Il Timone Settembre 2022
Moda dalla parvenza etic, lo sharing rischia di travolgere tutto quanto: il lavoro, la quotidianità, perfino le relazioni. Risparmiare così rischia di costarci molto caro
di Mario Giordano
Scusate, mi avete chiesto un articolo sullo sharing. E io non posso che darvi un articolo in sharing. Quindi sappiate che potrà essere pubblicato sul Timone solo un mese, poi il mese dopo lo darò a qualcun altro che se lo piglia anche usato.
Anche la tastiera su cui sto scrivendo è in sharing: la divido con un collega. Per cui se il testo dovesse arrivarvi con un po’ di ritardo, abbiate pazienza. Abbiamo provato a dividerci la tastiera a metà ma sinceramente non riusciamo a scrivere un articolo decente usando solo «qwertgfdsazxcvb», cioè le lettere della parte sinistra.
L’altro noleggiatore era più agevolato avendo a disposizione «poiuyhjklmnbv». Ma poi abbiamo litigato sulla «g», che sta proprio lì, nel mezzo della tastiera, e dunquue non se n’è fatto nulla: ora lo sharing della tastiera funziona a giorni alternati. Il giorno pari io scrivo e lui spedisce. Eviceversa.
Una tendenza fa che chic
Del resto, si sa, oggi se non fai un po’ di sharing non sei nessuno. C’è il bike sharing, il car sharing, l’house sharing, il sitter sharing, il coworking, il cohousing e il coushsurfing, anche se quest’ ultimo mi spaventa un po’ perché non amo fare surf, figurarsi come potrei fare surf con un divano.
C’era una volta San Martino che divideva il mantello a metà con il mendicante, ma ormai è superato: anche perché lui lo faceva per generosità, un sentimento chiaramente fuorimoda. Adesso si divide tutto per risparmiare. Oltre che, naturalmente, per essere alla moda con la nuova religione della dea Greta e dei cavalieri del sacro green. E così oggi se partecipi a un ricevimento chic in terrazza senza citare almeno due volte Blabclar e tre volte Airbnb, sei uno straccione. «Ci vediamo domani». «Ti passo a prendere». «Non scherzare.
C’è il bike sharing». Oppure anche: «per fortuna adesso c’è il car sharing». Se non lo usate, non importa: quello che importa è ripeterlo spesso. Farete un figurone
Italiani, proprietari per vocazione.
Ricordo mio nonno Lello che mi indicava sempre il suo piccolo pezzetto di terra, un angolo di vigna strappato alle colline piemontesi più impervie. Ne era orgoglioso.
Diceva: «Qui sarà sempre casa tua, nessuno ti potrà dire nulla, puoi fare quello che vuoi». E’ stata l’ambizione di generazioni di italiani: avere la propria casa, avere la propria auto, avere il proprio pezzetto di terra. Siamo (o eravamo)? Un popolo di piccoli proprietari di immobili, di coltivatori d’orti, di innamorati dell’auto, straccio e spugna ogni sabato per farla splendere come si conviene.
Ma tutto questo appartiene al passato. Perché è arrivato il vento dello sharing: la proprietà viene considerata un furto, come accadeva negli anni formidabili. Il nuovo totem è il noleggio. Una volta si noleggiavano i film in videoteca. Adesso quelli te li fornisce Netfix. In compenso, ci tocca noleggiare la vita. E siccome gli esperti dicono che questa tendenza è solo all’inizio, che va ancora più sviluppata, che il futuro sarà sempre più a noleggio, ebbene, comincia a venirmi qualche dubbio.
Scenari da incubo
Non è che tra un po’ anche le mogli (e i mariti) saranno in sharing? Scusa cara, stasera sei libera o ti affitta qualcun altro? Possiamo vederci o per cena o sono in ritardo con la prenotazione? E il prossimo Natale lo riservi a me o hai altre richieste?
Se lo programmiamo prima almeno risparmiamo sui regali (anche quelli in sharing). Pensateci: il destino è segnato. Infatti il matrimonio unico e indissolubile è stato messo in discussione da tempo, purtroppo, mentre la diffusione di coppie aperte e relazioni poliamorose viene esaltata dal pensiero dominante. Di qui il passo è breve: vi dichiaro marito e moglie finché sharing non vi separi. Cioè fra due ore.
E se mariti e mogli possono essere in sharing perché non fare altrettanto con i figli? Già vedo fior di intellettuali pronti a difendere la scelta: contro la crisi della natalità, affitta un figlio un paio di ore al giorno. Lo culli e ti senti padre o madre, ma giusto il tempo che serve, poi puoi andare tranquillamente a giocare a golf.
E i nonni in sharing? Funzionerebbero a meraviglia, con lo speciale libretto di istruzioni da consultare dopo aver scelto l’anziano noleggiabile sull’apposito catalogo. Lo preferite con il sistema usato sicuro (molti chilometri, ma revisione effettuata o con carrozzina decappottabile? Consegna a domicilio o direttamente in agenzia? Già immaginiamo il business fiorente, ovviamente sotto l’ombrello di qualche intellettuale pronto a spiegarci che le relazioni basate sul noleggio sono più profonde e vere di quelle basate sulla vetusta stabilità familiare. E poi vuoi mettere il giovamento all’ambiente?
A quel punto nulla sarebbe più proibito. Il pranzo? In sharing: metà te lo mangi, metà te lo mangiano (del resto in Italia con il fisco che ci troviamo ci siamo già abituati). Il sonno? In sharing: due ore dormi e due ore stai sveglio, come al tempo della ronda militare.
ùLo studio? In sharing: metà programma lo impari, l’altra metà lo impara il compagno. I libri? In sharing; una pagina la leggi tu, una pagina la legge qualcun altro (vorrai mica sprecare tutta quella carta?). la doccia? In sharing: oggi la fai tu, domani ti trovi dentro qualche vicino. L’unica cosa che non si potrà mettere in sharing saranno i mal di denti e i mal di pancia.E dire che per questi ultimi, avanti di questo passo, potranno essere assai numerosi.
Liquefazione totale
In affetti questo dilargare del noleggi, a dire in verità, è tutt’altro che rassicurante, con buona pace di nonno Lello e del suo pezzetto di terra. Perché tende a fare proprio l’opposto di quel che mi diceva lui: tende cioè a disancorare le persone umane da ogni relazione stabile e da ogni certezza. Saremo sempre più piume al vento. ù
Oggi qui, domani là. La terra è la radice, il noleggio è il soffio che ti porta via. Avere una casa, un’auto, una proprietà sarà pur costoso ma è il prezzo che paghiamo per essere noi stessi. Per costruire qualcosa di solido. Se tutto ciò verrà distrutto, saremo sempre più in balia degli altri. Alla loro mercè. ù
Chi governerà la nostra casa, se non ne avremo più una tutta nostra? Chi gestirà la nostra auto se, se non ne avremo più una tutta nostra? E se un giorno ci dicessero che non ce ne sono più di disponibili per nessuna ragione al mondo? Che faremo? Che ci resterà? A che cosa ci attaccheremo, oltre che al tram sharing?
E’ già successo con la rivoluzione digitale. Ci hanno fatto credere che nulla fosse più comodo, più conveniente, più economico. E ci hanno attirato in una trappola da cui non sappiamo uscire.
Oggi le comunicazioni social sono in mano ai giganti privati che possono decidere chi parla e chi no, in base ai loro insindacabili e poco democratici pareri. I giganti del tech possiedono i nostri dati, conoscono i nostri gusti, controllano le nostre scelte e possono decidere per noi. Abbiamo fatto un affare? Eppure sembrava così comodo e così conveniente.
Allo stesso modo adesso appare comodo e conveniente buttarci nell’economia dello sharing. Ma il rischio alla fine è che l’ultima cosa che resterà divisa, sarà, ancora una volta, la nostra vita. Oltre che il nostro cervello. E quest’articolo (ricordatevi. in sharing) che devo concludere qui perché lo sharing della tastiera, ovviamente, è finito.
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