La Croce quotidiano 29 luglio 2016
Questo ritratto di Carlo Francesco D’Agostino segue ai quattro che sono stati già pubblicati sulle nostre pagine, dedicati rispettivamente a Salvatore Rebecchini, Don Luigi Sturzo, Luigi Gedda e Giuseppe Toniolo. Seguirà prima della pausa estiva l’ultimo su Giuseppe Togni. Da questa mini-rassegna seguiranno ricostruzioni storiche e politiche per il seminario di formazione del PdF in autunno
di Giuseppe Brienza
Pochi sanno che, nel secondo dopoguerra, assieme alla Democrazia cristiana, è stato fondato ed ha operato per oltre 25 anni un altro partito dichiaratamente cattolico, il «Centro politico italiano» (Cpi). Costituito a Roma nel 1944 dagli avvocati Carlo Francesco D’Agostino e Giovanni Silvestrelli, ha presentato agli Italiani il suo programma e le sue battaglie culturali in tanti articoli e Appelli pubblicati, fino al 1969, anno della soppressione sull’organo ufficiale “L’Alleanza Italiana”, auto-definito nell’intestazione «quindicinale per la realizzazione dei principi cattolici nella politica italiana, e per la consacrazione dello Stato al Sacro Cuore di Cristo Re e al Cuore Immacolato di Maria, Regina delle vittorie».
Il leader principale del Cpi è stato l’avv. D’Agostino, cattolico coerente avversato dal fascismo (si rifiutò sempre di “prendere” la tessera del P.N.F., nonostante le pressioni familiari e ambientali ricevute) che, nel dopoguerra, è stato Autore di una preziosa elaborazione giuridico-politica ispirata e intimamente connessa alla Dottrina sociale della Chiesa sui temi dell’impresa economica e del lavoro. Per questi si è guadagnato persino l’appellativo di «pensatore sociale tomista».
Come ha scritto infatti un giovane e dotto sacerdote della diocesi di Trieste, Don Samuele Cecotti, che sta cercando di riproporre oggi il pensiero e gli studi di questo valente studioso, «Benché non si dia, nelle opere del Dottore Comune [S. Tommaso d’Aquino], trattazione del diritto societario, si può, senza troppo azzardo, riconoscere alla dottrina sociale del D’Agostino la qualifica di “tomista”, anzitutto per la ratio realista e per il metodo, non meno però per aspetti non secondari di contenuto: la considerazione del lavoro come attività intrinsecamente ed esclusivamente umana, la subalternità dell’economia alla scienza etica e, dunque, la giustizia come criterio ultimo per la regolazione della relazione capitale/lavoro, il riconoscimento della proprietà privata come diritto/responsabilità nel quadro della destinazione universale dei beni materiali, il grande valore riconosciuto alla pace (tranquillitas ordinis) sociale, etc.» [Samuele Cecotti, Associazionismo aziendale, Le regole secondo giustizia del rapporto capitale/lavoro (nell’impresa economica) nel progetto sociale di Carlo Francesco d’Agostino, Edizioni Cantagalli, Siena 2013, p. 70].
È nella realtà conosciuta dell’impresa, scrive D’Agostino, quale «creazione delle forze associate del Capitale, dell’Intelligenza e del Lavoro», che si attua in effetti quella «con-creazione» dei tre fattori che fanno sorgere e sussistere ogni imprenditorialità e organizzazione aziendale. Per questo, prosegue nella sua analisi il giurista e politico cattolico, l’azienda «spetta in comproprietà a coloro che apportano in essa questi tre fattori», in quanto nessuna realtà imprenditoriale-produttiva sorgerebbe «se essi non si fossero tra di loro associati per un fine economico». Dal principio della “comproprietà aziendale”, quindi, deriva il diritto alla co-amministrazione e il criterio per il riparto degli utili economici.
Il «Centro politico italiano» ha avuto durante la sua esistenza un seguito ridotto, anche se si è presentato alle elezioni in diverse occasioni, tanto a livello amministrativo locale quanto politico nazionale. I suoi aderenti, però, non sono andati oltre gli ambienti dell’aristocrazia italiana e dei circoli militari conservatori, cui si sono via via associati diversi colleghi di D’Agostino come gli avvocati Angelo M. Nasalli Rocca, Giuliano Bracci e Mario Eichberg, quest’ultimo già esponente delle Conferenze di San Vincenzo e leader del Cpi nell’ultimo periodo della sua esistenza. Nella formazione di D’Agostino e Silvestrelli sono anche confluiti politici democristiani in rotta con la svolta “sinistrista” del partito, il più noto dei quali è stato Silvio Milazzo (1903-1982), presidente della giunta regionale siciliana dal 1958 al 1960. Al Cpi hanno dato però la loro adesione anche un nucleo di giovani intellettuali cattolici, tra i quali Carlo F. Carli, Danilo Castellano e Pier Carlo De Fabritiis, che negli anni successivi costituiscono l’eredità migliore della “scuola” di Carlo Francesco D’Agostino.
Per il «Centro politico italiano» il “nemico numero uno” è stato sempre la Democrazia cristiana, sia per il suo carattere aconfessionale sia per il suo modernismo politico, espresso ad avviso di D’Agostino fin dai primordi della “prima Repubblica” con l’agnosticismo istituzionale dimostrato al referendum del 1946. Il fondatore del Cpi, in effetti, si impegnò a fondo nel referendum istituzionale a favore della monarchia, a rischio persino della propria incolumità personale (durante un comizio a Genova nel 1946 fu ad esempio preso a calci e pugni). La sua militanza monarchica non fu né allora né successivamente una scelta di preferenza personale per la dinastia dei Savoia ma, come scrisse e disse tante volte, una decisione assunta «per dovere di obbedienza all’autorità divenuta legittima con il Concordato e dopo il Concordato del 1929».
Altro passaggio politico rilevante del dopoguerra che coinvolse il Cpi furono le elezioni comunali a Roma del 1952, quelle nelle quali fu tentata l’Operazione Sturzo per intenderci, per l’inclusione di alcuni degli esponenti del movimento nella lista cattolica di centro-destra, capeggiata dall’avvocato Antonio Angelini Rota e “apparentata” con le destre, voluta da Luigi Gedda e Monsignor Roberto Ronca in funzione anti-comunista.
Al momento del suo scioglimento, nel 1969, la maggior parte degli esponenti del «Centro politico italiano» sono entrati nell’orbita (e, taluni, anche nelle liste elettorali) del Msi-Dn, pur criticando l’agnosticismo o il neo-paganesimo che ne influenzava buona parte della dirigenza politica e intellettuale.
Anche negli anni 1970-80, grazie ad una cerchia di autorevoli amici che facevano capo alla pubblicazione trimestrale “Instaurare Omnia in Christo” (Alfonso Marchi, Danilo Castellano, Don Dario Composta, Padre Cornelio Fabro, Pietro Giuseppe Grasso), D’Agostino è riuscito ad allargare la cerchia dei suoi simpatizzanti ed estimatori ma, per le sue posizioni monarchico-savoiarde e la concezione di “Stato cattolico”, non poteva trovare all’epoca uno sviluppo di rilievo in termini numerico-organizzativi.
L’avv. D’Agostino, ha scritto lo storico Pino Tosca (1946-2001), è stato in anni difficili «un cattolico sincero che ha dedicato la propria vita alla possibilità d’incidere cristianamente sulla società. Il suo principale merito è quello di aver compreso, sin da tempi politicamente insospettabili, la truffa democristiana ai danni di uno “Stato cattolico”» (P. Tosca, Il cammino della Tradizione, Il Cerchio, Rimini 1995, p. 78). Sin dalla fondazione aveva avuto rapporti con Alcide De Gasperi e con gli altri dirigenti della DC, rendendosi però conto, dal suo punto di vista, che la dirigenza di tale partito altro non avrebbe fatto che importare nello Stato italiano i “valori” della Rivoluzione francese. In un opuscolo dalle molteplici riedizioni, D’Agostino narra per filo e per segno il progetto democristiano di laicizzazione dello Stato italiano. «De Gasperi – egli scrive – fin dal 1944, combattendo contro il Centro Politico Italiano, si proclamava difensore della concezione dello Stato Moderno assertore di un’assoluta “uguaglianza giuridica” e lo faceva espressamente contro l’esigenza da noi posta di una impostazione cristiana dello Stato».
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Biopic di Carlo Francesco D’Agostino
Avvocato, giornalista, pretore onorario di Roma
Avvocato, giornalista, pretore onorario di Roma, Carlo Francesco D’Agostino nacque a Roma il 12 maggio del 1906 da una nobile famiglia di origine napoletana. Nel 1944 fondò il “Centro Politico Italiano”, organizzazione politica che riuniva esponenti cattolici della classe dirigente nazionale (uomini di Corte, alti ufficiali, giudici, diplomatici, etc.) con il fine di fare del Regno d’Italia uno «Stato cattolico nella Chiesa universale».
Il C.P.I. alle sue origini raccolse l’approvazione del collegio dell’allora molto autorevole rivista dei Gesuiti italiani “La Civiltà Cattolica”, chiamata ad esaminarne il Programma, di autorevoli Cardinali e uomini della Curia romana, nonché la benedizione di papa Pio XII. Nel 1944 D’Agostino ebbe diversi colloqui con il Luogotenente generale del Regno Umberto di Savoia e gli fu persino chiesto di presentare una lista di ministri nell’ipotesi di un governo cattolico “del Luogotenente”.
Si rifiutò di aderire alla DC e per tutta la vita denunciò gli errori filosofici e dottrinali del democristianismo conquistandosi l’appellativo di «uomo politico anti-De Gasperi». Diresse il quindicinale e l’editrice “L’Alleanza Italiana”, che pubblicò negli anni 1950-60 una serie di preziosi libri ed opuscoli di formazione socio-politica basata sul Magistero della Chiesa (cfr., fra gli altri: L’Uomo, la Famiglia, lo Stato, la Chiesa, beni economici, lavoro, proprietà. Sintesi di Dottrina politica dei Romani Pontefici”, Osnago s.i.d. e “Dottrina politica della Cattedra di Pietro”, Roma s.i.d.).
A partire dal 1945 elaborò il suo progetto sociale di “libera economia associata” definendo la dottrina dell’associazionismo aziendale. È morto a Osnago, un piccolo comune in provincia di Lecco, il 7 dicembre del 1999.