di Giuseppe Brienza
Il prossimo 15 ottobre monsignor Pietro Parolin sostituirà il cardinale Tarcisio Bertone alla guida della Segreteria di Stato della Santa Sede. Dal suo curriculum pare abbia tutte le carte in regola per assistere Papa Francesco nella riforma del curia e nella maggiore attenzione che il Pontefice vorrà porre sulle questioni internazionali.
Allora il prelato italiano assunse un ruolo incisivo, proponendo con determinazione e costanza quella che, con le altre richieste della Santa Sede a tutela della libertà religiosa nell’UE, qualificava giustamente come proposte «ecumeniche, nel senso che non esprimono le attese della sola Chiesa Cattolica, ma quelle di tutti i credenti in Cristo che vivono in Europa.
Per questo motivo, esse sono state rese pubbliche con un documento congiunto degli Episcopati [cattolici] dell’Unione Europea e della Conferenza [protestante] delle Chiese in Europa» (Pietro Parolin, Richieste essenziali delle Chiese cristiane alla Convenzione, in Paolo Scarafoni-Michael Ryan (a cura di), Le radici cristiane dell’Europa dall’est all’ovest, Edizioni ART, Roma 2003, p. 92).
La Santa Sede, su impulso di Parolin, cercò invano di far comprendere ai membri dell’allora “Convenzione europea” il concetto per cui, «pur vivendo ed operando nella società civile, le Confessioni religiose non possono essere identificate con essa, in quanto si qualificano in modo assolutamente originario, a partire dal dato decisivo ed identificante che le vede affrontare la dimensione trascendente.
Per questo motivo non è sembrato superfluo evidenziare la difficoltà che si avrebbe rispetto all’ipotesi, per quanto remota, di una riconduzione anche formale delle Chiese nell’ambito del Comitato economico-sociale… perché comunicherebbe l’idea delle Confessioni come una sorta di organizzazioni non governativa a fini spirituali-filantropici. Un modello nel quale esse non si riconoscono» (P. Parolin, Richieste essenziali delle… art. cit., p. 95).
In queste parole notiamo subito una consonanza ideale del futuro Segretario di Stato con il pensiero di quel Papa che, nell’Omelia alla Santa Messa con i cardinali pronunciata il giorno dopo la sua elezione (nella Cappella Sistina, il 14 marzo 2013), fece scalpore nel predicare la fedeltà della Chiesa all’annuncio del messaggio di salvezza di Gesù Cristo, altrimenti, come disse, «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore» (cit. in Vi chiedo di pregare per me. Inizio del Ministero Petrino di Papa Francesco, Libreria Editrice Vaticana , Città del Vaticano 2013, p. 10).
E’ vero che il neo segretario di Stato è “scivolato” sulla riapertura della discussione sui preti sposati (rispondendo ad una domanda di un quotidiano venezuelano ha infatti affermato che il celibato sacerdotale «non è un dogma della Chiesa e se ne può discutere perché è una tradizione ecclesiastica», aggiungendo comunque – ma questo i media non l’hanno notato… – che, però, «non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato») ma, come commentato su Vatican Insider dal cardinale Tauran, ex “ministro degli esteri” di Giovanni Paolo II, «Parolin è un’ottima scelta»
Fra le altre reazioni internazionali positive alla designazione di Parolin, vi è quella del professor Kishore Jayabalan, direttore dell’Istituto Acton-Italia fondato da padre Sirico. Avendoci lavorato personalmente insieme, l’economista americano ha infatti commentato: «Con la nomina dell’arcivescovo Monsignor Pietro Parolin come Segretario di Stato, Papa Francesco ha fatto la sua prima significativa nomina curiale, che ci permette di valutare la direzione che il Papa intende intraprendere per il suo governo.
Per quel che vale, il mio tempo presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è coinciso con il periodo in cui lavorava Parolin nella seconda sezione (o agli affari esteri) della Segreteria di Stato e lo ritenevo molto competente e simpatico, sempre guidato dalla sincerità, un equilibrio che i diplomatici non mostrano sempre tanto facilmente»