da Aleteia
21 Agosto 2019
I peccati della lingua, come i giudizi temerari o le critiche infondate, sono spesso eretti a virtù, col pretesto di denunciare un male (reale o supposto). Essi commettono in realtà la più terribile delle ingiustizie: l’attentato all’onore altrui.
Jean-François Thomas s.J.
Meditare l’Epistola di san Giacomo sarebbe un buon modo per occupare intelligentemente qualche ora della nostra estate, benché non manchino gli impegni. S’è diffusa l’abitudine di utilizzare la lingua non per glorificare Dio ma per ferire e uccidere il nostro prossimo.
L’apostolo consacra una parte della sua missiva a questo peccato, ordinario e comune, già abituale nelle prime comunità cristiane. Vigorosamente egli scrive:
Così anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita. Ogni specie di bestie, uccelli, rettili e animali marini si può domare, ed è stata domata dalla razza umana; ma la lingua, nessun uomo la può domare; è un male continuo, è piena di veleno mortale. [Gc 3, 5-8]
Regolamenti di conti “in nome del Bene”
La constatazione è severa e san Giacomo non esita ad annoverare la lingua tra gli strumenti dell’inferno. Eppure, i peccati della lingua sono non soltanto trascurati ma sovente anche spacciati per virtù, sotto il pretesto che ce ne serviamo per denunciare un male reale o supposto.
Amiamo assumere la posa dei cavalieri senza macchia e senza paura, tirar fuori scheletri dagli armadi altrui invece di pensare a pulire le nostre sporcizie. Ogni giorno i media danno in pasto alle folle delle persone – solitamente non meno peccatrici della maggior parte di noi – sotto il pretesto di far regnare il Bene (inteso secondo criteri non privi di contraddizioni).
Poiché ormai ciascuno è invitato a rilasciare le proprie opinioni su qualunque argomento, ne approfittiamo per i nostri regolamenti di conti, per giudicare di ciò che non conosciamo e per esporre in pubblico i (supposti) crimini degli uni e degli altri, facendoci con ciò propagatori involontari di tutti i rumori, di ogni chiacchiericcio circolante – la cui origine è sempre dubbia.
Ci rendiamo conto che così commettiamo ingiustizie gravissime, che nell’ultimo giorno peseranno quanto crimini di sangue? La Chiesa e gli ambienti ecclesiastici non sfuggono alla triste regola comune: i regolamenti di conti, provocati da gelosia o carrierismo, implicano colpi bassi e conducono molte persone a disperare e perfino a rigettare la fede, tanto la controstestimonianza è flagrante e scandalosa.
Il potere della lingua
La giustizia commutativa, che regola i rapporti tra gli uomini, è così sfigurata dall’oltraggio, dalla diffamazione, dalla maldicenza, dalla calunnia, dalla zizzania, dallo sfottò, dalla maledizione. San Tommaso d’Aquino nota, nella Summa:
I peccati commessi contro il prossimo si stimano essenzialmente a partire dal pregiudizio che recano a terzi, poiché è in questo che si esprime la loro colpa. E il pregiudizio a sua volta si misura dal bene che distrugge. Ora, l’uomo possiede tre tipi di beni: quelli dell’anima, quelli del corpo, quelli esteriori. [S.Th. II-IIæ, q. 73, a. 3]
In gradi differenti, noi possediamo il dominium su questi beni. Ricerchiamo dei beni per appropriarcene, nel senso di farli nostri. La nostra proprietà può estendersi, fino a un certo punto, sulle cose e sugli esseri esterni a noi. Donde la nostra responsabilità in ogni cosa. Il ruolo della facoltà della volontà è di rendere umani i nostri atti, cioè di mostrare che abbiamo il potere di agire e che dell’agire possediamo il dominio.
Tale potere è un potere di uso. Constatiamo dunque che il nostro dominium e il nostro potere d’uso sono estensibili quasi all’infinito, la cosa più inconstestabile restando quanto tocca le nostre facoltà spirituali e gli atti intellettuali che ne derivano. Ora, l’uso della lingua cade esattamente sotto questo registro in cui la nostra libertà è intera e piena è la nostra responsabilità.
La paura del disonore
Tra i beni posseduti da ognuno si trova il diritto all’onore, alla reputazione, all’amicizia, alla dignità. Beni esteriori che rilevano della prerogativa della persona umana e che sono facilmente deturpabili. Essi sono costantemente esposti, come una proprietà aperta e senza recinti alle voglie e alle curiosità dei passanti.
L’omicidio e la mutilazione si avventano su una vita di per sé stabile. I peccati della lingua, se non toccano il corpo, proveranno a toccare l’anima e costituiscono quindi un’ingiustizia grave. San Tommaso, riprendendo l’Etica a Nicomaco di Aristotele, sottolinea:
L’uomo usa delle cose esteriori e, tra queste, un posto preminente spetta all’onore. Esso è infatti ciò che più si avvicina alla virtù, poiché è la testimonianza che se ne rende, la quale è offerta a Dio e agli esseri più perfetti, e poiché per acquisire l’onore ed evitare l’onta gli uomini disprezzano tutto il resto. [S.Th. II-IIæ, q. 129, a. 1]
Certamente è difficile dire di cosa siano costituiti beni esteriori peculiari come l’onore. L’onore non è semplicemente il sentimento di uno stato di benessere morale. Esso è, per il Dottore angelico, grandezza d’animo e magnanimità. Il timore del disonore è dunque quel che più colpisce l’uomo saggio e virtuoso, ma peccatore malgrado tutto.
La gioia più viva non risiede nel possesso delle ricchezze ma in quello dell’onore. È facile constatarlo quando una personalità, per quanto adorna di tutti i beni, si trova improvvisamente ad essere oggetto del pubblico ludibrio. Essa appare subito come nuda e spoglia di tutto allo sguardo degli altri, in parte presi da moti di pietà, in parte (ed è il gruppo più folto) desiderosi di partecipare al massacro.
L’onore dipende dallo sguardo degli altri su di noi. L’elemento altruistico è centrale. Bossuet, nel suo Sermone sull’Onore del mondo, nota molto correttamente che l’uomo va a cercare il proprio onore nelle opinioni degli altri. Pascal avrebbe detto allo stesso modo, nei Pensieri:
Qualunque possesso l’uomo abbia sulla terra, qualunque salute o comodità essenziale, egli non è soddisfatto se non gode della stima degli uomini.
Il diritto alla stima degli altri
L’onore è una ricchezza essenziale e, come ogni ricchezza, si definisce a partire dall’utilità che è la misura del suo valore. Abbiamo diritto alla stima altrui. Sappiamo tutti quanto la vera amicizia sia il bene più raro e più stimabile che ci sia, sempre a rischio di deperimento. La nostra natura umana postula un tale diritto, donde derivano anche la reputazione, il rispetto eccetera.
Non a caso il Salvatore è stato spogliato di tali diritti inalienabili al fine di conformarsi a quanto è più miserabile. Anche sul fondo del suo abbandono, però, Egli ha beneficiato della presenza e della fedeltà di alcuni esseri: di sua Madre, delle pie donne, di alcuni discepoli.
Bossuet sottolineava che la privazione dell’onore crea una tale sofferenza che essa può toglierci il gusto della vita, così che – paragonata a una simile vita – la morte sembra preferibile. L’uomo a cui venga sottratto l’onore vive una passione crocifiggente che può durare tutta una vita.
Così bisogna pensarci due volte, annodarsi e snodarsi sette volte la lingua in bocca, prima di esprimere un giudizio o un’opinione che rischia di lordare una persona, poiché non possiamo pesare le conseguenze che ricadranno su di lei – senza parlare del fatto che insozziamo e sviliamo la nostra anima in un peccato mortale!
L’ingiustizia dei peccati di parola
Ecco perché san Tommaso non esitò ad assimilare l’oltraggio a una rapina e la diffamazione a uno stupro, poiché l’onore e la reputazione sono delle proprietà che possono esserci tolte anche se il nostro corpo prova a difenderle. L’ingiustizia dei peccati di parola è del resto duplice, perché comincia con un’azione che lede l’onore, ma al contempo crea sul piano dei significati una narrazione che durerà nel tempo.
Butto là una parola maldicente e quest’ultima prosegue la sua opera deleteria ben oltre il ricordo che io continuo ad averne in memoria. Ciò non impedisce che io sia totalmente responsabile delle conseguenze di una parola infelice.
Le circostanze diventano più gravi quando la mia azione ha per scopo il nuocere profondamente e durevolmente alla persona, laddove regolarmente butto benzina sul fuoco della mia lingua col preciso intento di incenerire uno che ieri era mio amico e che oggi diventa l’oggetto del mio disprezzo e delle mie cattiverie.
L’intenzione che precede l’atto è tanto peccaminosa quanto l’atto stesso: l’intenzione è già un pugnale. Essa non cessa di conficcarsi a fondo nella schiena di chi avevo messo su un piedistallo e che ora passo il tempo a diffamare.
La pretesa di prendere il posto del Giudice
Abbandonarsi a siffatto esercizio rivela la nostra pusillanimità e la capacità che abbiamo di coltivare i peggiori sentimenti. Nessuno risulta accresciuto dall’aver eroso l’onore di un altro. Talvolta c’illudiamo di accaparrare quell’onore su di noi, ma un giorno o l’altro (e in ogni caso nell’ultimo giorno) il peso di quel male ricadrà sulla nostra testa.
Eppure Nostro Signore era stato molto chiaro riguardo a quanti si arrogano il diritto di giudicare gli altri e di utilizzare la lingua per ripittare il mondo a loro gusto. Mai, neanche in presenza dei peggiori peccatori, magari pubblici, Egli cercò di umiliarli togliendo loro il sostegno del loro essere, il loro onore, certo macchiato ma tuttavia sussistente.
Egli sapeva che un uomo al quale si nega l’onore non è più capace di bene. Come sta scritto nell’Ecclesiaste:
Le parole che escono dalla bocca del saggio sono piene di grazia; le labbra dell’insensato lo faranno cadere nel precipizio. [Eccl. 10, 12]
Non spetta a noi sapere se abbiamo il diritto di procedere alle grandi pulizie del mondo braccando gli altri e denunciando le loro malefatte, mentre passiamo il nostro tempo ad elencare le pagliuzze altrui e a trascurare le nostre travi.
Bisogna riconoscere che viviamo in un tempo marcio in cui ciascuno ha la pretesa di prendere il posto del Giudice mentre nasconde le proprie vergogne. Dovremmo tremare, perché i nostri peccati di lingua sono spesso più terribili dei mali che abbiamo la pretesa di denunciare.