“Come si Usa”, breve guida per capire le elezioni americane

La Nuova Bussola quotidiana 1 Novembre 2024

Per non ripetere i soliti errori di interpretazione delle elezioni americane, meglio leggere prima “Come si Usa” di Marco Respinti. Una breve guida sul funzionamento della democrazia americana e sulla sua origine storica.

di Stefano Magni

Troppo spesso leggiamo le elezioni americane con gli stessi criteri con cui analizziamo quelle italiane o di altri Stati unitari europei. Quindi commettiamo errori ricorrenti, come quello di scandalizzarci se il presidente che prende meno voti popolari, a livello nazionale, poi è quello che risulta vincente.

Perché il presidente degli Usa non è eletto direttamente dal popolo, molto semplicemente. Viene eletto da una sorta di conclave, il Collegio Elettorale, costituito da grandi elettori eletti dagli Stati (ogni Stato elegge la sua pattuglia). Quindi prima del voto negli Usa, che si terrà il prossimo 5 novembre, regalatevi la lettura di “Come si Usa” (D’Ettoris, Crotone 2024), piccolo manuale sulla storia e il funzionamento della più antica democrazia dei moderni, scritto da Marco Respinti, firma della Nuova Bussola Quotidiana.

Respinti tende ad invertire la percezione dominante sugli Usa, visti come una nazione giovane, rivoluzionaria, o addirittura costruita a tavolino da illuministi e massoni, per ribellarsi all’Europa e alle sue tradizioni. Nulla di più lontano dalla realtà: gli Usa sono nati con una guerra di indipendenza dalla corona britannica. E una guerra di indipendenza non è un atto rivoluzionario. Semmai, è scoppiata proprio per preservare tradizioni, norme e istituzioni costruite nei secoli da una spinta rivoluzionaria e accentratrice che, nella seconda metà del Settecento, era molto forte in tutta Europa.

Gli Usa nati da una contro-rivoluzione, dunque. E sorti da una lega di Stati che si sono dichiarati indipendenti nel 1776, un anno dopo hanno formato una confederazione e solo undici anni dopo, dal 1787 al 1789 si sono unificati con un lungo processo costituente, pur mantenendo la loro forte autonomia.

Gli “azionisti” del nuovo governo, come li chiama Respinti, sono dunque gli Stati e sono loro i protagonisti del processo di selezione del capo dell’esecutivo. Ma gli Stati sono comunità, non di “cittadini” (concetto nato con la successiva Rivoluzione Francese), ma ancora di “borghigiani”, abitanti liberi del borgo, come li si definiva anche nell’Europa pre-rivoluzionaria.

Nel potere legislativo, gli Stati esprimono i senatori, 2 per ogni governo locale. E i popoli degli Stati esprimono i rappresentanti, in misura proporzionale alla loro demografia. La somma dei rappresentanti e dei senatori, fa il numero di Elettori (o “grandi elettori”) che ogni quattro anni vengono eletti per formare il Collegio Elettorale. Ed è quest’ultimo che elegge il presidente.

Si tratta di una forma di governo che ricalca le orme della democrazia degli antichi, ne studia i limiti e li risolve attraverso un complesso meccanismo di pesi e contrappesi. I padri costituenti americani, nell’ultimo quarto del Settecento, avevano studiato Polibio, dunque conoscevano gli assetti istituzionali della Roma repubblicana e delle polis della Grecia classica, cercando di evitarne le degenerazioni: sia il cesarismo, sia la tirannia della maggioranza, il dominio impulsivo delle masse e dei loro istinti.

Anche per questo Camera e Senato non hanno la stessa durata: i rappresentanti sono eletti ogni due anni, hanno una carica di breve durata per legiferare sui temi più contingenti della politica interna ed economica, mentre i senatori durano sei anni, per poter maturare più esperienza e decidere anche sui grandi temi giudiziari e di politica internazionale. Per introdurre un ulteriore controllo, i senatori non sono eletti tutti assieme, ma in tre “classi” (scaglioni) e in nessuno Stato i due senatori sono eletti nella stessa classe. Così un senatore esperto “senior” può controllare l’operato del “junior” o contrastarlo, se appartiene al partito opposto.

L’esecutivo è nelle mani, non di un monarca, ma di un “monarca elettivo” e temporaneo, un presidente che resta in carica quattro anni. E il suo processo di selezione è più complesso di quanto appaia.

In una prima fase, viene scelto un candidato all’interno del partito, tramite elezioni primarie (non previste dalla Costituzione, ma in uso dal Novecento), che si svolgono Stato per Stato: anche qui ogni Stato elegge una pattuglia di delegati che poi vota alla Convenzione per scegliere il candidato presidente. In una seconda fase, gli Stati eleggono i grandi elettori del Collegio Elettorale, ciascuno in proporzione alla propria popolazione.

Nella terza fase, il Collegio Elettorale elegge il presidente. E il 20 gennaio dell’anno successivo alle elezioni, questi giura sulla Costituzione ed entra in carica.

Sui due poteri esecutivo e legislativo, veglia una Corte Suprema, a capo della magistratura, che è sì di nomina senatoriale (su suggerimento del presidente in carica), ma con membri che hanno una carica vitalizia. Dove quindi si sovrappongono giudici nominati da tante maggioranze differenti e che riflettono dunque differenti interpretazioni della legge. E non solo il punto di vista della maggioranza del momento.

Il libro di Respinti spiega anche perché si vota sempre il martedì successivo al primo lunedì di novembre, per cui è possibile stabilire già da ora tutte le date delle prossime elezioni presidenziali americane. Ma non anticipiamo troppo. Il libro va comunque letto, non solo per capire come interpretare il voto del prossimo 5 novembre. Ma anche per apprezzare gli Stati Uniti, troppo spesso vittima dei preconcetti europei.

Un tema in cui pure i tradizionalisti finiscono vittime di quegli stessi pregiudizi diffusi dai rivoluzionari europei. Gli Usa vanno letti, al contrario, come paese contro-rivoluzionario, con una tradizione ormai antica, con un sistema che attinge dal meglio delle istituzioni della Grecia, di Roma e anche della Chiesa. Un sistema molto duraturo, ma al tempo stesso anche molto fragile. Perché come sosteneva il presidente Ronald Reagan (1980-88), “La libertà è una cosa fragile che non dista più di una generazione dall’estinzione”.  

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