di Anna Bono
Lo scandalo Oil-for-food sta incrinando la fiducia di mezzo mondo nelle Nazioni Unite. L’altra metà del mondo l’aveva già persa, sperimentando sulla propria pelle che cosa succede quando il massimo organismo mondiale si assume l’incarico di prevenire o risolvere una crisi.
Nessuno lo sa meglio dei 130 mila detenuti nelle carceri del Ruanda accusati di aver partecipato al genocidio del 1994 che provocò 937 mila vittime. L’Onu ha istituito per giudicarli un Tribunale penale che nel 2004, dopo dieci anni di attività al costo di 100 milioni di dollari l’anno, non aveva emesso neanche 30 sentenze.
Per rimediare sono state liberate senza processo decine di migliaia di persone e sono stati creati i gacaca, 8 mila tribunali popolari nei quali i giudizi sono affidati a semplici cittadini privi di specifica competenza. Poiché il fondato timore è che i gacaca diventino in realtà strumenti di vendetta per i sopravvissuti, migliaia di persone sono già fuggite in Burundi dopo che sono entrati in funzione.
In Cambogia invece il Tribunale penale dell’Onu dovrebbe giudicare i responsabili dei crimini commessi dal regime comunista khmer che tra il 1975 e il 1979 uccise circa 1 milione e 700 mila persone. Ma l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, presso la quale i khmer rossi ottennero un seggio che mantennero per anni, ne ha approvato l’istituzione soltanto nel 2003 e tuttora l’organismo non è operativo.
Dal 1985 il governo cambogiano è guidato da Hun Sen, un ex khmer rosso, i presunti responsabili delle stragi vivono liberi e indisturbati, molti di loro ricchi e tutti ormai anziani, felicemente attorniati da figli e nipoti; Pol Pot, il loro leader, nel frattempo è deceduto per cause naturali nel 1998. Ma il maggiore degli scandali è rappresentato dalle missioni Onu di pace.
Il peggio sembra succedere in Africa, dove si scoprono continuamente casi di corruzione, violenza, stupri, sfruttamento della prostituzione, pedofilia e dove sembra che i militari arrivino addirittura a chiedere a bambine di 12-13 anni delle prestazioni sessuali in cambio di cibo.
Succede dappertutto, ma le denunce più frequenti riguardano la Monuc, la missione Onu nel Congo Kinshasa. Qui nel 2003 dei caschi blu uruguayani sono stati accusati di aver rubato della benzina per rivenderla alle fazioni armate che si contendono il controllo di Bunia, capitale della regione dell’Ituri; altri sono stati sorpresi a saccheggiare una chiesa portando via persino le ostie e il vino consacrato.
Inoltre le denunce di torture e stupri sono così tante che già nel settembre 2003 Amnesty International, richiamandosi a questi e ad altri analoghi episodi, chiedeva che i caschi blu ricevessero «un’adeguata preparazione sugli standard internazionali dei diritti umani» prima di essere mandati in missione. Non che sia servito a molto: è notizia di questi giorni che dieci dei 120 agenti di polizia nigeriani al servizio della Monuc sono accusati di violenze sessuali e che per questo la Nigeria ha deciso il ritiro di tutto il contingente.