Il Corriere del Sud n.2 del 15 marzo 2008
di Giuseppe Brienza
La martellante ed efficace propaganda per la “patria tedesca”, il risentimento per l’ingiusto trattamento riservato con il trattato di Versailles alla Germania sconfitta all’indomani della guerra 1915-18 e, in seguito alla battaglia di Stalingrado del 1943, il terrore della vendetta sovietica, furono i principali fattori all’origine del consenso esistente fra i tedeschi, ancora durante il secondo conflitto mondiale, al regime nazionalsocialista. Questo non toglie però il fatto che, in nome della loro coscienza cristiana, non pochi furono gli oppositori di Hitler sia in ambito protestante sia cattolico.
Di Von Galen, detto il “leone di Münster” che, eletto alla sede episcopale della città tedesca all’inizio del nazismo, il 28 ottobre 1933, scelse come suo “programma” il motto “Nec Laudibus, Nec Timore”- “Né con le lodi né con la minaccia” (devio dalle vie di Dio), molto di più si sa a seguito della beatificazione avvenuta a San Pietro il 9 ottobre 2005 da parte di Benedetto XVI (rimando quindi al sintetico ma efficace suo profilo curato in tale occasione dal prof. Oscar Sanguinetti: cfr. Il “Leone di Münster”, in il Timone, n. 48, dicembre 2005, pp. 26-27).
Mi preme qui sottolineare come quel pontefice che ancora oggi viene ingiustamente accusato di debolezze se non “simpatie” verso il regime hitleriano, vale a dire Pio XII, non solo si espose incoraggiando pubblicamente Von Galen alla vigilia delle sue due “grandi prediche” dell’estate del 1941 che gli costarono la persecuzione da parte delle autorità nazionalsocialiste (fra l’altro inviandogli una lettera, datata 16 febbraio 1941, nella quale papa Pacelli ne elogiava lo zelo con il quale teneva “viva nei fedeli la coscienza dell’appartenenza alla Chiesa universale”, contro “i tentativi di incapsulare i cattolici tedeschi e allontanarli dal Papa”), ma gli conferì anche a guerra ultimata, il 18 febbraio 1946, la porpora cardinalizia, rendendogli così definitivo omaggio da parte della Chiesa tutta alla condotta intrepida mantenuta durante tutto il periodo della dittatura.
Qualche osservazione in più nei confronti di Jakob Gapp, sacerdote marianista (cioè appartenente alla Società di Maria, istituto religioso fondato nel 1817 a Bordeaux da padre Guglielmo Chaminade), proclamato beato da Giovanni Paolo II il 2 novembre 1996, la cui memoria liturgica cade il 13 agosto, data nella quale, nel 1943, fu decapitato a Berlino, dopo sette lunghi mesi di carcere ed un processo di sole due ore, su ordine della Gestapo. Poche ore prima aveva così scritto in lettere piene di gioia e fiducia in Dio indirizzate a familiari e superiori: “Considero questo giorno come il più bello della mia vita”, “Ho attraversato dure prove, ma adesso sono felice”.
Alla sua sorte, nel dopoguerra, quasi nessuno si era più interessato fino a quando, proprio il suo “aguzzino”, vale a dire il pastore protestante che fu consulente del regime nazista per gli affari religiosi Karl Ludwig Neuhaus, responsabile dell’“istruttoria” del suo processo-farsa, a più di cinquant’anni di distanza, ha testimoniato in favore della sua beatificazione.
Ad esempio rendendo noto il telegramma, inviato alla Gestapo il giorno stesso della sua esecuzione, in cui con queste parole raccomandava l’opportunità di non restituire il corpo di padre Jakob alla famiglia (esso fu consegnato infatti all’Istituto anatomico dell’università di Berlino e, pertanto, di lui non esistono a tutt’oggi reliquie): “Il Gapp, durante l’interrogatorio, ha ripetuto più volte di aver agito in nome della fede cattolica e ha indicato nella religione l’unica causa dei suoi comportamenti. Potrebbe accadere che Gapp sia ritenuto martire della fede dalla gente succube del cattolicesimo e che, anziché dargli la sepoltura che conviene a un traditore della patria, venga esaltato, in silenziosa protesta, dal popolino credente, come un giustiziato a causa della propria fede” (cfr. Giovanni Ricciardi, Uomini senza patria, in 30Giorni, n. 12, dicembre 1996, pp. 64-68).
Infine Franz Jägerstätter, un semplice contadino e padre di famiglia tirolese (aveva una moglie, Franziska, che ne approvò sempre il comportamento, sapendo perfettamente cosa ciò avrebbe comportato, e tre figlie in tenera età) il quale, chiamato alle armi nel 1943, dichiarò in nome della sua coscienza cristiana di non poter servire l’ideologia nazionalsocialista combattendo una guerra ingiusta e, quindi, si fece renitente alla leva. Venne per questo ghigliottinato, a Brandeburgo, il 9 agosto 1943.
“Scrivo con le mani legate – annotò pochi giorni prima della condanna a morte -, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà […]. Perché Dio avrebbe dato a ciascuno di noi la ragione ed il libero arbitrio se bastava soltanto ubbidire ciecamente? O, ancora, se ciò che dicono alcuni è vero, e cioè che non tocca a Pietro e Paolo affermare se questa guerra scatenata dalla Germania è giusta o ingiusta, che importa saper distinguere tra il bene ed il male?” (cfr. F. Jägerstätter, Scrivo con le mani legate. Lettere dal carcere e altri scritti dell’obiettore-contadino che si oppose ad Adolf Hitler, Libreria editrice Berti, Piacenza 2005).
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