Abstract: Chi è Nikki Haley, possibile candidata alla Casa Bianca nelle elezioni che ci saranno nel prossimo novembre per eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Donna americana di origini indiane di 51 anni, nata nel 1972 e convertita al cristianesimo dalla religione sikh in gioventù; una conservatrice vera che ha avuto ragione anche nell’ultima polemica in cui è stata coinvolta recentemente, quando un giornalista l’ha accusata di essere stata ambigua nel non indicare la schiavitù come uno dei motivi scatenanti la guerra civile americana. Molto ferma sui principi (non soltanto quelli non negoziabili inerenti a vita e famiglia), decisamente atlantista in politica internazionale, senza le ambiguità di Trump
Laboratorio sul conservatorismo 1 Gennaio 2024
Chi è Nikki Haley?
Lettera ai conservatori di Marco Invernizzi, dell’1 gennaio 2024.
Già il fatto di porre inizialmente la domanda su chi sia indica quanto un personaggio pubblico sia poco conosciuto a livello mondiale. E questo non è poco per un possibile candidato alla Casa Bianca nelle elezioni che ci saranno nel prossimo novembre per eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.
Nikki Haley è una donna americana di origini indiane di 51 anni, nata nel 1972 e convertita al cristianesimo dalla religione sikh in gioventù, entrata nella politica dopo avere studiato e dopo avere lavorato nel negozio di vestiti della famiglia ed essersi sposata nel 1996 con un americano, di cui porta il nome. Nikki Haley è diventata governatrice della Carolina del Sud, il suo Stato, nel 2010 e riconfermata nel 2014, ma due anni dopo, nel 2016, viene chiamata dal Presidente Trump a rappresentare gli USA all’Onu. Nel 2018, però, si dimette, ma il lungo e difficile rapporto con Trump continua, ambiguo e altalenante. Il suo conservatorismo è certamente molto diverso da quello del già Presidente americano. Molto ferma sui principi (non soltanto quelli non negoziabili inerenti a vita e famiglia), decisamente atlantista in politica internazionale, senza le ambiguità di Trump, Haley incarna un conservatorismo che possiamo forse definire classico, più simile a quello di Ronald Reagan che a quello strano, “anarchico” del Presidente Trump.
Oggi Nikki Haley è candidata alle primarie del Partito Repubblicano proprio per sfidare il già Presidente. Sembra che non abbia molte possibilità di farcela di fronte alla forza colossale economica e finanziaria del “mondo” rappresentato da Trump.
Personalmente, il suo conservatorismo mi convince molto di più. La sua appartenenza al mondo del Tea Party, la sua costante fedeltà ai principi fondamentali del bene comune inerenti alla sacralità della vita e alla centralità della famiglia, la sua convinzione che l’America abbia una responsabilità nei confronti del mondo libero che non vuole essere schiacciato dal “dispotismo orientale”, come nel caso della guerra in Ucraina e della libertà di Taiwan, me la fanno apparire come la candidata ideale contro Biden o chi rappresenterà il Partito Democratico alle presidenziali.
Una conservatrice vera, mi sembra. Che ha avuto ragione anche nell’ultima polemica in cui è stata coinvolta recentemente, quando un giornalista l’ha accusata di essere stata ambigua nel non indicare la schiavitù come uno dei motivi scatenanti la guerra civile americana o meglio, come sarebbe più corretto, la guerra fra gli Stati avvenuta in America fra il 1861 e il 1865. La schiavitù è certamente una delle cose più infami che gli uomini hanno inventato per farsi del male, che il cristianesimo ha combattuto ma che è ritornata nel mondo a partire dal XVI secolo perché faceva comodo agli interessi di tante potenze mondiali dell’epoca, nonostante le condanne della Chiesa. Ma con la guerra civile americana c’entra veramente poco, se non come uso strumentale contro il sistema sociale in uso negli Stati confederati che si erano ribellati contro il governo centrale, un sistema sociale che non sarebbe potuto cambiare nello spazio di un mattino. Lo spiega bene, sine ira et studio, un autore serio come Raimondo Luraghi (1921-2012) nella sua opera classica “sempre verde” La guerra civile americana (Einaudi 1966, pp. 43-82).
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