[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
Cirillo era di Tessalonica, di famiglia senatoria greca e si chiamava Costantino. Era discepolo di Fozio (che poi causò lo scisma d’Oriente). Fu l’imperatore Michele III a mandare lui e suo fratello Metodio a predicare in Asia Minore. L’impero bizantino era pieno di slavi di recente convertiti, ma non c’erano traduzioni di libri di chiesa, cosa che favoriva l’ignoranza religiosa e le conseguenti eresie. Del resto i suoni della loro lingua difficilmente si adattavano al greco. Allora Cirillo inventò l’alfabeto appunto “cirillico”, di trentotto lettere completato con caratteri armeni, copti ed ebraici.
Nell’884 i due fratelli partirono per una missione evangelizzatrice nell’area danubiana. In Moravia scrissero la Bibbia e la liturgia greca in slavo «cirillico». Dopo questo viaggio il papa Nicola I li chiamò a Roma, dove Cirillo, pur minore di età del fratello, morì. Metodio fu creato vescovo di Pannonia e sopravvisse per molti anni. 11 millecentesimo anniversario della sua morto fu ricordato da Giovanni Paolo II nel 1985 con la pubblicazione dell’enciclica Slavorurn Apostoli, in cui i due fratelli sono definiti «ponte spirituale tra la tradizione occidentale e orientale”.
Molto opportunamente nel 1980 erano stati proclamati «compatroni d’Europa con san Benedetto. Infatti se c’è qualcosa di «comune» nella «casa Europa» è la tradizione cristiana. Per essa la civiltà europea — e quindi mondiale — è quel che è. Da essa, nel bene e nel male, proviene la superiorità tecnologica e, sì, sociale dell’homo europaeus e delle sue istituzioni. Certo, oggi tutti i popoli rivendicano le loro tradizioni (che però ci guarderemmo bene dal seguire). Tuttavia, se vogliono mangiare, curarsi, o perfino massacrarsi l’un l’altro, devono far ricorso all’Occidente.
il Giornale 7 luglio 1995