Lunedì 3 Giugno 2019
Sul tema interviene anche padre Costa SJ: “Ma la situazione è complessa, la gente continua a partire”
di Federico Cenci
Ciascuno deve vivere nel suo paese. Come un albero, ciascuno ha il suo suolo, il suo ambiente in cui può crescere perfettamente”. Parole e musica del card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, africano della Guinea, considerato da più parti un baluardo del millenario insegnamento della Chiesa cattolica da opporre a venti secolari che soffiano come una burrasca.
La sua voce irrompe anche sul tema spinoso dell’immigrazione. È intervenuto di recente, nel corso di un’intervista al giornale francese Valeurs Actuelles, con un messaggio che somiglia tanto a una risposta nei confronti di chi percepisce un approccio immigrazionista da parte delle istituzioni ecclesiastiche.
Niente frontiere aperte in modo indiscriminato, niente sostegno a chi alimenta con soldi e assistenza logistica flussi migratori incontrollabili, niente esegesi biblica dell’immigrazione. Piuttosto, un appello che si pone sulla scia di quanto più volte affermato da Papa Francesco – anche durante il suo recente viaggio ecumenico in Romania – sulla necessità di difendere le culture specifiche dei popoli dall’omologazione del globalismo.
Il “grande rischio” per l’Europa
Il porporato guineano, infatti, spiega: “Meglio aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi”.
Nell’intervista, Sarah parla della Polonia, dove afferma di essere stato in visita: “Essa – la sua riflessione – è libera di dire all’Europa che ciascuno è stato creato da Dio per essere messo in un ben preciso posto, con la sua cultura, le sue tradizioni e la sua storia. Questa volontà attuale di globalizzare il mondo sopprimendo le nazioni, le specificità, è pura follia”.
Il cardinale non lesina poi critiche all’Unione europea. “Voi siete anzitutto polacchi, cattolici, e solo successivamente europei. Voi – il suo invito – non dovete sacrificare queste due prime identità sull’altare dell’Europa tecnocratica e senza patria”.
E poi il siluro: “La Commissione di Bruxelles non pensa che alla costruzione di un libero mercato al servizio delle grandi potenze finanziarie. L’Unione europea non protegge più i popoli, protegge le banche”.
Si potrebbe interpretare quello di Sarah come un controcanto rispetto a quanto intonato da altri esponenti ecclesiastici. “Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati, senza lavoro, senza dignità… È questo ciò che vuole la Chiesa?”, si chiede il prefetto.
Che aggiunge: “La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massa. Se l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità – che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo”.
Il magistero dei pontefici e l’appello dei vescovi africani
L’atteggiamento del card. Sarah ricalca un passo del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del rifugiato del 2013. Ecco la celebre citazione di Ratzinger: “Nel contesto socio-politico attuale (…), prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”.
Linea di continuità con quanto il suo predecessore, San Giovanni Paolo II, affermava al Congresso mondiale delle migrazioni nel 1998, ossia che “diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione”.
Poi Benedetto XVI, in un altro passaggio del suo messaggio del 2013, avvertiva che “non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini”. Sembra di rileggere il card. Sarah, quando nella sopracitata intervista definisce la migrazione di massa “nuova forma di schiavismo”.
Concetto che si presenta anche nel messaggio dei vescovi delle conferenze nazionali e interterritoriali dell’Africa occidentale al termine della Terza Assemblea Plenaria che si è tenuta a metà maggio in Burkina Faso.
I presuli si rivolgono ai giovani dei loro Paesi così: “Certo, comprendiamo la vostra sete di felicità e di benessere che i vostri Paesi non vi offrono. Disoccupazione, miseria, povertà rimangono mali che umiliano. Tuttavia, non dovete sacrificare la vostra vita lungo strade pericolose e destinazioni incerte. Non lasciatevi ingannare dalle false promesse che vi porteranno alla schiavitù e ad un futuro illusorio! Con il duro lavoro e la perseveranza potrete avere successo in Africa e, cosa più importante, rendere questo continente una terra prospera”.
Ed ecco Papa Francesco: “Senza integrazione meglio non accogliere: accogliere lo straniero è un principio morale. Ma non si tratta di accogliere ‘alla belle étoile’, no, ma un accogliere ragionevole”. Perciò occorre parlare “della prudenza dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea”.
“Ma la situazione è più complessa”
Ma bastano gli appelli a dissuadere i giovani dall’intraprendere la strada di viaggi ostili? Intervistato da In Terris, padre Giacomo Costa SJ, direttore di Aggiornamenti Sociali riflette: “I rischi sono reali, lo sappiamo tutti e credo che ormai lo sappiano anche molti giovani africani. Ma non pochi continuano a partire. Questo ci indica che la situazione è più complessa“.
Il gesuita fa presente che “nello stesso comunicato in cui sottolineano i rischi della migrazione, i vescovi dell’Africa occidentale evidenziano molti altri problemi, a partire dall’insicurezza e dalla violenza che affligge molti Paesi e causa il fenomeno dei rifugiati. Per questo con la stessa forza chiedono il rispetto dei diritti di migranti e rifugiati e il sostegno alla loro integrazione nei Paesi di arrivo”.
Nel corso del Sinodo dei Vescovi dell’autunno scorso sul tema dei giovani, di cui padre Costa è stato segretario speciale, i vescovi africani – spiega – “hanno ripetuto più e più volte” che le Chiese dell’Africa, insieme a tutti gli attori sociali e politici “devono investire nel campo dell’educazione e della formazione, anche politica e imprenditoriale: è questa la base della promozione dello sviluppo umano integrale“.
Si tratta – sottolinea padre Costa – “di un bisogno drammatico di un continente in cui i giovani sono numerosissimi”. “In altre parole – prosegue – se non si creano condizioni di vita dignitosa per tutti, viene vanificato nei fatti quel diritto a restare nel proprio Paese su cui la Chiesa insiste, e alle persone non può essere negato il diritto di emigrare per cercare sicurezza e progresso per sé e la propria famiglia là dove è possibile trovarli. Lo ha ricordato il card. Parolin in occasione della visita del Papa in Marocco”.
“Sì alle differenze, no alle chiusure”
In questo contesto, come è possibile realizzare quello che Papa Francesco definisce un poliedro, “nel quale tutti sono uniti e ognuno conserva la propria identità”, da contrapporre alla sfera, “quella globalizzazione che spezza la ricchezza e la particolarità di ogni popolo”?
Innanzitutto – sostiene padre Costa – “è giusto sottolineare che le culture africane non hanno niente da invidiare a quella europea, anzi. È bene che ce lo ricordiamo tutti, tanto gli europei, oggi alle prese con la tentazione del razzismo e del disprezzo delle altre culture, quanto gli africani, esposti al rischio di dimenticare le proprie radici”.
Padre Costa ci tiene quindi a sottolineare: “Il rispetto per la dignità delle culture non può legittimare chiusure: se le facce non sono connesse le une alle altre, se rifiutano di entrare in relazione, il poliedro si sfascia”.