di Ettore Gotti Tedeschi
(Presidente Santander Consumer Bank)
II tipo di dirigismo e di mercato ancora chiuso che prevale nel sistema bancario cinese secondo me potrebbe danneggiare lo sviluppo futuro della Cina. La Cina ha bisogno di esperienza bancaria e presenza più forte di banche straniere. Il mio suggerimento è di riflettere su questo punto il prima possibile. Vorrei dire anche perché.
Questo già rende complesso per una banca internazionale considerare attraente questo mercato, perché, oltre alle limitazioni inerenti la presenza delle banche straniere, la concentrazione di quota di mercato sulle prime 4 banche, il controllo statale sulle banche, si rileva che le stesse banche di Stato finanziano molto più l’impresa pubblica che la privata.
Infatti, circa il 70% del credito va all’impresa pubblica, che però vale meno del 50% del Pil. Cosi il settore privato sembra esser ancora sottostimato.
E poi c’è il problema del credito. Il credito bancario in Cina rappresenta l’80% di tutto il finanziamento del sistema industriale; esso è il motore dell’economia, mentre mercato obbligazionario e azionario svolgono un ruolo più marginale. Infatti i prestiti bancari valgono ben il 130% del Pii, per comparazione si pensi che negli Stati Uniti sono il 25-30%.
Negli ultimi dodici mesi, per fronteggiare la crisi economico-finanziaria, l’espansione del credito è stata molto alta, sembra di un 40%, tanto che si teme un qualche rischio per il sistema. Ciò perché, coerentemente con quello avvenuto nel mondo occidentale negli ultimi anni, si teme che i fondi rischi che sono stati stanziati per fronteggiare questa espansione di credito, possano non esser sufficientemente consistenti.
Questi sono due punti, secondo me importanti, che portano ad alcune stringenti considerazioni.
Dall’esterno al Paese spiegano il perché le banche straniere in questo momento, nonostante l’attrattività dell’area economica e l’ansia di partecipare al suo sviluppo, pensino alla Cina solo con un’ottica a lungo termine. All’interno spiegano perché la Cina dovrebbe riflettere sull’utilità delle limitazioni all’ingresso delle banche straniere (che valgono il 2% circa di quota totale del mercato), possibile sostanzialmente solo attraverso partecipazioni minoritarie in banche domestiche. Questa siffatta presenza rischia di servire solo a conoscere il mercato e a fare un po’ di investment banking, ma non ad avviare una attività bancaria vera e propria.
C’è invece un rumour interessante: che si stia creando una nuova moneta, una moneta asiatica, dove confluiranno non solo quella cinese, ma anche lo yen giapponese, il won sudcoreano e il dollaro di Hong Kong, e questo cambierebbe molto le regole del gioco.