Voci per un dizionario del pensiero forte
di Paolo Mazzeranghi
Christopher Henry Dawson nasce il 12 ottobre 1889 ad Hay Castle, nell’Herefordshire, in Gran Bretagna. Compie gli studi universitari al prestigioso Trinity College di Oxford; si converte dall’anglicanesimo e, nella stessa Oxford, il 5 gennaio 1914, aderisce pubblicamente alla Chiesa cattolica.
Nel 1925 intraprende la carriera accademica e alterna l’insegnamento di storia della civiltà con quello di filosofia della religione nelle università britanniche di Exeter, Liverpool, Edimburgo nonché nell’università di Dublino, in Irlanda. Dedicatosi fin dal 1920 all’attività pubblicistica, dal 1940 al 1944 dirige The Dublin Review. Nel 1943 è nominato accademico di Gran Bretagna. È il primo Chauncey Stillman Professor of Roman Catholic Studies all’Harvard University di Cambridge, nel Massachusetts, negli Stati Uniti d’America, dove vive dal 1958 al 1962, quando lascia l’insegnamento e torna in patria. Muore a Budleigh Salterton, nel Devonshire, il 25 maggio 1970.
2. Religione, cultura, civiltà
La parte più significativa degli scritti di Dawson, nei quali l’erudizione e la profondità dell’analisi si accompagnano a una non comune capacità sintetica e descrittiva, è tesa a illustrare la fondamentale articolazione fra religione, cultura – intesa non nel senso di perfezionamento dell’intelletto individuale, ma come “un modo di vita che ha dietro di sé una tradizione, la quale ha preso corpo in istituzioni ed abbraccia norme e principi morali” – e civiltà; articolazione che egli considera verificata al massimo grado nella formazione e nello sviluppo della civiltà occidentale, in aperto contrasto con gran parte della moderna critica storica, che reca ancora le tracce di un plurisecolare sforzo per porre nell’oblio il millennio – impropriamente definito medioevo – in cui la cultura cristiana ha assunto forme storiche.
L’Umanesimo lo ha fatto mediante la meccanica riesumazione di una classicità dimenticata da mille anni; la cosiddetta Riforma protestante, predicando il ritorno a un cristianesimo idealizzato considerato perduto da dieci secoli; l’Illuminismo, condannando senza appello il periodo come frutto di barbarie e di superstizione religiosa; le ideologie nazionalistiche del secolo XIX, idealizzando invece l’elemento barbarico teutonico o slavo e sottovalutando l’unità culturale raggiunta dall’Occidente tramite l’azione della tradizione classica e della religione cristiana.
A giudizio di Dawson, la civiltà occidentale si distingue dalle altre grandi civiltà della storia anzitutto per essere fondata esclusivamente su una comune cultura e non su fattori di omogeneità ambientale o etnica; quindi per il carattere eccezionalmente espansivo – o, in altra prospettiva, missionario – e dinamico. Infatti, mentre le antiche civiltà orientali sacralizzano un determinato rapporto fra religione e società e lo trasmettono inalterato per secoli o per millenni – pena il perimento della società stessa -, la civiltà occidentale ha intrapreso, con feconde sintesi di elementi diversi, sempre nuovi percorsi spirituali e integrato per via di cultura sempre nuovi popoli.
3. La formazione dell’Europa
Dopo l’ultima e più crudele persecuzione, del 303-306 in Occidente e del 303-313 in Oriente, il cristianesimo diviene la religione – prima, nel 313, solo tollerata, poi, nel 380, ufficiale – dell’Impero romano, già minato dalla crisi del suo modello militare – composto in sempre maggior misura dagli stessi barbari che premono ai confini – e del suo modello socio-economico urbano, mantenutosi mediante il sistematico drenaggio di risorse materiali e umane attuato in fase d’espansione territoriale, ma divenuto poi sempre più simile a un socialismo di Stato di stampo orientale.
Solo una generazione – osserva Dawson – intercorre fra la chiusura dei templi pagani ordinata dall’imperatore Teodosio il Grande (347-395) nel 392 e il primo sacco di Roma da parte dei visigoti di Alarico (370 ca.-410) nel 410: nel traumatico passaggio dal mondo romano, che ha perso la fede nelle proprie istituzioni sociali, nella propria cultura e perfino nella vita stessa, a un mondo sconvolto dalla violenza e dalla sopraffazione, la Chiesa dà speranza e consolazione.
Ancora la Chiesa, che ha ereditato le tradizioni dell’Impero, diventa educatrice e legislatrice dei nuovi popoli, e il veicolo mediante cui, assieme al proprio retaggio morale e spirituale, la tradizione classica attraversa il diluvio delle invasioni barbariche.
Secondo un apparente paradosso destinato a ripetersi sempre nella storia, il cristianesimo, proiettato in una prospettiva ultraterrena e quasi indifferente ai propri risultati temporali, dimostra di saper produrre frutti di vita e di rigenerazione anche sul piano sociale. Nelle regioni d’Europa che conservano un’organizzazione urbana, il vescovo rimane l’unica autorità – spirituale, ma di necessità anche temporale, vero defensor civitatis -, e la vita civica e culturale lentamente riprende all’ombra della cattedrale.
Particolarmente nelle vaste regioni ancora rurali o rese tali dalle invasioni barbariche è fondamentale il ruolo civilizzatore svolto dal monachesimo, che con la vita pacifica, laboriosa e contemplativa dei suoi membri diffonde un sistema di valori alternativo tanto a quelli della società schiavistica tardo-imperiale che a quelli dei barbari conquistatori. Il monastero è assieme centro economico e spirituale.
Nelle fattorie, nelle officine e nei laboratori di cui è dotato si conservano le conoscenze tecniche e scientifiche; nelle scuole, nelle biblioteche e negli scriptoria l’approfondimento dei contenuti della fede s’accompagna al salvataggio della cultura classica. Dalla consacrazione religiosa dell’elemento aristocratico guerriero d’origine barbarica deriva la monarchia cristiana, secondo un modello che si diffonde in tutta Europa.
Protettore del suo popolo, a esso unito da vincoli reciproci di lealtà e di fedeltà, il re assume il ruolo sacrale di intermediario fra questo e Dio, di capo visibile della società cristiana, che egli serve con l’amministrazione della giustizia e con la spada, così come l’autorità sacerdotale la serve con il proprio ministero. Da una regalità sottomessa alla legge di Dio e rispettosa dei diritti concreti e storici del popolo deriva all’Occidente la concezione della limitatezza del potere politico, come dalla credenza cristiana nel valore irriducibile della persona, creata a immagine di Dio e portatrice di diritti inalienabili a qualsiasi potestà umana, deriva una concezione di libertà che supera sia la libertà barbarica che la “cittadinanza” classica.
Al di sopra dei singoli regni si situa l’Impero come comunità dei popoli cristiani, guidata dalle concordi autorità dell’imperatore e del Pontefice. Anche se destinato a non realizzarsi mai compiutamente, l’ideale imperiale cristiano ha dato espressione consapevole all’unità culturale dell’Europa e all’aspirazione a un’istanza sovranazionale di giustizia e di pace. Ogniqualvolta le monarchie rischieranno di ricadere nell’angusto orizzonte della politica barbarica, o la nobiltà feudale sembrerà completamente assorbita dagli interessi territoriali, per il tramite delle gerarchie ecclesiastiche verrà mantenuto quell’ideale di società cristiana universale trasmessa al Medioevo dai Padri della Chiesa. Contemporaneamente il cristianesimo ammansisce con l’istituto della cavalleria i violenti costumi dell’elemento aristocratico guerriero, indirizzandone i sentimenti di onore e di fedeltà verso fini altamente morali e sociali.
Nata per limitare i danni del clima bellicoso dell’anarchia feudale sulla popolazione inerme, la cavalleria trova nella difesa della Cristianità contro i suoi nemici esterni l’espressione più significativa: la sua stagione finisce proprio con la secolarizzazione conseguente alla perdita dell’ideale crociato e all’introduzione di elementi di lusso e di disgregazione morale della vita di corte tardomedioevale.
4. Il risveglio della città
La vita cittadina, che inizia a fiorire nel secolo XI, è pensabile solo come integrazione nello stesso complesso sociale di attività profane e di attività religiose: tipiche di tale integrazione sono le gilde e le corporazioni, in cui trovano protezione sia i bisogni spirituali che quelli materiali e professionali dei membri. La società come comunità complessa, costituita di vari organismi, aventi ciascuno una vita autonoma e proprie libere istituzioni, l’associazione volontaria per finalità produttive, la proprietà fondata sul lavoro personale, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, rappresentano per Dawson il punto culminante delle concezioni sociali medievali.
Legata al fiorire delle città è la nascita delle università, corporazioni d’insegnanti e studenti sotto la protezione delle autorità laiche o più spesso religiose, in cui la tradizione classica delle humanae litterae si unisce con la tradizione teologica cristiana. Gli studi ivi praticati, dominati dalla tecnica dell’argomentazione logica, la quaestio, e della disputa pubblica, pongono le basi, con almeno tre secoli di anticipo sul Rinascimento, dell’intelligenza critica e dell’instancabile spirito di ricerca caratteristici della civiltà occidentale.
La stessa scienza moderna difficilmente avrebbe potuto costituirsi se il cristianesimo – che, contrariamente alle religioni orientali, le quali avevano negato o squalificato il mondo fenomenico, ha sempre affermato il valore della natura creata – non avesse additato all’uomo occidentale la razionalità dell’universo e la capacità dell’intelletto umano d’investigarlo. I grandi ordini mendicanti – domenicani e francescani -, sorti nei primi decenni del secolo XIII, assolvono nei confronti della società cittadina il medesimo ruolo di fermento spirituale svolto dal monachesimo di tipo benedettino nei confronti della società rurale, e i loro membri primeggiano nella vita intellettuale delle università.
5. La crisi della civiltà occidentale
La moderna civiltà occidentale, per quanto erede della civiltà cristiana e non comprensibile a prescindere da questa, ha patito secoli d’intensa secolarizzazione, che hanno visto la progressiva separazione fra religione e cultura, e l’eliminazione delle istituzioni e delle norme sociali cristiane.
Di questo processo Dawson esamina i passaggi: dal Protestantesimo al Rinascimento, dal razionalismo e dall’Illuminismo alle ideologie rivoluzionarie dei secoli XIX e XX, che hanno avuto come esito i grandi sistemi totalitari e che tentano di totalitarismo la democrazia, con tanto maggiore efficacia quanto più essa rinnega i princìpi che animavano la civiltà cristiana, di cui tale regime, se correttamente inteso, è debitore. “[…] i nazisti e i comunisti non sono i soli totalitari: essi sono gli unici partiti che hanno tentato di sfruttare gli elementi totalitari della civiltà moderna con un metodo semplificato, per ottenere risultati rapidi”.
Vana poi è la speranza che a unire e guidare i dispersi elementi della società occidentale sia una scienza che “[…] è del tutto indifferente a considerazioni morali e si offre con sublime imparzialità a qualunque potenza che sappia usarla, così come lo Schiavo dall’Anello Magico nelle Mille e una notte, il quale è egualmente disposto a edificare una città o a distruggerla, a trucidare un re o a scavare un canale“.
L’unica soluzione che Dawson intravvede è che i popoli d’Europa, che conservano ancora l’impronta e il ricordo semiconscio della passata unità spirituale, ritornino consapevolmente alle fonti cristiane della comune civiltà. A tre decenni dalla scomparsa dello storico britannico, se tale prospettiva può dirsi tragicamente irrealizzata, sempre più si apprezza la sua lezione circa il fatto che le civiltà possono morire se perdono contatto con il proprio fondamento culturale, ma anche che dagli elementi dispersi di civiltà morenti il cristianesimo – “forza viva che è entrata a far parte della vita degli uomini e delle società e li ha trasformati in proporzione del loro volere e delle loro capacità“ – è in grado, come già è accaduto nella storia, per virtù propria e seguendo vie imperscrutabili, di produrne di nuove.
Per approfondire: di Dawson vedi Religione e cristianesimo nella storia della civiltà, Edizioni Paoline, Roma 1984, raccolta delle traduzioni di Religione e cultura, La realtà storica della cultura cristiana e Religione e formazione della civiltà occidentale, quest’ultima ristampata come Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, trad. it., Rizzoli, Milano 1997; sui rapporti fra religione e cultura, vedi Progresso e religione, trad. it., Comunità, Milano 1948; L’età degli dèi, trad. it., Longanesi, Milano 1950; sulla formazione della civiltà europea, vedi anche La nascita dell’Europa, trad. it., il Saggiatore, Milano 1969; su cultura e civiltà cristiane nell’età della secolarizzazione e dei totalitarismi, Il giudizio delle nazioni, trad. it., Bompiani, Milano 1946; su storia e prospettive dell’educazione classica e cristiana, La crisi dell’educazione occidentale, trad. it., Morcelliana, Brescia 1965.