Alleanza Cattolica croce di Ferrara,
27 luglio 2016
di Silvia Scaranari (*)
«Oggi siamo in guerra» ha detto il Papa in volo verso la Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia e «Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti. Nel mondo c’è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Sì, un aggressore “ingiusto” deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra». Aveva dichiarato due anni fa, il 18 agosto 2014, sul volo di ritorno dalla Corea del Sud.
Quindi il Santo Padre non è nuovo a queste dichiarazioni, ma rappresentano un suo pensiero ripetuto. Che cosa cambia tra una dichiarazione e l’altra? Che in Polonia ha aggiunto una precisazione sul fatto che la religione non è un elemento di questa guerra in corso. Assolutamente comprensibile da un punto di vista strategico. Avallare l’idea jihādista che sia in corso un conflitto fra l’islām e il Cristianesimo-Occidente (per la maggior parte dei musulmani i due concetti continuano a viaggiare in simbiosi) sarebbe un gravissimo errore. Da un lato darebbe agli ultra-fondamentalisti islamici un appoggio importante e rafforzerebbe la loro posizione rischiando di spostare sul fronte jihādista molta popolazione al momento estranea alle dinamiche in corso, e dall’altra dichiarerebbe un’identità cristiana dell’Occidente completamente falsa.
Possiamo pensarla in vario modo ma l’Occidente (Europa e tutto il resto del mondo che in qualche modo ne ha subìto nel tempo l’influenza, la cosiddetta Magna Europa) non è più cristiano da decenni se non secoli. Lo ha scritto e detto più volte san Giovanni Paolo II che non per nulla ha lanciato la Nuova Evangelizzazione. Questa non è tale solo per i mezzi mass-mediatici odierni, per la sensibilità diversa delle nuove e vecchie generazioni, ma è tale perché cade su una totale ignoranza religiosa, su una totale mancanza di dimensione spirituale della vita.
Per riprendere il discorso del Papa, non è guerra di religioni, al plurale, ma credo di poter dire di parte di una religione rispetto “all’altro da sé”.
Un certo islām, quello che fa riferimento al mondo salafita-jihādista, come abitualmente si definisce, ha dichiarato guerra a tutto ciò che ritiene di impostazione diversa, islām compreso, ed infatti i massacri non risparmiano i sunniti dissidenti, i musulmani moderati, gli sciiti.
Negare che i jihādisti siano animati nel loro operato da un forte anelito religioso fa loro torto e fa anche torto all’islām nel suo insieme. La storia del fondatore, Muhammad, è oggetto di molti studi, nuovi documenti sono emersi e quindi sarebbe necessario approfondire il suo operato, ma certamente non si può dire che non fosse un uomo con un forte senso religioso dell’esistenza. Già prima di iniziare l’avventura dell’islām, era un uomo “in ricerca”, spesso si isolava in meditazione, amava discutere con uomini sapienti ebrei e cristiani compresi. Poi inizia a ricevere la “rivelazione” da Allah e inizia un cammino di conversione del suo popolo che dura fino alla sua morte.
Non voglio negare che il suo operato abbia avuto un alto valore politico ed economico: ha riunificato decine di tribù in costante lotta intestina per il controllo di vie carovaniere, ha incoraggiato e razionalizzato i commerci, ha dotato il popolo arabo di una legge uniforme facendone una nazione e non solo un cumulo di clan rivali, ma in tutto questo il collante di fondo è una fede: l’islām. Una fede in un Dio, in una vita oltre la morte, nel valore della preghiera, in un dovere di applicare una legge, ecc.
Muhammad era un uomo religioso e lo erano i suoi compagni. Proprio mentre esercitava la funzione di governo della città che lo aveva accolto in un momento di pericolo, l’attuale Medina, il Profeta ha indetto circa 19 scontri per assoggettare le tribù della penisola arabica. E assoggettarsi voleva dire stabilire un patto di conversione e di sottomissione ad Allah tramite la sua persona. Tanto che subito, dopo la sua morte, molte tribù si sono ribellate affermando di aver siglato un patto ad personam ma la risposta del successore, Abu Bakr, non si è fatta attendere: lotta spietata e ri-sottomissione.
Ho scritto diverse volte e in più parti che non si può intendere il jihād solo come violenta aggressione, anzi che questa interpretazione è errata, che ci sono diversi modi di intendere jihād e che il primo è lo sforzo di conversione personale. Nonostante ciò, jihād vuole anche dire lotta armata e con questo significato è stato usato molte volte nella storia.
Però non basta che una guerra veda dei musulmani in armi perché si possa parlare di jihād. Ci sono delle regole, delle situazioni ben precise, delle condizioni specifiche perché si possa invocare il jihād che, per sua natura, ha una forte componente religiosa.
Non è una guerra combattuta da musulmani, è un conflitto combattuto da uomini e donne per l’islām, con una forte motivazione religiosa e vissuta come una dimensione spirituale della vita.
Secondo tutte le scuole giuridiche classiche, il jihād non è un bene in sé stesso, bensì un male che diventa lecito, anzi obbligatorio e quindi un bene, in rapporto allo scopo cui tende, ovvero abolire un male maggiore, la mancata sottomissione al vero Dio. Il jihād tende infatti all’espansione della vera religione tra i miscredenti o al ripristino del vero governo nella comunità islamica, o ancora alla riconquista di territori perduti e, in quanto tale, diventa un bene, anzi un obbligo per i musulmani maschi, sani di mente, adulti – dopo la pubertà – e liberi.
Possiamo dire che l’attuale attacco che stiamo subendo non ha nulla a vedere con la religione? Mi pare difficile. Allo stesso tempo, si può dire che gli attentatori attivi in Europa sono membri di un esercito? Certamente no, non sono soggetti organici ma questa è una delle componenti della guerra asimmetrica in corso oggi.
L’immagine della mappa appesa al muro con i carri armati e truppe in avanzamento, con bandierine puntate ad indicare un nuovo territorio occupato, deve andare in soffitta fra le cose vecchie. Come in soffitta deve finire la scuola militare convenzionale. La nuova guerra non è più quella, è quella del terrorista suicida, del drone che colpisce senza essere avvistato, del vicino di casa che parte armato solo di coltello, dell’agente segreto che sembra un bonaccione, dell’analista finanziario che brucia o fa guadagnare milioni di euro con un click sul computer.
Ancora una considerazione, la più importante: quello a cui stiamo assistendo non è un conflitto fra religioni ma fra fedeli di una religione animati da una forte convinzione da una parte e un mondo senza alcuna fede dall’altro. Da una parte una Ragione razionalista, puramente sperimentale e quindi relativista, senza Religione, e dall’altra una Religione senza Ragione come sottolineava Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona.
In Occidente oggi siamo preda di una mancanza di comprensione. Come si risponde: aboliamo la religione, educhiamo alla laicité i musulmani, così li educhiamo a vivere in armonia con gli altri, senza considerare che proprio la totale mancanza di senso della vita, l’esistenza votata al nulla proposta dal nostro mondo nichilista genera il terrorismo.
La natura aborre il vuoto e questo vale anche per la mente e il cuore dell’uomo. Dove cuore e mente restano vuoti di significati per cui vale la pena vivere, lavorare, piangere ma anche sorridere, si insinua la disperazione. È noto che i gruppi ultra fondamentalisti islamici spendono soldi ed energie per organizzare reti di contatti, di stimoli per giovani e meno giovani soli, demotivati, annoiati. A questi propongono compagnia, anche nelle ore notturne, propongono la scoperta del brivido, la speranza che ci sia una vita più bella, più gratificante per cui vale la pena di sacrificare la propria e morire per Allah.
Alla violenza che grida il nome di Dio, non si può rispondere con “Dio è morto” ma solo con “Dio è vivo ed è Gesù Cristo” il quale non ha scelto una via pacifica per salvare l’umanità ma la morte, vinta con la resurrezione.
Il Papa invita a pregare, e questa è la cosa più importante, più urgente perché solo la preghiera può muovere i nostri cuori e le nostre forze per vincere una guerra che è tanto più grande di noi. Alla forza jihādista islamica si deve rispondere con la forza del cristianesimo, solo la Verità può combattere l’errore. Ma non pensiamo che tutto avvenga per via miracolistica, la preghiera genera salvezza perché dà all’uomo la forza di agire secondo verità e solo la verità può salvarci, anche dal dilagare del terrorismo. Pregare e agire, con la disponibilità a soffrire per salvare il mondo.
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(*) Silvia Scaranari è co-fondatrice del “centro Federico Peirone” per il dialogo cristiano-islamico di Torino, e autrice di un prezioso contributo per ricostruire il significato del termine jihᾱd a partire dalla dottrina, per esaminarne poi lo sviluppo nel corso della storia, fino ai nostri giorni: Jihad significato e attualità, Ed Paoline