Abstract: catari e albigiesi di ieri e di oggi. Molte sono le verità storiche deformate. Tra quelle che lo sono state al punto da divenire «leggende nere» vi è la cosiddetta «crociata» contro gli albigesi, o catari. Vale la pena, dunque, capire che cosa effettivamente accadde, utilizzando dati per quanto possibile oggettivi e attingendo ai — pochi — documenti pervenutici. Inoltre un «filo rosso» pare poi collegare i catari a fatti culturali molto più vicini a noi nel tempo e che innegabilmente subiscono almeno la suggestione di quella ideologia.
Cristianità n. 421 (2023)
I catari e la loro eredità
di Diego Lazzari
Molte sono le verità storiche deformate. Tra quelle che lo sono state al punto da divenire «leggende nere» vi è la cosiddetta «crociata» contro gli albigesi, o catari. Vale la pena, dunque, capire che cosa effettivamente accadde, utilizzando dati per quanto possibile oggettivi e attingendo ai — pochi — documenti pervenutici.
Preliminarmente, occorre fare chiarezza su alcuni termini spesso utilizzati in maniera non appropriata quando si affronta il tema.
Il diritto canonico definisce «errore» una convinzione — non importa se colpevole — non corrispondente al vero in materia di fede di un credente, quando questi, però, sia disposto ad accogliere la verità una volta che gli sia stata palesata. L’«eresia», invece, consiste nell’«ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (1). L’eresia è, dunque, l’errore volontario e pertinace di un battezzato su una o più verità della fede cattolica. L’aggettivo «pertinace» qualifica l’errore compiuto reiteratamente con la consapevolezza e la volontà di opporsi alla verità rivelata. Viene definita, infine, «apostasia» «il ripudio totale della fede cristiana, sia in foro esterno che interno, fatto con un atto positivo della volontà da una persona battezzata» (2). L’apostata, quindi, è il battezzato che ha abbandonato completamente la fede cristiana e non ha rigettato solo qualche specifico dogma. Ciò può avvenire tramite l’adesione formale ad altra confessione non cristiana, o mediante l’abbandono di qualsiasi religione, ovvero con la professione di ateismo.
Origine dei catari
Il termine «cataro» viene dal greco καϑαρός, «puro». A partire dal secolo VII le dottrine catare, di derivazione manichea (3), vennero introdotte dai pauliciani (4) in Armenia e poi in Bulgaria, che divenne il principale centro di diffusione di quella dottrina in Europa.
Nel secolo IV il manicheismo si era diffuso in tutto l’impero romano, tanto che lo stesso Agostino d’Ippona (354-430), prima della conversione al cristianesimo, fu manicheo. Il manicheismo, estirpato in Asia minore, era sopravvissuto in Bulgaria e i suoi seguaci, già dal secolo VII, erano detti anche «bulgari».
La setta si era diffusa così rapidamente in Oriente che, verso la fine del secolo XI, l’imperatore Alessio I Comneno (1048-1118), per ragioni di ordine pubblico, ne aveva fatto imprigionare e condannare a morte un gran numero di seguaci. Intanto, però, la setta cresceva, tanto che nel 1143 l’imperatore bizantino Manuele I Comneno (1118-1180) dovette espellere dal regno i «bogomili», nome dato ai manichei nei Balcani. In seguito ai contatti commerciali fra l’Oriente e l’Occidente le dottrine catare penetrarono in Europa, soprattutto in Inghilterra e nella Francia settentrionale, quindi invasero l’Aquitania e la Linguadoca dove, verso la fine del secolo XII, erano oltremodo presenti nella vita pubblica e privata. Si diffusero, quindi, nell’Italia settentrionale e centrale, nella Spagna del Nord e in Germania.
La dottrina catara
Per comprendere la diffusione dell’ideologia catara è bene rammentare che si era nel pieno periodo della contesa per la supremazia fra papato e impero, la cosiddetta «lotta per le investiture». È evidente che le nomine di vescovi e di sacerdoti compiute dai signori feudali, nonché la condotta spesso scandalosa del clero, erano segno di contraddizione tra i fedeli e avevano favorito il nascere di numerose sette ereticali e di movimenti pauperistici di contestazione, dei quali solo la nascita degli ordini mendicanti avrebbe costituito un argine efficace.
La dottrina catara fa perno su un interrogativo: se Dio è buono, come può esistere il male? Alla stregua dei manichei, i catari risolvono il dilemma ipotizzando l’esistenza di un dio del male, cui far risalire tutta la malvagità esistente su questa terra. Dotato di facoltà creatrici come il Dio del bene da cui sarebbero scaturiti per emanazione realtà spirituali, Lucibel o Lucifero, il dio del male, avrebbe invece creato il mondo materiale. Nell’uomo, nel quale coesistono due nature in conflitto, una spirituale e l’altra materiale, s’incontrerebbero i due princìpi supremi. Il suo corpo, che è di natura corruttibile, sarebbe opera di Lucibel e sarebbe a lui soggetto; la sua anima, che è puro spirito, sarebbe invece opera e proprietà del Dio buono.
L’unico testo cataro giunto fino a noi dimostra di ignorare la differenza tra volontà divina attiva e volontà divina permissiva come formulata da san Giovanni Damasceno (†749) (5), cioè la risposta «cattolica» all’obiezione secondo cui la prescienza di un singolo Dio creatore sarebbe in contraddizione con la sua bontà, in quanto Questi creerebbe anche anime destinate a dannarsi: «Dico infatti: come è impossibile che ciò che è passato non sia passato, così ciò che avverrà è impossibile che non avvenga. E soprattutto agli occhi di Dio, che dall’inizio conosce e sa quello che deve accadere […] senza alcun dubbio era necessario ai suoi occhi che il futuro fosse determinato nel suo pensiero, perché Egli sapeva e conosceva da sempre tutte le cause che sono necessarie per portare a realizzazione il destino» (6).
Non bisognerebbe, quindi, giudicare i giudei e il prefetto romano Ponzio Pilato colpevoli della morte di Cristo, perché fu Dio a «colpire» suo Figlio allorché ne tollerò la morte, che essi non avrebbero potuto infliggere se il Signore Dio non lo avesse personalmente concesso. Cristo stesso, infatti, dice a Pilato: «Tu non avresti contro di me nessun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto» (7). Dio, dunque, sarebbe necessariamente la causa e il principio di ogni male, ma Dio è il bene e questa sarebbe una conclusione inaccettabile. Ecco come sarebbe dimostrata l’esistenza di un dio malvagio, Lucibel, creatore di tutte le cose materiali, destinate a corrompersi e a morire, e degli angeli malvagi (8).
Lucifero sarebbe riuscito con l’inganno a salire al cielo e ciò avrebbe provocato una battaglia che l’avrebbe visto sconfitto. Precipitato in terra, avrebbe portato con sé la terza parte delle stelle e gli angeli che le abitavano. Questi spiriti sarebbero stati imprigionati nei corpi e non avrebbero potuto più essere liberati se non avesse provveduto a ciò il Cristo. Per mantenere netta la distinzione fra bene e male, fra materiale e immateriale, l’incarnazione di Cristo viene negata. Perciò sarebbe inferiore a Dio, ma privo di qualsiasi compromissione con il male; dunque non avrebbe avuto un corpo, né avrebbe mai effuso il suo sangue, avendo mostrato agli uomini solo un’immagine di sé (9). L’anima dei prescelti si libererebbe gradualmente dall’involucro corporale e attraverso una serie di reincarnazioni raggiungerebbe la redenzione finale, tornando a essere spirito buono.
Che tale fosse il loro pensiero trova conferma in quanto scrive l’inquisitore mons. Bernardo Gui O.P. (1261-1331), sulla scorta di interrogatori da lui effettivamente svolti e riportati negli atti processuali del tempo: «L’eresia consiste nel credere che Dio non sia unico bensì che vi siano due creatori, ovvero Dio e il diavolo e così (essi) credono nella esistenza di due creazioni: l’una invisibile ed incorporea e l’altra visibile e corporea. Per la stessa ragione credono vi siano due chiese: una benevola che identificano nella loro setta e l’altra che sarebbe la vera chiesa, considerata da loro maligna.
«Con impudenza essi chiamano la chiesa romana, madre di tutte le fornicazioni, una grande Babilonia, meretrice, basilica del diavolo e sinagoga di satana, i manichei dimostrano il loro disprezzo per tutti i gradi della sua gerarchia e i suoi statuti e inoltre chiamano eretici tutti i fedeli e li accusano di perseverare nell’errore, per questo stabiliscono dogmaticamente che nessuno potrà mai salvarsi nella chiesa romana.
«Oltre a ciò ritengono inutili tutti i sacramenti della chiesa romana ovvero l’eucarestia, il battesimo con l’acqua, la confermazione l’ordine sacro, l’estrema unzione e inoltre il matrimonio tra un uomo e una donna». E ancora: «Allo stesso modo rifiutano l’incarnazione del nostro signore Gesù cristo, il parto della Vergine Maria. Non credono che Cristo sia morto e che dunque non sia risuscitato, perciò Maria non è la vera madre di Dio. Essi credono in uomini esperti e capaci. Si astengono dal mangiare non solo la carne, ma anche i formaggi, le uova, e tutto ciò che sia prodotto dagli animali. Inoltre i manichei non uccidono nessun animale, poiché credono fermamente che negli animali possono essere quegli spiriti dei defunti che non sono ancora entrati a far parte della loro setta. Il passaggio degli spiriti da un corpo all’altro (la reincarnazione) avviene mediante l’imposizione delle mani (che essi chiamano consolamentum) questi eretici poi, non hanno nessun contatto con le donne». Inoltre, scrive Gui, «contestano che nel pane ci sia il corpo di Cristo perché, sostengono, se così fosse, sarebbe stato già mangiato tutto. L’ostia viene digerita nel ventre ed espulsa infimamente, l’acqua materiale è cosa infima e i chierici arrivano a vendere quell’acqua […]. Non è possibile adorare la croce di Cristo perché non si può adorare un patibolo» (10).
Tutto ciò che è corporeo sarebbe esecrabile, perché creato da Lucifero: l’unione con una donna era maligna, come lo erano il matrimonio e il parto stesso. Coerentemente, la morte del corpo era da affrettare tramite il suicidio o l’omicidio rituali, che essi chiamavano «endurum». Si arrivava a consigliare cinque modalità diverse per porre termine alla propia vita: l’avvelenamento, la morte per fame, il dissanguamento, il gettarsi da un precipizio o la congestione polmonare — provocata con il distendersi su una lastra di ghiaccio dopo un bagno bollente — e lo strangolamento.
Al loro interno i catari si distinguevano in «credenti», a loro volta separati in «buoni uomini» e «buone donne», non vincolati all’osservanza di tutti i precetti, e i «perfetti», suddivisi in Figli Maggiori e Figli Minori, che impartivano il consolamentum alle dipendenze di un vescovo. Le comunità erano rette da un Anziano, cioè da un perfetto che aveva ricevuto il consolamentum.
In conclusione, nel caso del catarismo non si rinviene il rigetto di un dogma specifico della Chiesa Cattolica, ma piuttosto il rifiuto di tutta la fede cristiana. Il movimento cataro, dunque, a parere di chi scrive, non fu eretico bensì apostata, non avendo nulla in comune con il cristianesimo anche ereticale.
La vita molto austera dei «perfetti» — castità, digiuni, abbigliamento dimesso — faceva sì che essi fossero spesso ritenuti cristiani molto virtuosi e ciò consentiva loro di fare proseliti fra i credenti.
Molto importante in Linguadoca fu l’appoggio delle famiglie nobili locali, convinte di difendere così i propri costumi e la loro autonomia (11).
Nel conflitto armato contro i catari, motivazioni politiche si mescolarono a quelle religiose e vi parteciparono anche avventurieri desiderosi di acquisire nuovi guadagni e ampliare i propri possedimenti.
I valdesi e gli albigesi
Intorno all’anno 1170 Pietro Valdo (1140-1218), un ricco commerciante di Lione, aveva fatto tradurre il Nuovo Testamento in francese e aveva fondato un nuovo movimento, che i trovatori provenzali denominavano Nova Leyczon. I seguaci furono denominati valdesi e, pur aderendo a una fede differente, avevano in comune con i catari l’avversione verso la Chiesa Cattolica. Vi fu tra loro un rapporto talmente stretto che la parola «albigese» — letteralmente «abitante di Albi», cittadina della Francia meridionale dove la presenza del catarismo era preponderante — finì per denotare indifferentemente valdesi e catari.
In realtà, il movimento dei «poveri di Lione», almeno alle origini, non si percepiva come estraneo alla Chiesa. La fedeltà al Papa del movimento valdese delle origini è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica espressa in occasione del terzo concilio del Laterano, nel 1176. Quando incontrarono a Roma il Pontefice Alessandro III (1159-1181), i valdesi dichiararono la propria contrarietà al movimento cataro. Il Papa dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non accolse la loro richiesta di predicare le Scritture senza l’intermediazione del clero.
Lo strappo avvenne quattro anni dopo. Nel 1180 fu convocato dal vescovo di Albano, il cardinale Enrico di Marcy (†1189), un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la propria completa «ortodossia» e fedeltà alla Chiesa e, al contempo, esposero quelli che consideravano gli errori dei catari. Essi, tuttavia, vollero anche formalizzare le richieste di lettura e di predicazione della Bibbia da parte dei propri aderenti, uomini e donne laici. Tali istanze furono successivamente considerate inaccettabili dalla Chiesa romana, preoccupata della confusione dottrinale che la lettura e l’interpretazione dei testi sacri da parte di laici avrebbe potuto provocare. Inoltre, la definizione della transustanziazione, cioè della totale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo in forza delle parole della consacrazione pronunziate dal sacerdote nella Messa, fu rifiutata dai valdesi, i quali divennero, così, eretici, anche se non apostati.
La crociata
Verso la fine del secolo XII il manicheismo, specialmente in Provenza, era diffuso in tutte le classi sociali. Italia, specialmente a Milano, Firenze, Viterbo e in altri luoghi minori, i catari avevano acquisito una notevole rilevanza sociale. Ben due concili francesi condannarono la loro dottrina: quello di Reims, nel 1049, e quello di Tours, nel 1163. Si succedettero diverse missioni cattoliche per illustrare ai catari quali fossero i punti da correggere nelle loro convinzioni. Una di queste, affidata ai cistercensi, fu organizzata da Papa Innocenzo III (1198-1216), ma non ebbe l’esito sperato. Infine, si recarono in Linguadoca, nel sud della Francia, Diego d’Acevedo (1170-1207), vescovo della diocesi spagnola di Osuña, e il sottopriore del suo capitolo, Domenico di Guzmán (1170-1221). Il loro approccio fu adeguato allo stile dell’avversario: inviarono i propri missionari a predicare a due a due, in abiti poveri, scalzi, pronti a disputare con chiunque. Se è vero che neanche questa missione ebbe un esito fruttuoso nell’immediato, essa costituì però una delle concause che portarono alla nascita dell’ordine dei frati predicatori, i domenicani.
Nel 1167, un eresiarca di nome Nicheta aveva presieduto un concilio delle chiese manichee, con la partecipazione di eminenti nobili ed eresiarchi delle comunità del nord e del sud della Francia, dell’Italia settentrionale e dei Balcani (12). Altri nobili di Tolosa sollecitarono nel 1177 l’intervento della Chiesa e, due anni dopo, durante il Concilio Lateranense III, Papa Alessandro III scomunicò i catari.
A guardare con benevolenza il movimento cataro erano soprattutto i nobili discendenti dai re visigoti che, al contrario, e comprensibilmente, nutrivano una certa ostilità nei confronti del re di Francia Filippo II (1165-1223) e della riorganizzazione politico-amministrativa del regno, da lui intrapresa, che accresceva il suo potere effettivo al di fuori dell’Ile-de-France (13).
Negli anni immediatamente successivi alla scomunica la presenza dei catari fu relativamente tollerata dalla Chiesa, che la giudicava poco più che un’appendice dei numerosi conflitti esistenti tra feudatari e potere regio. L’atteggiamento mutò radicalmente in seguito all’uccisione, il 15 gennaio 1208, del beato Pietro Castelnau (1170-1208), legato pontificio di Innocenzo III, caduto vittima di un agguato da parte dei catari, che lo avevano assassinato senza alcun motivo specifico. Il Pontefice prese atto che l’omicidio andava interpretato come un episodio della guerra già in essere contro la Chiesa e incaricò Arnaldo Amaury (†1225), abate di Citeaux, in Borgogna, di organizzare una crociata. Questi si avvalse come condottiero del nobile Simone di Montfort (1170-1218)
Come si è detto, l’evento bellico non ebbe risvolti esclusivamente religiosi, perché offrì l’occasione di rendere effettiva sui territori del Meridione la sovranità del re di Parigi, che per decenni era stata solo nominale. Di conseguenza i francesi del sud — cattolici, eretici o apostati che fossero — vissero la discesa delle truppe reali come un’invasione.
La prima città ad essere conquistata fu Béziers. A questo assedio è associata la «leggenda nera» della crociata contro gli albigesi. Alla presa della città Montfort avrebbe chiesto al legato Amaury se bisognasse distinguere, fra gli abitanti, i cattolici dai valdesi e dai catari, e avrebbe avuto la seguente risposta: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi»; una frase enfatizzata da numerosi divulgatori, anche autorevoli, ma non necessariamente veritiera. Nelle pur numerose cronache della crociata non vi è traccia di questo ordine.
La fonte più antica che riporta l’episodio è il Dialogus Miracolorum (1222 ca.), un centone apologetico di vari miracoli scritto dal monaco cistercense, Cesario di Heisterbach (ca. 1180-1240 ca.), vissuto in una abbazia del nord della Germania e mai recatosi in Provenza. Fra i molti miracoli che raccoglie vi è anche quello che segue, introdotto tuttavia da un non troppo rassicurante Fertur dixisse» — «si dice che…» —: mentre i crociati facevano strage a Béziers, Dio avrebbe riconosciuto i «suoi», permettendo ai non catari di sfuggire alla mattanza (14).
In realtà quell’anno i crociati avevano, prima dell’assalto finale, inviato ripetutamente ambasciatori per invitare la città alla resa. Secondo le cronache del tempo il massacro di Béziers fu causato da una sortita notturna dei catari che avevano attaccato i «ribauds» — da cui trae origine il termine «ribaldo» —, feroci truppe mercenarie che respinsero i catari e li inseguirono fin dentro alla città, compiendo il massacro (15).
I catari e i loro sostenitori reagirono con una serie di atrocità, che resero quella guerra una delle più spietate di tutto il Medioevo (16). La presa di Montségur, ultima città controllata dai catari, il 16 marzo 1644, e l’uccisione di circa duecento «perfetti», come rappresaglia per l’assassinio di due inquisitori, pose fine alla crociata, mentre il catarismo venne combattuto e vinto a più livelli: quello intellettuale, per esempio con la fondazione dell’università di Tolosa per la preparazione dei predicatori; quello pastorale, con la predicazione evangelica dei domenicani e quello istituzionale, con la diffusione del tribunale dell’inquisizione, che non fu «la sinistra istituzione burocratica e repressiva della leggenda» (17). Del resto, «l’arma dell’inquisizione era la ragione, non il terrore, [per estirpare l’incredulità] con la persuasione e la riconciliazione» (18).
Sopravvivenza dei catari e loro tracce fino ai giorni nostri
Non tutti i nobili catari erano scesi in battaglia durante la crociata. Il catarismo sopravvisse, confondendosi o rifugiandosi in altre consorterie. Così, secondo alcuni autori, si rinvengono Maestri e Siniscalchi catari nell’ordine dei Templari, poi in società segrete gnostiche — la società dei Rosacroce nascerebbe nel monastero di Loudun, fondato nel 1334, dove inoltre, in alcuni manoscritti, si rinviene per la prima volta in Occidente la rosa araldica sormontata dal simbolo orientale della svastica —, infine nella massoneria (19).
In particolare, fra le logge massoniche particolarmente fiorenti nella Germania del primo dopoguerra si collocava la loggia luminosa, o «società di Vril», conosciuta come Gruppo di Thule, emanazione della loggia «Ordine dei Tedeschi», che propugnava la purezza della razza. Nel 1918 Karl Haushoffer (1869-1946), membro del Gruppo Thule, dopo un viaggio in Oriente, si stabilì a Monaco di Baviera, dove aderì al nascente Partito Operaio di Germania — che nel 1920 si trasformerà poi nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori — e conobbe Adolf Hitler (1889-1945). Componenti del gruppo furono, fra gli altri, Hans Frank (1900-1946), il futuro governatore della Polonia, Dietrich Eckart (1868-1923), amico personale di Hitler e direttore del giornale del partito, Arthur Rosenberg (1889-1943), ideologo ufficiale del nazionalsocialismo, e Rudolf Hess (1894-1987). La figura che attesta l’interesse del regime per i catari è quella di Otto Rahn, membro del Gruppo Thule, il quale, su ordine di Rosenberg, effettuò due spedizioni a Montségur nelle grotte dei catari e scrisse Crociata contro il Graal.
Un «filo rosso» pare poi collegare i catari a fatti culturali molto più vicini a noi nel tempo e che innegabilmente subiscono almeno la suggestione di quella ideologia. «Se ora guardassimo alla nostra società, potremmo ritrovarvi alcuni elementi che lasciano pensare ad un “ritorno di fiamma” di un certo catarismo, privato però in parte della sua portata teologico-spirituale. Come infatti tra i catari era proibito il matrimonio, così oggi buona parte della società moderna è tendenzialmente ostile ad ogni forma di unione stabile e duratura tra uomo e donna. Se i catari di ieri, però, non si sposavano per una forma di ascetismo tesa all’acquisto del paradiso, gli uomini di oggi non lo fanno perché desiderano rimanere liberi, privi di impegni definitivi, facendo così della loro “libertà” un proprio piccolo dio da adorare e soprattutto raggiungere.
«Tra i catari, poi, era vietato mangiare carni animali, e ciò sempre, ben inteso, per finalità spirituali, per liberarsi cioè dagli influssi demoniaci e poter tendere così verso la gloria del Paradiso. La società contemporanea condivide in parte questo astenersi dal mangiare carni animali. Ciò però non per motivazioni ascetico-religiose, come accadeva nel medioevo, bensì perché è ritenuta disumana l’uccisione di animali per l’alimentazione dell’uomo. E di questo astenersi dal mangiare carne se ne fa spesso un segno di civiltà e di progresso (sebbene poi si tolleri l’uccisione di milioni di bambini nei ventri delle madri…), progresso al quale tutti dovrebbero tendere e a cui tutto occorrerebbe asservire, pena il rimanere indietro rispetto a non si sa bene quale traguardo da raggiungere.
«Come domenicani ci viene domandato, oggi come ieri, di predicare Cristo con assiduità, dolcezza e verità (opportune et importune, direbbe S. Paolo) a tutti gli uomini, mettendoli in guardia da false ideologie, false morali e persino falsi dèi» (20).
Note:
1) Codice di Diritto Canonico, art. 751.
2) Ibidem.
3) Mani (216-277), predicatore di origine iranica, nasce nella regione di Babilonia. Battezzato, ripudia il cristianesimo e propugna una religione sincretistica basata sull’esistenza di due opposti princìpi.
4) Il paulicianesimo è una denominazione religiosa sorta in Armenia nel secolo VII e diffusasi tramite la predicazione di Costantino di Manamali (†682), che pretendeva di rifarsi direttamente agli insegnamenti e all’azione di san Paolo apostolo. La sua dottrina era ispirata a un dualismo nettamente manicheo, che contrapponeva il Dio celeste al Creatore, respingeva il Vecchio Testamento e negava l’Incarnazione.
5) Cfr. Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2, 29, consultabile all’indirizzo web https://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030124_giovanni-damasceno_it.html (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-6-2023).
6) Anonimo Cataro, Libro dei due principi, trad. it., ESD. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2010, p. 81.
7) Ibid., p. 335.
8) Giacomo Bettini, Introduzione a ibid., p. 27.
9) Cfr. Otto Rahn (1904-1939), Crociata contro il Graal. Grandezza e caduta degli Albigesi, trad. it., AGA. Arti Grafiche Ambrosiane, Cusano Milanino 2014, p. 193.
10) Bernardo Gui, Pratica inquisitionis ereticae pravitatis, capitolo V, Alphonse Picard, Parigi 1886.
11) Cfr. Christopher Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, trad. it., Einaudi, Torino 2017, pp. 591-593.
12) Cfr. O. Rahn, op. cit., p. 252.
13) Sul regno di Filippo II in rapporto alla formazione dello Stato moderno cfr. Francesco Pappalardo, La parabola dello Stato moderno. Da un mondo «senza Stato» a uno Stato onnipotente, D’Ettoris, Crotone 2022, pp. 136-137.
14) Un altro dettaglio, rivelativo del fatto che Cesario possa aver sacrificato la veridicità fattuale in vista di una resa ancora più edificante dell’apologo è la perfetta sovrapponibilità delle parole di Amaury con il versetto biblico della seconda Lettera a Timoteo: «Tuttavia le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi» (2Tim, 2,19).
15) Cfr. Vittorio Messori, Una «Lega anticalunnia» in difesa dei cattolici, in Corriere della Sera, 31-1-2007.
16) Cfr. C. Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, cit., pp. 606-607.
17) Ibid., p. 616.
18) Ibidem.
19) Cfr. Jan Michel Angebert, Hitler et la tradition catare, Robert Laffont, Parigi 1976, p. 174.
20) Fabrizio P.M. Cambi O.P., Un nuovo «catarismo» e i domenicani di oggi, nel sito web https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/286-un-nuovo-catarismo-e-i-domenicani-di-oggi.html .
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Su catari e albigiesi:
Abstract: catari e albigiesi di ieri e di oggi. Molte sono le verità storiche deformate. Tra quelle che lo sono state al punto da divenire «leggende nere» vi è la cosiddetta «crociata» contro gli albigesi, o catari. Vale la pena, dunque, capire che cosa effettivamente accadde, utilizzando dati per quanto possibile oggettivi e attingendo ai — pochi — documenti pervenutici. Inoltre un «filo rosso» pare poi collegare i catari a fatti culturali molto più vicini a noi nel tempo e che innegabilmente subiscono almeno la suggestione di quella ideologia.
Cristianità n. 421 (2023)
I catari e la loro eredità
di Diego Lazzari
Molte sono le verità storiche deformate. Tra quelle che lo sono state al punto da divenire «leggende nere» vi è la cosiddetta «crociata» contro gli albigesi, o catari. Vale la pena, dunque, capire che cosa effettivamente accadde, utilizzando dati per quanto possibile oggettivi e attingendo ai — pochi — documenti pervenutici.
Preliminarmente, occorre fare chiarezza su alcuni termini spesso utilizzati in maniera non appropriata quando si affronta il tema.
Il diritto canonico definisce «errore» una convinzione — non importa se colpevole — non corrispondente al vero in materia di fede di un credente, quando questi, però, sia disposto ad accogliere la verità una volta che gli sia stata palesata. L’«eresia», invece, consiste nell’«ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (1). L’eresia è, dunque, l’errore volontario e pertinace di un battezzato su una o più verità della fede cattolica. L’aggettivo «pertinace» qualifica l’errore compiuto reiteratamente con la consapevolezza e la volontà di opporsi alla verità rivelata. Viene definita, infine, «apostasia» «il ripudio totale della fede cristiana, sia in foro esterno che interno, fatto con un atto positivo della volontà da una persona battezzata» (2). L’apostata, quindi, è il battezzato che ha abbandonato completamente la fede cristiana e non ha rigettato solo qualche specifico dogma. Ciò può avvenire tramite l’adesione formale ad altra confessione non cristiana, o mediante l’abbandono di qualsiasi religione, ovvero con la professione di ateismo.
Origine dei catari
Il termine «cataro» viene dal greco καϑαρός, «puro». A partire dal secolo VII le dottrine catare, di derivazione manichea (3), vennero introdotte dai pauliciani (4) in Armenia e poi in Bulgaria, che divenne il principale centro di diffusione di quella dottrina in Europa.
Nel secolo IV il manicheismo si era diffuso in tutto l’impero romano, tanto che lo stesso Agostino d’Ippona (354-430), prima della conversione al cristianesimo, fu manicheo. Il manicheismo, estirpato in Asia minore, era sopravvissuto in Bulgaria e i suoi seguaci, già dal secolo VII, erano detti anche «bulgari».
La setta si era diffusa così rapidamente in Oriente che, verso la fine del secolo XI, l’imperatore Alessio I Comneno (1048-1118), per ragioni di ordine pubblico, ne aveva fatto imprigionare e condannare a morte un gran numero di seguaci. Intanto, però, la setta cresceva, tanto che nel 1143 l’imperatore bizantino Manuele I Comneno (1118-1180) dovette espellere dal regno i «bogomili», nome dato ai manichei nei Balcani. In seguito ai contatti commerciali fra l’Oriente e l’Occidente le dottrine catare penetrarono in Europa, soprattutto in Inghilterra e nella Francia settentrionale, quindi invasero l’Aquitania e la Linguadoca dove, verso la fine del secolo XII, erano oltremodo presenti nella vita pubblica e privata. Si diffusero, quindi, nell’Italia settentrionale e centrale, nella Spagna del Nord e in Germania.
La dottrina catara
Per comprendere la diffusione dell’ideologia catara è bene rammentare che si era nel pieno periodo della contesa per la supremazia fra papato e impero, la cosiddetta «lotta per le investiture». È evidente che le nomine di vescovi e di sacerdoti compiute dai signori feudali, nonché la condotta spesso scandalosa del clero, erano segno di contraddizione tra i fedeli e avevano favorito il nascere di numerose sette ereticali e di movimenti pauperistici di contestazione, dei quali solo la nascita degli ordini mendicanti avrebbe costituito un argine efficace.
La dottrina catara fa perno su un interrogativo: se Dio è buono, come può esistere il male? Alla stregua dei manichei, i catari risolvono il dilemma ipotizzando l’esistenza di un dio del male, cui far risalire tutta la malvagità esistente su questa terra. Dotato di facoltà creatrici come il Dio del bene da cui sarebbero scaturiti per emanazione realtà spirituali, Lucibel o Lucifero, il dio del male, avrebbe invece creato il mondo materiale. Nell’uomo, nel quale coesistono due nature in conflitto, una spirituale e l’altra materiale, s’incontrerebbero i due princìpi supremi. Il suo corpo, che è di natura corruttibile, sarebbe opera di Lucibel e sarebbe a lui soggetto; la sua anima, che è puro spirito, sarebbe invece opera e proprietà del Dio buono.
L’unico testo cataro giunto fino a noi dimostra di ignorare la differenza tra volontà divina attiva e volontà divina permissiva come formulata da san Giovanni Damasceno (†749) (5), cioè la risposta «cattolica» all’obiezione secondo cui la prescienza di un singolo Dio creatore sarebbe in contraddizione con la sua bontà, in quanto Questi creerebbe anche anime destinate a dannarsi: «Dico infatti: come è impossibile che ciò che è passato non sia passato, così ciò che avverrà è impossibile che non avvenga. E soprattutto agli occhi di Dio, che dall’inizio conosce e sa quello che deve accadere […] senza alcun dubbio era necessario ai suoi occhi che il futuro fosse determinato nel suo pensiero, perché Egli sapeva e conosceva da sempre tutte le cause che sono necessarie per portare a realizzazione il destino» (6).
Non bisognerebbe, quindi, giudicare i giudei e il prefetto romano Ponzio Pilato colpevoli della morte di Cristo, perché fu Dio a «colpire» suo Figlio allorché ne tollerò la morte, che essi non avrebbero potuto infliggere se il Signore Dio non lo avesse personalmente concesso. Cristo stesso, infatti, dice a Pilato: «Tu non avresti contro di me nessun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto» (7). Dio, dunque, sarebbe necessariamente la causa e il principio di ogni male, ma Dio è il bene e questa sarebbe una conclusione inaccettabile. Ecco come sarebbe dimostrata l’esistenza di un dio malvagio, Lucibel, creatore di tutte le cose materiali, destinate a corrompersi e a morire, e degli angeli malvagi (8).
Lucifero sarebbe riuscito con l’inganno a salire al cielo e ciò avrebbe provocato una battaglia che l’avrebbe visto sconfitto. Precipitato in terra, avrebbe portato con sé la terza parte delle stelle e gli angeli che le abitavano. Questi spiriti sarebbero stati imprigionati nei corpi e non avrebbero potuto più essere liberati se non avesse provveduto a ciò il Cristo. Per mantenere netta la distinzione fra bene e male, fra materiale e immateriale, l’incarnazione di Cristo viene negata. Perciò sarebbe inferiore a Dio, ma privo di qualsiasi compromissione con il male; dunque non avrebbe avuto un corpo, né avrebbe mai effuso il suo sangue, avendo mostrato agli uomini solo un’immagine di sé (9). L’anima dei prescelti si libererebbe gradualmente dall’involucro corporale e attraverso una serie di reincarnazioni raggiungerebbe la redenzione finale, tornando a essere spirito buono.
Che tale fosse il loro pensiero trova conferma in quanto scrive l’inquisitore mons. Bernardo Gui O.P. (1261-1331), sulla scorta di interrogatori da lui effettivamente svolti e riportati negli atti processuali del tempo: «L’eresia consiste nel credere che Dio non sia unico bensì che vi siano due creatori, ovvero Dio e il diavolo e così (essi) credono nella esistenza di due creazioni: l’una invisibile ed incorporea e l’altra visibile e corporea. Per la stessa ragione credono vi siano due chiese: una benevola che identificano nella loro setta e l’altra che sarebbe la vera chiesa, considerata da loro maligna.
«Con impudenza essi chiamano la chiesa romana, madre di tutte le fornicazioni, una grande Babilonia, meretrice, basilica del diavolo e sinagoga di satana, i manichei dimostrano il loro disprezzo per tutti i gradi della sua gerarchia e i suoi statuti e inoltre chiamano eretici tutti i fedeli e li accusano di perseverare nell’errore, per questo stabiliscono dogmaticamente che nessuno potrà mai salvarsi nella chiesa romana.
«Oltre a ciò ritengono inutili tutti i sacramenti della chiesa romana ovvero l’eucarestia, il battesimo con l’acqua, la confermazione l’ordine sacro, l’estrema unzione e inoltre il matrimonio tra un uomo e una donna». E ancora: «Allo stesso modo rifiutano l’incarnazione del nostro signore Gesù cristo, il parto della Vergine Maria. Non credono che Cristo sia morto e che dunque non sia risuscitato, perciò Maria non è la vera madre di Dio. Essi credono in uomini esperti e capaci. Si astengono dal mangiare non solo la carne, ma anche i formaggi, le uova, e tutto ciò che sia prodotto dagli animali. Inoltre i manichei non uccidono nessun animale, poiché credono fermamente che negli animali possono essere quegli spiriti dei defunti che non sono ancora entrati a far parte della loro setta. Il passaggio degli spiriti da un corpo all’altro (la reincarnazione) avviene mediante l’imposizione delle mani (che essi chiamano consolamentum) questi eretici poi, non hanno nessun contatto con le donne». Inoltre, scrive Gui, «contestano che nel pane ci sia il corpo di Cristo perché, sostengono, se così fosse, sarebbe stato già mangiato tutto. L’ostia viene digerita nel ventre ed espulsa infimamente, l’acqua materiale è cosa infima e i chierici arrivano a vendere quell’acqua […]. Non è possibile adorare la croce di Cristo perché non si può adorare un patibolo» (10).
Tutto ciò che è corporeo sarebbe esecrabile, perché creato da Lucifero: l’unione con una donna era maligna, come lo erano il matrimonio e il parto stesso. Coerentemente, la morte del corpo era da affrettare tramite il suicidio o l’omicidio rituali, che essi chiamavano «endurum». Si arrivava a consigliare cinque modalità diverse per porre termine alla propia vita: l’avvelenamento, la morte per fame, il dissanguamento, il gettarsi da un precipizio o la congestione polmonare — provocata con il distendersi su una lastra di ghiaccio dopo un bagno bollente — e lo strangolamento.
Al loro interno i catari si distinguevano in «credenti», a loro volta separati in «buoni uomini» e «buone donne», non vincolati all’osservanza di tutti i precetti, e i «perfetti», suddivisi in Figli Maggiori e Figli Minori, che impartivano il consolamentum alle dipendenze di un vescovo. Le comunità erano rette da un Anziano, cioè da un perfetto che aveva ricevuto il consolamentum.
In conclusione, nel caso del catarismo non si rinviene il rigetto di un dogma specifico della Chiesa Cattolica, ma piuttosto il rifiuto di tutta la fede cristiana. Il movimento cataro, dunque, a parere di chi scrive, non fu eretico bensì apostata, non avendo nulla in comune con il cristianesimo anche ereticale.
La vita molto austera dei «perfetti» — castità, digiuni, abbigliamento dimesso — faceva sì che essi fossero spesso ritenuti cristiani molto virtuosi e ciò consentiva loro di fare proseliti fra i credenti.
Molto importante in Linguadoca fu l’appoggio delle famiglie nobili locali, convinte di difendere così i propri costumi e la loro autonomia (11).
Nel conflitto armato contro i catari, motivazioni politiche si mescolarono a quelle religiose e vi parteciparono anche avventurieri desiderosi di acquisire nuovi guadagni e ampliare i propri possedimenti.
I valdesi e gli albigesi
Intorno all’anno 1170 Pietro Valdo (1140-1218), un ricco commerciante di Lione, aveva fatto tradurre il Nuovo Testamento in francese e aveva fondato un nuovo movimento, che i trovatori provenzali denominavano Nova Leyczon. I seguaci furono denominati valdesi e, pur aderendo a una fede differente, avevano in comune con i catari l’avversione verso la Chiesa Cattolica. Vi fu tra loro un rapporto talmente stretto che la parola «albigese» — letteralmente «abitante di Albi», cittadina della Francia meridionale dove la presenza del catarismo era preponderante — finì per denotare indifferentemente valdesi e catari.
In realtà, il movimento dei «poveri di Lione», almeno alle origini, non si percepiva come estraneo alla Chiesa. La fedeltà al Papa del movimento valdese delle origini è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica espressa in occasione del terzo concilio del Laterano, nel 1176. Quando incontrarono a Roma il Pontefice Alessandro III (1159-1181), i valdesi dichiararono la propria contrarietà al movimento cataro. Il Papa dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non accolse la loro richiesta di predicare le Scritture senza l’intermediazione del clero.
Lo strappo avvenne quattro anni dopo. Nel 1180 fu convocato dal vescovo di Albano, il cardinale Enrico di Marcy (†1189), un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la propria completa «ortodossia» e fedeltà alla Chiesa e, al contempo, esposero quelli che consideravano gli errori dei catari. Essi, tuttavia, vollero anche formalizzare le richieste di lettura e di predicazione della Bibbia da parte dei propri aderenti, uomini e donne laici. Tali istanze furono successivamente considerate inaccettabili dalla Chiesa romana, preoccupata della confusione dottrinale che la lettura e l’interpretazione dei testi sacri da parte di laici avrebbe potuto provocare. Inoltre, la definizione della transustanziazione, cioè della totale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo in forza delle parole della consacrazione pronunziate dal sacerdote nella Messa, fu rifiutata dai valdesi, i quali divennero, così, eretici, anche se non apostati.
La crociata
Verso la fine del secolo XII il manicheismo, specialmente in Provenza, era diffuso in tutte le classi sociali. Italia, specialmente a Milano, Firenze, Viterbo e in altri luoghi minori, i catari avevano acquisito una notevole rilevanza sociale. Ben due concili francesi condannarono la loro dottrina: quello di Reims, nel 1049, e quello di Tours, nel 1163. Si succedettero diverse missioni cattoliche per illustrare ai catari quali fossero i punti da correggere nelle loro convinzioni. Una di queste, affidata ai cistercensi, fu organizzata da Papa Innocenzo III (1198-1216), ma non ebbe l’esito sperato. Infine, si recarono in Linguadoca, nel sud della Francia, Diego d’Acevedo (1170-1207), vescovo della diocesi spagnola di Osuña, e il sottopriore del suo capitolo, Domenico di Guzmán (1170-1221). Il loro approccio fu adeguato allo stile dell’avversario: inviarono i propri missionari a predicare a due a due, in abiti poveri, scalzi, pronti a disputare con chiunque. Se è vero che neanche questa missione ebbe un esito fruttuoso nell’immediato, essa costituì però una delle concause che portarono alla nascita dell’ordine dei frati predicatori, i domenicani.
Nel 1167, un eresiarca di nome Nicheta aveva presieduto un concilio delle chiese manichee, con la partecipazione di eminenti nobili ed eresiarchi delle comunità del nord e del sud della Francia, dell’Italia settentrionale e dei Balcani (12). Altri nobili di Tolosa sollecitarono nel 1177 l’intervento della Chiesa e, due anni dopo, durante il Concilio Lateranense III, Papa Alessandro III scomunicò i catari.
A guardare con benevolenza il movimento cataro erano soprattutto i nobili discendenti dai re visigoti che, al contrario, e comprensibilmente, nutrivano una certa ostilità nei confronti del re di Francia Filippo II (1165-1223) e della riorganizzazione politico-amministrativa del regno, da lui intrapresa, che accresceva il suo potere effettivo al di fuori dell’Ile-de-France (13).
Negli anni immediatamente successivi alla scomunica la presenza dei catari fu relativamente tollerata dalla Chiesa, che la giudicava poco più che un’appendice dei numerosi conflitti esistenti tra feudatari e potere regio. L’atteggiamento mutò radicalmente in seguito all’uccisione, il 15 gennaio 1208, del beato Pietro Castelnau (1170-1208), legato pontificio di Innocenzo III, caduto vittima di un agguato da parte dei catari, che lo avevano assassinato senza alcun motivo specifico. Il Pontefice prese atto che l’omicidio andava interpretato come un episodio della guerra già in essere contro la Chiesa e incaricò Arnaldo Amaury (†1225), abate di Citeaux, in Borgogna, di organizzare una crociata. Questi si avvalse come condottiero del nobile Simone di Montfort (1170-1218)
Come si è detto, l’evento bellico non ebbe risvolti esclusivamente religiosi, perché offrì l’occasione di rendere effettiva sui territori del Meridione la sovranità del re di Parigi, che per decenni era stata solo nominale. Di conseguenza i francesi del sud — cattolici, eretici o apostati che fossero — vissero la discesa delle truppe reali come un’invasione.
La prima città ad essere conquistata fu Béziers. A questo assedio è associata la «leggenda nera» della crociata contro gli albigesi. Alla presa della città Montfort avrebbe chiesto al legato Amaury se bisognasse distinguere, fra gli abitanti, i cattolici dai valdesi e dai catari, e avrebbe avuto la seguente risposta: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi»; una frase enfatizzata da numerosi divulgatori, anche autorevoli, ma non necessariamente veritiera. Nelle pur numerose cronache della crociata non vi è traccia di questo ordine.
La fonte più antica che riporta l’episodio è il Dialogus Miracolorum (1222 ca.), un centone apologetico di vari miracoli scritto dal monaco cistercense, Cesario di Heisterbach (ca. 1180-1240 ca.), vissuto in una abbazia del nord della Germania e mai recatosi in Provenza. Fra i molti miracoli che raccoglie vi è anche quello che segue, introdotto tuttavia da un non troppo rassicurante Fertur dixisse» — «si dice che…» —: mentre i crociati facevano strage a Béziers, Dio avrebbe riconosciuto i «suoi», permettendo ai non catari di sfuggire alla mattanza (14).
In realtà quell’anno i crociati avevano, prima dell’assalto finale, inviato ripetutamente ambasciatori per invitare la città alla resa. Secondo le cronache del tempo il massacro di Béziers fu causato da una sortita notturna dei catari che avevano attaccato i «ribauds» — da cui trae origine il termine «ribaldo» —, feroci truppe mercenarie che respinsero i catari e li inseguirono fin dentro alla città, compiendo il massacro (15).
I catari e i loro sostenitori reagirono con una serie di atrocità, che resero quella guerra una delle più spietate di tutto il Medioevo (16). La presa di Montségur, ultima città controllata dai catari, il 16 marzo 1644, e l’uccisione di circa duecento «perfetti», come rappresaglia per l’assassinio di due inquisitori, pose fine alla crociata, mentre il catarismo venne combattuto e vinto a più livelli: quello intellettuale, per esempio con la fondazione dell’università di Tolosa per la preparazione dei predicatori; quello pastorale, con la predicazione evangelica dei domenicani e quello istituzionale, con la diffusione del tribunale dell’inquisizione, che non fu «la sinistra istituzione burocratica e repressiva della leggenda» (17). Del resto, «l’arma dell’inquisizione era la ragione, non il terrore, [per estirpare l’incredulità] con la persuasione e la riconciliazione» (18).
Sopravvivenza dei catari e loro tracce fino ai giorni nostri
Non tutti i nobili catari erano scesi in battaglia durante la crociata. Il catarismo sopravvisse, confondendosi o rifugiandosi in altre consorterie. Così, secondo alcuni autori, si rinvengono Maestri e Siniscalchi catari nell’ordine dei Templari, poi in società segrete gnostiche — la società dei Rosacroce nascerebbe nel monastero di Loudun, fondato nel 1334, dove inoltre, in alcuni manoscritti, si rinviene per la prima volta in Occidente la rosa araldica sormontata dal simbolo orientale della svastica —, infine nella massoneria (19).
In particolare, fra le logge massoniche particolarmente fiorenti nella Germania del primo dopoguerra si collocava la loggia luminosa, o «società di Vril», conosciuta come Gruppo di Thule, emanazione della loggia «Ordine dei Tedeschi», che propugnava la purezza della razza. Nel 1918 Karl Haushoffer (1869-1946), membro del Gruppo Thule, dopo un viaggio in Oriente, si stabilì a Monaco di Baviera, dove aderì al nascente Partito Operaio di Germania — che nel 1920 si trasformerà poi nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori — e conobbe Adolf Hitler (1889-1945). Componenti del gruppo furono, fra gli altri, Hans Frank (1900-1946), il futuro governatore della Polonia, Dietrich Eckart (1868-1923), amico personale di Hitler e direttore del giornale del partito, Arthur Rosenberg (1889-1943), ideologo ufficiale del nazionalsocialismo, e Rudolf Hess (1894-1987). La figura che attesta l’interesse del regime per i catari è quella di Otto Rahn, membro del Gruppo Thule, il quale, su ordine di Rosenberg, effettuò due spedizioni a Montségur nelle grotte dei catari e scrisse Crociata contro il Graal.
Un «filo rosso» pare poi collegare i catari a fatti culturali molto più vicini a noi nel tempo e che innegabilmente subiscono almeno la suggestione di quella ideologia. «Se ora guardassimo alla nostra società, potremmo ritrovarvi alcuni elementi che lasciano pensare ad un “ritorno di fiamma” di un certo catarismo, privato però in parte della sua portata teologico-spirituale. Come infatti tra i catari era proibito il matrimonio, così oggi buona parte della società moderna è tendenzialmente ostile ad ogni forma di unione stabile e duratura tra uomo e donna. Se i catari di ieri, però, non si sposavano per una forma di ascetismo tesa all’acquisto del paradiso, gli uomini di oggi non lo fanno perché desiderano rimanere liberi, privi di impegni definitivi, facendo così della loro “libertà” un proprio piccolo dio da adorare e soprattutto raggiungere.
«Tra i catari, poi, era vietato mangiare carni animali, e ciò sempre, ben inteso, per finalità spirituali, per liberarsi cioè dagli influssi demoniaci e poter tendere così verso la gloria del Paradiso. La società contemporanea condivide in parte questo astenersi dal mangiare carni animali. Ciò però non per motivazioni ascetico-religiose, come accadeva nel medioevo, bensì perché è ritenuta disumana l’uccisione di animali per l’alimentazione dell’uomo. E di questo astenersi dal mangiare carne se ne fa spesso un segno di civiltà e di progresso (sebbene poi si tolleri l’uccisione di milioni di bambini nei ventri delle madri…), progresso al quale tutti dovrebbero tendere e a cui tutto occorrerebbe asservire, pena il rimanere indietro rispetto a non si sa bene quale traguardo da raggiungere.
«Come domenicani ci viene domandato, oggi come ieri, di predicare Cristo con assiduità, dolcezza e verità (opportune et importune, direbbe S. Paolo) a tutti gli uomini, mettendoli in guardia da false ideologie, false morali e persino falsi dèi» (20).
Note:
1) Codice di Diritto Canonico, art. 751.
2) Ibidem.
3) Mani (216-277), predicatore di origine iranica, nasce nella regione di Babilonia. Battezzato, ripudia il cristianesimo e propugna una religione sincretistica basata sull’esistenza di due opposti princìpi.
4) Il paulicianesimo è una denominazione religiosa sorta in Armenia nel secolo VII e diffusasi tramite la predicazione di Costantino di Manamali (†682), che pretendeva di rifarsi direttamente agli insegnamenti e all’azione di san Paolo apostolo. La sua dottrina era ispirata a un dualismo nettamente manicheo, che contrapponeva il Dio celeste al Creatore, respingeva il Vecchio Testamento e negava l’Incarnazione.
5) Cfr. Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2, 29, consultabile all’indirizzo web https://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030124_giovanni-damasceno_it.html (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-6-2023).
6) Anonimo Cataro, Libro dei due principi, trad. it., ESD. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2010, p. 81.
7) Ibid., p. 335.
8) Giacomo Bettini, Introduzione a ibid., p. 27.
9) Cfr. Otto Rahn (1904-1939), Crociata contro il Graal. Grandezza e caduta degli Albigesi, trad. it., AGA. Arti Grafiche Ambrosiane, Cusano Milanino 2014, p. 193.
10) Bernardo Gui, Pratica inquisitionis ereticae pravitatis, capitolo V, Alphonse Picard, Parigi 1886.
11) Cfr. Christopher Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, trad. it., Einaudi, Torino 2017, pp. 591-593.
12) Cfr. O. Rahn, op. cit., p. 252.
13) Sul regno di Filippo II in rapporto alla formazione dello Stato moderno cfr. Francesco Pappalardo, La parabola dello Stato moderno. Da un mondo «senza Stato» a uno Stato onnipotente, D’Ettoris, Crotone 2022, pp. 136-137.
14) Un altro dettaglio, rivelativo del fatto che Cesario possa aver sacrificato la veridicità fattuale in vista di una resa ancora più edificante dell’apologo è la perfetta sovrapponibilità delle parole di Amaury con il versetto biblico della seconda Lettera a Timoteo: «Tuttavia le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi» (2Tim, 2,19).
15) Cfr. Vittorio Messori, Una «Lega anticalunnia» in difesa dei cattolici, in Corriere della Sera, 31-1-2007.
16) Cfr. C. Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, cit., pp. 606-607.
17) Ibid., p. 616.
18) Ibidem.
19) Cfr. Jan Michel Angebert, Hitler et la tradition catare, Robert Laffont, Parigi 1976, p. 174.
20) Fabrizio P.M. Cambi O.P., Un nuovo «catarismo» e i domenicani di oggi, nel sito web https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/286-un-nuovo-catarismo-e-i-domenicani-di-oggi.html .
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Su catari e albigiesi:
La crociata contro gli albigiesi
«Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi»
Simone Weil. Una catara del Novecento
E l’ecologista arruola il virus. Il fatale esito di un’antica eresia