di Jonathan Wells
La questione dell’evoluzione non è soltanto scientifica e gli stessi dibattiti che leggiamo oggi sulla stampa e in opuscoli divulgativi hanno assai spesso un impianto più o meno scopertamente ideologico. È quindi importante, per riportare il dibattito su un piano di onestà e serietà, ristabilire innanzi tutto i diritti dell’obiettività. In particolare sgomberare il campo da diverse “illustrazioni” delle tesi evoluzioniste che hanno il vantaggio della persuasività intuitiva, ma che sono in realtà false.
Nonostante tale loro falsità sia nota da tempo, esse continuano ad esser ripetute immutate in pubblicazioni varie e anche nei libri di testo. Metterle a nudo non sottintende il proposito di minare le teorie dell’evoluzione; al contrario, se queste hanno delle prove a loro sostegno, è molto meglio che ci si limiti a queste, anche se sono meno intuitive e più incerte, piuttosto che vendere delle false certezze.
Pubblichiamo qui di seguito la traduzione di un famoso articolo del biologo americano J. Wells che fece molto rumore alcuni anni or sono e che conserva intatta la sua attualità. Quanto egli afferma a proposito di testi e manuali utilizzati negli Stati Uniti trova il suo analogo anche in Italia. Pertanto abbiamo semplicemente sostituito le illustrazioni che appaiono nell’articolo originale con illustrazioni di identico contenuto che figurano in testi italiani di cui diamo puntualmente la fonte (n.d.r.).
Se quando studiavo scienze a Berkley mi avessero chiesto se credevo o no a quello che leggevo nei miei libri di scienze, avrei risposto proprio come farebbero i miei studenti: imbarazzato di ricevere questa come prima domanda. Uno potrebbe trovare piccoli errori, ad es. di battitura e di stampa, ma credevo veramente che i miei libri di scienze rappresentassero la migliore conoscenza scientifica a quel tempo disponibile.
Fu solo quando stavo finendo il mio dottorato in biologia della cellula e dello sviluppo che notai ciò che all’inizio avevo scambiato per una strana anomalia. Il libro di testo che stavo usando utilizzava soprattutto disegni di embrioni vertebrati, pesci-polli-umani, ecc., dove le somiglianze erano presentate come prova della discendenza da un antenato comune. Effettivamente i disegni erano molto simili. Ma avevo studiato embrioni per un bel po’ di tempo osservandoli al microscopio, quindi sapevo che i disegni erano sbagliati.
Ricontrollai tutti i miei altri libri di testo. Tutti avevano disegni simili e ovviamente erano tutti sbagliati. Non solo distorcevano gli embrioni che rappresentavano, ma omettevano i primi stadi in cui gli embrioni sono molto diversi gli uni dagli altri. Come la maggior parte degli studenti di scienze e degli scienziati lasciai passare la cosa. Ciò nell’immediato non comprometteva il mio lavoro, e pensai che forse i testi erano di un’edizione sbagliata, e comunque un’eccezione alla regola.
Però nel 1997 il mio interesse per gli embrioni si riaccese quando l’embriologo inglese Michael Richardson e i suoi colleghi pubblicarono i risultati del loro studio sul confronto dei disegni dei libri di testo con i veri embrioni. Lo stesso Richardson fu citato nella prestigiosa rivista Science: «Sembra si stia rivelando uno dei più famosi in biologia». Ma era anche peggio. Questa non era una frode recente, né la sua scoperta era recente.
I disegni degli embrioni che compaiono nella maggior parte dei testi delle superiori e dei college sono riproduzioni, oppure sono basati su una serie famosa di disegni di un biologo tedesco del 19° sec. fervente darwiniano, Ernst Haeckel. Questi disegni erano ritenuti contraffazioni da oltre 100 anni dagli esperti di Darwin e della teoria evolutiva. Ma nessuno di loro, apparentemente, era stato in grado di correggere questa generalizzata cattiva informazione.
Ritenendola ancora una circostanza eccezionale divenni curioso di veder se riuscivo a trovare altri errori nei testi comuni di biologia che trattano l’evoluzione. La mia ricerca, però, rivelò un fatto allarmante: lontano dall’essere una eccezione, queste evidenti mistificazioni spesso sono la regola.
Nel mio libro recente le chiamo «icone dell’evoluzione» perché così tante sono rappresentate da consuete illustrazioni classiche che, come i disegni di Haeckel, hanno servito anche troppo bene al loro scopo pedagogico: fissare la disinformazione sulla teoria evolutiva nella mente del pubblico.
Tutti li ricordiamo dalle lezioni di biologia: gli esperimenti che creavano i blocchi da costruzione della vita in una provetta, l’albero dell’evoluzione radicato nel brodo primordiale che si dirama in animali e piante. Poi c’erano le strutture ossee simili, per esempio, dell’ala di un uccello e la mano di un uomo, le falene punteggiate, e i cardellini di Darwin. E, naturalmente, gli embrioni di Haeckel.
Succede che tutti questi esempi, insieme ad altri scelti volutamente come prova dell’evoluzione, risultano essere sbagliati, e non di poco. Sul tema dell’evoluzione darwiniana i testi contengono numerose distorsioni e perfino alcune prove false. Non stiamo parlando solo di testi per le superiori che alcuni potrebbero giustificare (ma non dovrebbero) con la necessità di aderire a standard più bassi.
Sono colpevoli anche alcuni dei testi più prestigiosi e più usati nei college come Biologia evolutiva di D. Futuyma e l’ultima edizione del testo universitario Biologia molecolare della cellula di cui è coautore Bruce Alberts, Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze. In effetti quando si elimina la prova falsa, il caso dell’evoluzione darwiniana, almeno nei libri di testo, è così sottile da essere quasi invisibile.
La vita in una bottiglia
Nel 1953 chiunque fosse stato abbastanza grande da capire l’importanza della notizia, ricorderà quanto fu scioccante e per molti esilarante. Gli scienziati Stanley Miller e Harold Urey erano riusciti a creare i «blocchi da costruzione della vita» in una provetta. Riproducendo quelle che si credevano essere le iniziali condizioni naturali dell’atmosfera sulla terra e poi inviando una scintilla elettrica, Miller e Urey avevano formato degli amminoacidi semplici.
Poiché gli amminoacidi sono i «blocchi della vita» si pensava che fosse solo una questione di tempo il fatto che gli scienziati riuscissero a creare degli organismi viventi. Al tempo ciò sembrò un’incredibile conferma della teoria evolutiva. La vita non era un miracolo. Nessuna agenzia esterna o intelligenza divina era necessaria.
Metti insieme i gas giusti, aggiungi energia, e la vita è destinata a crearsi. E’ un evento comune. In questo modo Carl Sagan poteva predire con fiducia su PBS che i pianeti orbitanti attorno a miliardi di stelle lassù devono essere brulicanti di vita.
Però c’erano dei problemi. Gli scienziati non sono mai stati capaci di andare oltre gli aminoacidi nel loro ambiente primordiale simulato, così la creazione delle proteine cominciò a sembrare non un piccolo passo, ma un enorme, forse insormontabile linea di divisione.
Un colpo efficace all’esperimento di Miller-Urey però arrivò negli anni ’70 quando gli scienziati cominciarono ad affermare che l’ atmosfera iniziale della terra non era per niente come come l’insieme di gas usati da Miller e Urey. Invece di essere quello che gli scienziati chiamavano un ambiente «riducente» o ricco di idrogeno, l’atmosfera iniziale della terra probabilmente era formata da gas emessi dai vulcani. Oggi c’è un maggior consenso fra i geochimici su questo punto. Ma se si utilizzano questi gas vulcanici nel modello Miller-Urey l’esperimento non funziona, in altre parole non si ha alcun «blocco da costruzione».
Cosa fanno i libri di testo al riguardo? In generale lo ignorano e continuano ad usare l’esperimento di Miller e Urey per convincere gli studenti che gli scienziati hanno dimostrato un importante primo passo dell’origine della vita. Ciò vale anche per il suddetto Biologia molecolare della cellula di cui è coautore Bruce Albert, il Presidente dell’Accademia delle Scienze.
La maggior parte dei libri di testo continuano anche a raccontare agli studenti che i ricercatori sull’origine della vita hanno raccolto numerose prove per spiegare come la vita si sia originata spontaneamente, ma non dicono agli studenti che li stessi ricercatori ammettono che la spiegazione ancora le elude.
Embrioni contraffatti
Darwin pensava che il gruppo di prove più importanti a favore della sua teoria venisse dall’embriologia. Darwin però non era un embriologo, quindi si affidò all’opera del biologo tedesco Ernst Haeckel, il quale produsse dei disegni di embrioni di varie classi di vertebrati per dimostrare che nei primi stadi sono virtualmente identici, e si modificano notevolmente solo quando si sviluppano. E’ questo modello che Darwin trovò così convincente.
Questa può essere la maggiore distorsione in quanto i biologi sanno da oltre un secolo che gli embrioni dei vertebrati non sono mai così simili come li disegnò Haeckel. In alcuni casi Haeckel usò gli stessi stampi per embrioni di classi diverse. In altri adattò i disegni per far sembrare gli embrioni più simili di quanto non lo siano realmente. I contemporanei di Haeckel lo criticarono molto per queste rappresentazioni fasulle, e mentre era in vita le accuse di frode si sprecarono. Nel 1997 l’embriologo inglese Michael Richardson e un team internazionale di esperti confrontò i disegni di Haeckel con foto di veri embrioni di vertebrati dimostrando così, in modo inconfutabile, che i disegni sono una contraffazione della realtà.
I disegni sono fuorvianti anche in un altro modo.
Darwin basò la sua supposizione di un comune antenato sulla credenza che le primissime fasi dello sviluppo dei vertebrati siano le più simili. I disegni di Haeckel però omettono del tutto le prime fasi che sono molto diverse ed iniziano ad essere più simili a metà dello sviluppo. L’embriologo William Ballard nel 1976 scrisse che «solo con trucchetti semantici ed una selezione soggettiva delle prove, e piegando i fatti della natura» è possibile sostenere che i primi stadi dei vertebrati «sono più simili di quelli adulti».
Eppure alcune versioni dei disegni di Haeckel si trovano ancora in testi correnti di biologia. Stephen Jay Gould, uno dei maggiori seguaci della teoria evolutiva, recentemente ha scritto che dovremmo «essere stupiti e vergognarci per un secolo di disattento riciclo che ha portato al persistere di tali disegni in molti, se non nella maggioranza, dei libri di testo moderni.» (Tornerò in seguito sulla questione del perché solo ora il Sig. Gould, che da decenni è al corrente di questi falsi, ha deciso di portare alla luce questa questione.)
L’albero della vita di Darwin
In L’origine delle specie Darwin scrisse: «Considero tutti gli esseri non creazioni speciali, ma i discendenti diretti di pochi esseri» che vissero in un passato distante. Lui credeva che le differenze fra le specie moderne sorsero soprattutto attraverso la selezione naturale, o la sopravvivenza di quelle più adatte, e definì l’intero processo «discendenza con modificazioni».
Naturalmente nessuno dubita che ciò in parte sia accaduto, ma la teoria di Darwin vuol dar conto dell’origine delle nuove specie, anzi, di ogni specie fin dalla nascita delle prime cellule dal brodo primordiale.
Questa teoria ha la capacità di fare previsioni: se tutte le cose viventi sono discendenti gradualmente modificati di una o poche forme originarie, allora la storia della vita dovrebbe assomigliare ad un albero ramificato. Sfortunatamente, nonostante i proclami ufficiali, tale previsione si è rivelata per molti versi sbagliata.
I reperti fossili dimostrano che i maggiori gruppi di animali erano già del tutto formati all’epoca «dell’esplosione Cambriana», e non divergono da un comune antenato. Darwin era a conoscenza di ciò e lo considerava una seria obiezione alla sua teoria, ma lo attribuiva all’imperfezione dei reperti fossili, e pensava che le future ricerche avrebbero fornito gli antenati mancanti.
Ma un secolo e mezzo di raccolte di fossili ha solo aggravato il problema. Invece delle piccole differenze che si avevano all’inizio, più sono grandi le differenze che si sono verificate in seguito, più sembrano grandi le differenze che dovevano esserci proprio all’inizio. Alcuni esperti di fossili descrivono questa evoluzione come «dall’alto verso il basso» che contraddice lo schema «dal basso verso l’alto» della teoria di Darwin. Eppure la maggior parte dei testi in uso non cita neppure «l’esplosione Cambriana», e ancora meno la sfida che questa rappresenta alla teoria di Darwin.
Poi è arrivata la prova dalla biologia molecolare. I biologi negli anni ’70 hanno iniziato a testare lo schema dell’albero ramificato di Darwin confrontando le molecole di varie specie. Più le molecole di due specie diverse sono simili, più si presume che queste siano strettamente correlate. A prima vista questo approccio sembra confermare l’albero della vita di Darwin. Ma quando gli scienziati hanno confrontato molte altre molecole hanno scoperto che diverse molecole danno risultati contrastanti. Lo schema dell’albero che si desume da una molecola spesso contraddice lo schema ottenuto da un’altra.
Il biologo molecolare canadese W. Ford Doolittle crede che questo problema non si risolverà. Forse gli scienziati non sono riusciti a trovare il «vero albero», scrisse nel 1999, «non perché i loro metodi sono inadeguati o perché hanno scelto i geni sbagliati, ma perché la storia della vita non può essere adeguatamente rappresentata come un albero». Ciò nonostante i libri di testo di biologia continuano ad assicurare gli studenti che l’albero della vita di Darwin è un dato scientifico pienamente confermato dalle prove. Però a giudicare dai fossili e dalle prove molecolari la teoria è una mera ipotesi mascherata da fatto.
Sembrano tutti uguali: omologia fra gli arti dei vertebrati
La maggior parte dei testi introduttivi di biologia riportano immagini di arti di vertebrati che mostrano somiglianze nella struttura ossea. I biologi prima di Darwin avevano notato questa specie di somiglianza e la chiamavano «omologia», attribuendola ad un comune archetipo o design. Però nell’ Origine delle specie Darwin sosteneva che la spiegazione migliore per l’omologia fosse la discendenza con delle modifiche, e la considerava una prova per la sua teoria.
I seguaci di Darwin si affidavano alle omologie per sistemare i fossili in alberi ramificati che dovevano mostrare relazioni di tipo antenato-discendente. Il biologo Tim Berra nel suo libro del 1990 L’evoluzione e il mito del creazionismo ha rapportato reperti fossili a una serie di modelli di Corvette: «Se se si mettono a confronto un modello Corvette del 1953 e uno del 1954, uno accanto all’altro, poi uno del 1954 e uno del 1955, e così via, la discendenza con modificazioni è assolutamente ovvia».
Ma Berra ha scordato di considerare un punto ovvio e cruciale: le Corvette finora, come altri sono stati in grado di determinare, non hanno dato vita a piccole Corvette. Queste, come tutte le automobili, sono progettate da persone che lavorano per le industrie automobilistiche. In altre parole, un’intelligenza esterna. Quindi, sebbene Berra fosse convinto di sostenere l’evoluzione darwiniana e non una spiegazione pre-darwiniana, senza volerlo dimostrava che la prova fossile è compatibile con entrambe. Il professore di diritto (e critico di Darwin) Phillip E. Johnson l’ha definito «l’abbaglio di Berra».
La lezione dell’abbaglio di Berra è che dobbiamo specificare un meccanismo naturale prima di poter escludere scientificamente una costruzione progettata come la causa dell’omologia. I biologi darwiniani hanno proposto due meccanismi: la via dello sviluppo e i programmi genetici. Secondo il primo i caratteri omologhi nascono da cellule simili e si trasformano nell’embrione; secondo l’ altro i caratteri omologhi sono programmati da geni simili.
Ma i biologi sanno da un centinaio d’anni che le strutture omologhe spesso non sono prodotte da vie di sviluppo tradizionali, e sanno da 30 anni che spesso non sono prodotti da geni simili. Quindi non c’è nessun meccanismo empiricamente dimostrato per stabilire che le omologie sono dovute ad antenati comuni piuttosto che a un design comune.
Senza un meccanismo i moderni darwiniani hanno definito l’omologia semplicemente per designare la somiglianza dovuta ad un comune antenato. Secondo Ernst Mayr, uno dei principali architetti del moderno neo darwinismo: «Dopo il 1859 c’è stata solo una definizione di omologo che ha senso: gli attributi di due organismi sono omologhi quando derivano da una caratteristica equivalente dell’antenato comune».
Questo è il classico caso di un ragionamento circolare. Darwin considerava l’evoluzione una teoria e l’omologia la sua prova. I seguaci di Darwin ritengono che l’evoluzione si sia avuta in modo indipendente e che l’omologia ne sia il risultato. Ma allora non si può usare l’omologia come prova dell’evoluzione se non si ragiona in modo circolare: la somiglianza dovuta ad un antenato comune dimostra un antenato comune.
I filosofi della biologia criticano questo approccio da decenni. Come Ronald Brady scrisse nel 1985: «Trasformando la nostra spiegazione in una definizione che possa essere spiegata, noi non esprimiamo ipotesi scientifiche ma credenze. Siamo così sicuri che la nostra spiegazione sia vera che non abbiamo più la necessità di distinguerla dalla situazione che stavamo cercando di spiegare. Sforzi dogmatici di questo tipo alla fine devono lasciare il campo della scienza».
Quindi, come trattano questa faccenda i libri di testo? Ancora una volta la ignorano. Infatti agli studenti danno l’impressione che abbia senso definire l’omologia in termini di antenati comuni, per poi girarci intorno e usarla come prova per un antenato comune. E questa la chiamano «scienza».
Basta fissare con un po’ di colla: la falena punteggiata
Darwin era convinto che nel corso dell’evoluzione «la selezione naturale era stata la più importante ma non l’unico modo in cui erano avvenute le modificazioni», però non ne aveva prova diretta. La cosa migliore che poté fare ne L’origine delle specie era dare «una o due illustrazioni immaginarie».
Negli anni ’50 il fisico inglese Bernard Kettlewell fornì quella che sembrava essere la prova definitiva della selezione naturale. Nel secolo precedente in Inghilterra le falene punteggiate erano passate dall’essere predominante di colore chiaro al colore scuro. Si pensò che questo cambiamento fosse avvenuto perché le falene scure si mimetizzavano meglio sui tronchi degli alberi scuriti dall’inquinamento, e quindi era meno probabile che potessero essere mangiate dagli uccelli predatori.
Per testare questa ipotesi in modo sperimentale Kettelwell liberò delle falene chiare e scure su alberi in zone inquinate e non, e poi osservò quali falene erano mangiate maggiormente. Come ci si aspettava gli uccelli mangiarono più falene chiare in zone inquinate, e più falene scure in zone non inquinate. In un articolo per Scientific American Kettelwell la definì «la prova che mancava a Darwin». Le falene punteggiate divennero l’esempio classico della selezione naturale in atto e questa storia è ancora raccontata nella maggior parte dei testi introduttivi di biologia, accompagnata da foto delle falene sugli alberi.
Negli anni ’80 però i ricercatori trovarono la prova che la versione ufficiale si stava incrinando –incluso il fatto che normalmente le falene non si riposano sui tronchi degli alberi. Queste, infatti, di notte volano e di giorno si nascondono fra i rami più alti. Liberando le falene di giorno sugli alberi nelle vicinanze Kettelwell aveva creato una situazione artificiale che non esiste in natura. Adesso molti biologi considerano i suoi risultati non validi, e alcuni si chiedono perfino se la selezione naturale sia davvero responsabile dei cambiamenti osservati.
Allora da dove provengono tutte le foto delle falene sui tronchi d’albero dei libri di testo? Sono tutte una messa in scena. Per facilitare le cose alcuni fotografi hanno perfino incollato sugli alberi delle falene morte. Naturalmente le persone che hanno fatto queste contraffazioni prima degli anni ’80 pensavano di rappresentare la verità dei fatti, mentre adesso sappiamo che stavano sbagliando. Eppure un’occhiata a quasi tutti i testi in uso di biologia rivelano che quelle foto sono ancora usate come prova della selezione naturale.
Nel 1999 uno scrittore di libri di testo canadese giustificava così quella consuetudine «si deve considerare il pubblico. Quanto la vuoi far difficile per un principiante?». Bob Ritter fu citato per aver detto sull’ Alberta Report Newsmagazine (aprile 1999) che gli studenti delle superiori «sono ancora molto concreti nel modo di imparare. Noi vogliamo far capire l’idea dell’adattamento selettivo. In seguito potranno guardare il lavoro in modo critico».
Quel «in seguito» deve significare molto più tardi. Quando il Professore Jerry Coyne dell’università di Chicago ha scoperto la verità era nel pieno della sua carriera di biologo evoluzionista. La sua esperienza mostra quanto siano insidiose le icone dell’evoluzione perché fuorvianti per esperti e principianti.
Becchi e uccelli: i cardellini di Darwin
Un quarto di secolo prima che Darwin pubblicasse L’origine delle specie egli andava formulando le proprie idee di naturalista sulla nave inglese per rilievi H. M. S. Beagle. Quando la Beagle visitò le isole Galapagos nel 1853 Darwin raccolse campioni naturali del luogo inclusi alcuni cardellini. Sebbene i cardellini abbiano poco a che fare con lo sviluppo della teoria dell’evoluzione, questi hanno attratto l’attenzione di alcuni moderni biologi evoluzionisti come ulteriore prova della selezione naturale.
Negli anni ’70 Peter e Rosemary Grant e i loro colleghi notarono un aumento del 5% nella dimensione del becco dopo una grave siccità poiché ai cardellini erano rimasti solo dei semi duri da rompere. Il cambiamento anche se significativo era piccolo, eppure alcuni darwiniani dicono che ciò spiega come ebbe origine la specie dei cardellini.
Un libretto del 1999 pubblicato dall’Accademia Americana di Scienze descrive i cardellini di Darwin come «un esempio particolarmente importante» sull’origine delle specie. Il libretto cita il lavoro di Grant e spiega come «un solo anno di siccità nelle isole possa favorire cambiamenti evolutivi nei cardellini». Il libretto calcola anche che «se ci fossero siccità ogni 10 anni, in solo 200 anni si avrebbe una nuova specie».
Ma il libretto ha sbagliato nel non dire che i becchi sono tornati normali quando sono ritornate le piogge. Non si è avuto nessuna evoluzione netta. Infatti ora molte specie di cardellini si sono unite attraverso l’ibridazione e non si sono diversificate attraverso l’evoluzione naturale come richiede la teoria di Darwin.
Celare le prove per dar l’impressione che i cardellini di Darwin confermano la teoria evolutiva sconfina nella disonestà scientifica. Secondo il biologo di Harvard Luis Guenin (che ha scritto in Nature nel 1999) le leggi sulla sicurezza americana «sono la migliore fonte di guida basata sull’esperienza» nel definire ciò che costituisce una cattiva condotta scientifica. Eppure un promotore finanziario che dice a un cliente che certe azioni raddoppieranno il loro valore in 20 anni perché sono salite del 5% nel 1998, e nasconde il fatto che le stesse azioni sono scese del 55 nel 1999, potrebbe essere accusato di frode. Come il Professore di diritto Phillip E. Johnson scrisse nel Wall Street Journal nel 1999: «Quando i nostri maggiori scienziati devono ricorrere alle distorsioni che porterebbero in prigione un agente di borsa, capite che sono nei guai».
Dalle scimmie agli umani
La teoria di Darwin ottiene il merito che le spetta quando è applicata alle origini umane.
Questo tema è appena accennato ne L’origine delle specie, ma in seguito è ampiamente trattato in L’origine dell’uomo. «Il mio obiettivo, – spiegò – è dimostrare che non c’è una differenza fondamentale fra l’uomo e gli animali che posseggono elevate facoltà mentali», perfino la morale e la religione. Secondo Darwin la tendenza dei cani a immaginare un ente nascosto nelle cose mosse dal vento «può facilmente passare nell’idea dell’esistenza di un o più dei».
Naturalmente la consapevolezza che il corpo umano è parte della natura esisteva già prima di Darwin. Ma Darwin stava affermando molto di più. Come i filosofi materialisti dell’antica Grecia, Darwin credeva che gli esseri umani non sono niente più che animali.
Darwin però aveva bisogno di prove per confermare la sua congettura. Sebbene gli uomini di Neanderthal fossero già stati scoperti, questi non venivano considerati progenitori degli uomini, quindi Darwin non aveva prove fossili per le sue idee. Fu solo nel 1912 che il paleontologo Charles Dawson annunciò di aver scoperto ciò che i darwiniani stavano cercando, in una buca di ghiaia a Piltdown in Inghilterra.
Dawson aveva trovato una parte di cranio umano e parte di una mascella inferiore simile a quella di una scimmia con due denti. Solo 40 anni dopo un gruppo di scienziati dimostrò che il cranio di Piltdown, anche se vecchio di migliaia di anni, apparteneva ad un uomo moderno, mentre il frammento di mascella era più recente e apparteneva ad un orango. La mascella era stata trattata chimicamente per farla sembrare un fossile e i denti erano stati deliberatamente limati per farli sembrare umani. L’uomo di Piltdown era una falsificazione.
La maggior parte dei moderni libri di testo neppure citano Piltdown. Quando i critici di Darwin lo fanno di solito gli viene risposto che l’incidente dimostra solamente che la scienza si autocorregge. E così è stato in questo caso, anche se ci sono voluti 40 anni. Ma la lezione più interessante da imparare da Piltdown è che gli scienziati, come tutte le altre persone, possono sbagliare se vedono quello che vogliono vedere.
La stessa soggettività che preparò la strada a Piltdown continua a condannare la ricerca sulle origini dell’uomo. Secondo il paleoantropologo Misia Landau le teorie sulle origini umane «superano di gran lunga ciò che si può desumere dallo studio dei soli fossili, e in effetti danno a questi un pesante fardello di interpretazioni – un fardello che si può alleggerire ponendo i fossili in preesistenti strutture narrative».
Nel 1996 il curatore del museo americano di storia naturale Ian Tattersall riconobbe che «nella paleoantropologia i modelli che percepiamo probabilmente derivano tanto dai nostri schemi mentali inconsci, quanto dalle prove. L’antropologo Geoffrey Clark dell’università statale dell’Arizona riaffermò questo concetto nel 1997 quando scrisse «Noi selezioniamo fra serie di conclusioni di ricerche a seconda delle nostre inclinazioni e concezioni». Clark suggerì che «la paleoantropologia ha la forma ma non la sostanza della scienza».
Gli studenti di biologia ed il pubblico raramente sono informati della profonda incertezza sull’origine umana che si riflette nelle affermazioni di questi esperti di scienze, invece, vengono semplicemente «nutriti» con le ultime speculazioni come se fossero fatti. E le speculazioni vengono illustrate con fantasiosi disegni di uomini delle caverne, o foto di attori pesantemente truccati.
Che cosa sta succedendo?
La maggior parte di noi pensa che ciò che sentiamo dagli scienziati sia degno di fiducia. I politici possono distorcere la verità o modificarla per sostenere un ordine del giorno prestabilito, ma gli scienziati, ci viene detto, trattano i fatti. Sicuramente qualche volta possono sbagliare ma la bellezza della scienza è che è empiricamente verificabile. Se una teoria è sbagliata questo verrà scoperto da altri scienziati che fanno esperimenti in modo indipendente per replicare o confutare i loro risultati.
In questo modo i dati sono costantemente rivisti e le ipotesi diventano teorie ampiamente accettate. Allora come spieghiamo una distorsione così invasiva e duratura dei fatti specifici usati per sostenere la teoria evolutiva? Forse l’evoluzione di Darwin ha assunto un significato nella nostra cultura che ha poco a che fare col suo valore scientifico. Un’indicazione di ciò si è vista nella reazione quasi universale e ipercritica alla decisione del consiglio della Kansas School di dar spazio al dissenso nell’insegnamento standard dell’evoluzione (molto del quale, abbiamo visto, è sbagliato).
Secondo le notizie dei media solo i fondamentalisti religiosi fanno obiezioni all’evoluzione di Darwin. Le persone che la criticano, ci viene detto, vogliono far precipitare la scienza all’età della pietra e sostituirla con la Bibbia. Le prove scientifiche sempre maggiori che contraddicono le affermazioni di Darwin sono comunque ignorate. Quando il biochimico Michael Behe l’anno scorso dichiarò al The New York Times che la prova degli embrioni è un fallimento, il darwiniano di Harvard Stehen Jay Gould ammise di saperlo da decenni (come già detto prima) ma accusò Behe di essere un creazionista per averlo detto.
Ora, sebbene Behe sostenga l’idea che alcune caratteristiche degli esseri viventi siano spiegati meglio attraverso il disegno intelligente (intelligent design), lui non è un creazionista come la parola normalmente sottintende. Behe è un biologo molecolare la cui opera scientifica lo ha convinto che la teoria di Darwin non si conforma alle osservazioni e prove sperimentali. Perché Gould che sa che i disegni di Haeckel sono falsi ha liquidato Behe definendolo un creazionista?
Suppongo ci sia in atto un processo che non è scientifico. La mia prova è il messaggio materialistico più o meno esplicito che si trova nei libri di testo. La biologia evolutiva di Futuyma ne è un esempio poichè informa gli studenti che «è stata la teoria evolutiva di Darwin, insieme alla teoria storica di Marx e la teoria della natura umana di Freud, a fornire l’asse portante della piattaforma della tecnica e del materialismo che è il palcoscenico della maggior parte del pensiero occidentale».
Un libro di testo cita Gould che dichiara apertamente che gli uomini non furono creati ma sono semplicemente ramoscelli fortuiti sull’albero contingente (cioè accidentale) della vita. Il darwinista di Oxford Richard Dawkins, anche se non ha scritto un libro di testo, dichiara in modo anche più ottuso «Darwin ha reso possibile essere un ateo intellettualmente compiuto».
Ovviamente queste sono opinioni più filosofiche che scientifiche. Futuyma, Gould e Dawkins hanno il diritto di avere le loro idee filosofiche, ma non hanno il diritto di insegnarle come se fossero scienza. Nella scienza tutte le teorie, inclusa l’evoluzione di Darwin, devono essere testate tramite delle prove.
Poiché Gould sa che la prova embriologica contraddice i disegni falsi nei testi di biologia, perché non assume un ruolo più attivo nel ripulire l’educazione scientifica? Le mistificazioni e omissioni che ho esaminato qui sono solo un piccolo campione. Ce ne sono molte altre. Per troppo tempo il dibattito sull’evoluzione ha assunto fatti che non sono veri. E’ tempo di eliminare le bugie che limitano la discussione popolare sull’evoluzione ed insistere sul fatto che le teorie devono conformarsi alle prove. In altre parole, è tempo di fare scienza come si suppone si debba fare.
Jonathan Wells
University of California, Berkeley
(Traduzione di Andrea Bartelloni, autorizzata dall’autore, dall’originale «Survival of the fakest», American Spectator, 1 gennaio 2001 )