La denuncia viene da Amnesty International e dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul lavoro forzato e la detenzione arbitraria.
La donna, di circa 50 anni, fu licenziata dal suo lavoro presso una fabbrica di sapone di Shanghai – sua città d’origine – nel 1988, quando rimase incinta della sua seconda figlia femmina. Lei si rifiutò di abortire, come previsto dalle “regole della pianificazione sociale” cinesi, e per questo fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico dove le fu praticato l’elettroshock. Dopo la nascita della seconda figlia Mao, iniziò ad inviare petizioni alle autorità cinesi per denunciare il suo licenziamento: le fu concesso di ritornare a lavorare nella fabbrica di sapone, che però si appellò alla Alta Corte di Pechino contro il suo reintegro.
Durante l’invio delle petizioni alle autorità cinesi, Mao rimase nuovamente incinta, ma questa volta fu costretta con la forza ad abortire. Nell’aprile 2004 Mao è stata condannata – senza regolare processo – a 18 mesi di lavori forzati per “il suo persistente invio di petizioni alle autorità cinesi”. Nel campo di lavoro in cui si trova attualmente, nei pressi di Shanghai, Mao è stata più volte picchiata e torturata: secondo Amnesty International, le manifestazioni a suo favore da parte di organismi umanitari hanno solamente aumentato le torture.
La pena è stata aumentata di 3 mesi perché la donna ha rifiutato di confessare le sue “malefatte”. Istituiti negli anni ’50 per trasformare i “cattivi soggetti” in “nuove persone socialiste”, i campi di lavoro forzato sono diventati veri luoghi di annientamento. Lo spiega il pastore protestante Bob Fu, presidente di China Aid Association, che fu detenuto per “illegale attività religiosa”.
“I prigionieri non hanno tempo libero per pensare”, racconta, “la sveglia è alle 5 e lavorano tutto il giorno, talvolta fino a mezzanotte”. “L’idea base –aggiunge – è di risolvere i tuoi ‘problemi mentali’ attraverso un duro lavoro fisico”. “Noi – dice Chen Pokong, insegnante e attivista per la democrazia che ha passato 2 anni in un campo lavoro – portavamo pietre alla riva di un fiume per tutto il giorno: la notte facevamo fiori artificiali, per 7 giorni a settimana”.
I campi di lavoro forzato costituiscono anche una vasta riserva di lavoro gratuito. Dai tempi di Deng Xiaoping essi sono divenute vere e proprie aziende in cui si produce ogni cosa: tè verde, carbone, guanti medici, attrezzature ottiche. Secondo il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul lavoro forzato e la detenzione arbitraria, vi sono non meno di 300 mila persone internate in oltre 280 campi.
Le detenzioni avvengono su disposizione della pubblica sicurezza, senza un processo o una difesa: le condanne colpiscono soprattutto le religioni non autorizzate – decine di migliaia gli adepti internati della Falun Gong – e le minoranze etniche come gli Uighuri. Nei campi vengono rinchiusi inoltre drogati, prostitute e alienati mentali, considerati “minacce sociali”. (PB)