sua effettiva valenza politico-culturale (cfr., ad esempio, l’inchiesta della televisione francese “France24”: “30 years of Erasmus: Financing fun or funding employment?”, 16-01-2017 – www.france24.com).
L’Erasmus, come noto, è un programma di mobilità studentesca dell’Unione europea, creato nel 1987 ma su cui, evidentemente, dell’eurocrazia di Bruxelles qualcuno guadagna un po’ troppo. Infatti, in conformità ad un trend di costante aumento non interrotto nemmeno durante l’ultimo decennio di crisi economica globale, nel prossimo bilancio Ue si parla di più che un raddoppio del budget e, da 14 miliardi di euro, si dovrebbe passare ad un finanziamento europeo di 30 miliardi (ma qualcuno ha persino ipotizzato 70).
Dalle parole di un ex studente francese che l’ha personalmente frequentato e ci ha scritto pure un saggio-denuncia di grande successo, da quando c’è la globalizzazione perché in Erasmus si parte «per scoprire culture e cose nuove, ma alla fine quello che trovi è un monoculturalismo dominante. […] Siamo risucchiati dalla noia. Credo che i giovani cerchino di riempire questo stato d’animo seguendo la massa: una festa perenne dove tutti si divertono per nulla» [Léos Van Melckebeke, Homo Erasmus. Critica della letargia nomade, éditions Dasein, Odogno (Suisse) 2013].
Questi soldi sono quindi ben spesi? Non sarebbe il caso di opporsi agli aumenti tanto più che, secondo stime, essi saranno coperti tagliando i fondi di coesione e la politica agricola, entrambe di grande interesse per il nostro Paese?
Ma come sono richiesti i contributi finanziari degli Stati membri da parte dell’UE? L’apporto di ciascuno al bilancio dell’Unione è stabilito in base alle rispettive possibilità nazionali: più grande è l’economia del Paese, maggiore il suo contributo, e viceversa. Guardando alle entità numeriche dei rapporti finanziari dell’Italia con l’UE, stando ai dati del 2016, parliamo dei seguenti ordini di grandezza:
– spesa totale dell’UE in Italia: 11,592 miliardi di euro;
– spesa totale dell’UE in % del reddito nazionale lordo dell’Italia (RNL): 0,69%;
– contributo complessivo dell’Italia al bilancio dell’UE: 13,940 miliardi di euro;
– contributo dell’Italia al bilancio dell’UE in % del suo RNL: 0,83%.
Il denaro versato nel bilancio dell’Unione europea dall’Italia contribuisce a finanziare programmi e progetti in tutti i paesi dell’UE: dalla costruzione di strade alle sovvenzioni per la ricerca, dalla tutela dell’ambiente al finanziamento delle spese per il personale e per le strutture dell’Unione.
Esaminando una delle maggiori “poste attive” dell’appartenenza dell’Italia all’Ue, vale a dire il settore delle politiche di coesione, bisogna dire che, riguardo alla pianificazione europea del 2014-2020 il nostro Paese, pur essendo il secondo in assoluto, dopo la Polonia, per quantità di risorse assegnate (oltre 42 miliardi di euro), è anche il primo, in valore assoluto, per cofinanziamento nazionale, pari a circa 31 miliardi di euro.
Tutto ciò si traduce in un valore complessivo della politica di coesione comunitaria 2014-2020 per l’Italia di oltre 73 miliardi di euro, di cui il 58% è di provenienza comunitaria e ben il 42% di origine nazionale. Il che in pratica vuol dire che l’Ue non supporta il nostro Paese come le necessità di coesione economico-sociale richiederebbe. E ciò non sembra adeguato se si considera il ruolo storicamente ricoperto dal nostro Paese come contributore netto dell’UE: dal 1994 al 2015 l’Italia ha contribuito al bilancio europeo per oltre 285 miliardi di euro, ricevendo “in cambio” finanziamenti per meno di 200 miliardi di euro.
In termini medi stiamo parlando di un saldo negativo di 4 miliardi di euro all’anno (fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati RGS, anni vari). Ricordiamoci, però, e ricordiamolo auspicabilmente sui prossimi tavoli negoziali Ue, che i contributi versati dall’Italia all’Ue non sono “a fondo perduto”!