Abstract: comunismo e Chiesa: coesistenza impossibile come spiega il professore Plinio de Oliveira in uno studio che apparve nell’agosto 1963 . L’opera analizza la legittimità di una “coesistenza pacifica” fra Chiesa e Stato comunista: è lecito per la Chiesa accettare una precaria libertà di culto in cambio della rinuncia all’insegnamento integrale del suo Magistero? L’autore vi dimostrava che i cattolici non possono accettare alcun modus vivendi con il comunismo che implichi la rinuncia a difendere punti essenziali della dottrina cattolica, come il diritto di proprietà, fondato su ben due Comandamenti. Tradotto successivamente in 8 lingue, lo studio fu distribuito ai 2.200 Padri presenti al Concilio Vaticano II,
Tradizione Famiglia Proprietà Newsletter 20 Febbraio 2024
Chiesa e comunismo: l’impossibile coesistenza
di Julio Loredo
L’udienza concessa da Papa Francesco agli inizi di gennaio ai rappresentanti di DIALOP, che promuove il “dialogo” tra marxisti e cristiani, ha riportato alla luce il problema dei rapporti fra Chiesa e Comunismo. La questione del “dialogo” fra Chiesa e comunismo si era già posta durante il Concilio Vaticano II.
Giovanni XXIII aveva inaugurato un clima di disgelo fra la Chiesa e l’URSS, due realtà fino ad allora definite dai Romani Pontefici come “antitetiche”. Era l’inizio della cosiddetta “Ostpolitik” vaticana. Il 7 marzo 1963 Papa Roncalli ricevette in udienza Aleksej Adjubei, genero di Krusciov. Poco tempo dopo, l’enciclica Pacem in terris fu propagandata da certi ambienti come base per una collaborazione tra cattolici e comunisti. Prese quindi forza un movimento di convergenza tra i due campi, specie in alcuni Paesi dell’Est, come la Polonia.
Questa convergenza era apparentemente favorita dall’atteggiamento di alcuni governi comunisti nei confronti della Chiesa, un atteggiamento che andava gradualmente evolvendo dalla persecuzione aperta a una certa tolleranza, e che permetteva una limitata libertà di culto, a condizione comunque che non venissero toccati punti suscettibili di essere interpretati come opposizione al regime comunista, sia a livello politico che dottrinale. Non pochi cattolici vedevano in questo precario modus vivendi una formula perfettamente accettabile.
Questa posizione era soprattutto condivisa dai cattolici di sinistra, che al comunismo rimproveravano magari l’ateismo, ma che tutto sommato non vi si opponevano e, anzi, volevano collaborare con esso.
Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, all’epoca a Roma per seguire il Concilio, vide in questa tendenza un serio pericolo che non si doveva lasciar passare sotto silenzio. Egli vi dedicò quindi uno studio che apparve nell’agosto 1963 con il titolo «La Libertà della Chiesa nello Stato comunista». L’opera analizza la legittimità di una “coesistenza pacifica” fra Chiesa e Stato comunista: è lecito per la Chiesa accettare una precaria libertà di culto in cambio della rinuncia all’insegnamento integrale del suo Magistero?
L’autore vi dimostrava che i cattolici non possono accettare alcun modus vivendi con il comunismo che implichi la rinuncia a difendere punti essenziali della dottrina cattolica, come il diritto di proprietà, fondato su ben due Comandamenti. Tradotto successivamente in 8 lingue, lo studio fu distribuito ai 2.200 Padri presenti al Concilio Vaticano II, nonché ai 450 giornalisti accreditati. Il 4 gennaio 1964 il saggio fu pubblicato integralmente sul quotidiano romano Il Tempo.
L’autore ricevette lettere di encomio da vari prelati, tra cui i cardinali Eugenio Tisserant, decano del Sacro Collegio, e Alfredo Ottaviani, Segretario della Sacra Congregazione del Santo Uffizio. Fra le manifestazioni di appoggio spiccava una lettera di approvazione del Prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università, Cardinale Giuseppe Pizzardo, che definiva l’opera “un’eco fedelissima del supremo Magistero della Chiesa” augurandole “la più ampia diffusione”.
L’opera suscitò un’accesa polemica a livello europeo e valicò perfino la cortina di ferro. In Polonia lo studio fu violentemente attaccato dal movimento catto-comunista Pax, capeggiato dal “compagno” Zbignew Czajkowski. Ne nacque uno scambio di lettere aperte tra quest’ultimo e il dottor Plinio. Incapace di controbattere agli argomenti del leader brasiliano, Czajkowski fu tuttavia costretto ad ammettere: “La nostra discussione ha sollevato grande interesse in Polonia, come dimostrano le molte notizie apparse sui giornali”. A dare man forte a Pax arrivò anche il direttore della rivista Wiez, Tadeusz Mazowiecki, deputato del gruppo cattolico Znak e successivamente Primo Ministro nel 1990 sotto Lech Walesa, in coalizione con il Partito Comunista.
La distribuzione a Roma di La Libertà della Chiesa nello Stato comunista si ricollegò ad altre due importanti iniziative ispirate dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nell’ambito del Concilio Vaticano II.
Nel dicembre 1963 mons. Antonio de Castro Mayer consegnò in forma ufficiale una petizione firmata da 213 padri conciliari, in cui si chiedeva al Santo Padre di “esporre con grande chiarezza la dottrina sociale cattolica, denunciando gli errori del marxismo, del socialismo e del comunismo”, e di “fustigare quegli errori e quella mentalità”. In altre parole, si chiedeva una condanna del comunismo.
Da parte sua, mons. Geraldo de Proença Sigaud consegnò, nel febbraio 1964, una petizione sottoscritta da 510 cardinali e vescovi di tutto il mondo, in cui si implorava che il Pontefice, in unione con i vescovi presenti a Roma, consacrasse il mondo, e in maniera esplicita la Russia, al Cuore Immacolato di Maria, secondo quanto richiesto dalla Madonna a Fatima nel 1917
Inspiegabilmente, nei documenti finali, il Concilio evitò qualsiasi riferimento al pericolo comunista. Delle due petizioni, neanche una parola…
A questo riguardo, il cardinale Antonio Bacci affermò allora: “Il tacere su questo punto [la minaccia del comunismo] credo che sarebbe una lacuna imperdonabile, anzi un peccato collettivo. Questa è la grande eresia teorica e pratica dei nostri tempi; e se il Concilio non si occupa di essa, può sembrare un Concilio mancato”.
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