Mons. Ranjith e i vescovi che disobbediscono al Papa. Disobbedire al Papa non è cosa da vescovi. E quelli che fanno la fronda contro la liberalizzazione del rito in latino, voluta da Benedetto XVI, rischiano di trasformarsi in «strumenti del diavolo»
di Marino Rocca
Disobbedire al Papa non è cosa da vescovi. E quelli che fanno la fronda contro la liberalizzazione del rito in latino, voluta da Benedetto XVI, rischiano di trasformarsi in «strumenti del diavolo».
A lanciare l’accusa di connivenza col Nemico non è qualche scalmanato, ma il prelato che Ratzinger ha chiamato a gestire il ministero vaticano per la liturgia: l’arcivescovo srilankese, Malcolm Ranjith, segretario della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti, “fedelissimo” del Papa tedesco.
Da quando è stato promulgato, lo scorso luglio, il Motu Proprio Summorum Pontificum continua a essere un campo di battaglia: vescovi che traccheggiano ed emanano regolamenti restrittivi, amanti del vecchio rito che denunciano sabotaggi, petizioni di protesta, e la diocesi di Milano che ha addirittura dichiarato che il Motu Proprio non vale dove vige il rito liturgico ambrosiano.
Oltretevere, stanno già lavorando a un documento per fornire norme chiare che tolgano pretesti ai renitenti. Ma, intanto, nella querelle liturgica volano parole sempre più grosse. Ranjith ne ha dato un saggio parlando in quell’Olanda che ai devoti della sana dottrina appare come la fucina di tutte le stravaganze teologico-liturgiche.
In una conferenza tenuta a Hertogenbosch, l’arcivescovo ha fatto l’apologia del Motu Proprio presentandolo come «frutto di una profonda riflessione del Papa sulla missione della Chiesa». Poi ha puntato l’artiglieria pesante contro i vescovi “malpancisti” puntualizzando che «non si addice a noi, che vestiamo la porpora, mettere in questione il Motu Proprio, essere disobbedienti e svuotarlo con le nostre regolette piccine. Nemmeno se sono fatte da una conferenza episcopale».
Nella Chiesa, ha aggiunto Ranjith, «si deve obbedire a quello che dice il Papa. Se non seguiamo questo principio, permetteremo di essere usati come strumenti del demonio». La chiamata in causa del Principe delle Tenebre non è stata un artificio retorico.
Secondo Ranjith, anche il Motu Proprio va considerato come un rimedio alla condizione di debolezza della Chiesa. Gli ecclesiastici che non lo capiscono assomigliano secondo l’alto ecclesiastico vaticano «all’imperatore Nerone, che suonava la cetra mentre Roma stava bruciando: le chiese si vanno svuotando, non ci sono vocazioni, i seminari sono già vuoti. I preti diventano sempre più vecchi, i preti giovani sono insufficienti».
E se questa è la situazione, chi rifiuta la medicina – magari tirando in ballo l’ultimo Concilio – è avvisato: finirà per diventare uno strumento nelle mani di Satana.
(A.C. Valdera)