di Massimo Introvigne
Nella Provincia canadese dell’Ontario il governatore Dalton McGuinty ha posto il veto alla legge che consentiva ai coniugi islamici di sottrarre le controversie in materia di famiglia alle corti civili sottoponendole volontariamente a un tribunale musulmano che avrebbe deciso secondo la legge islamica. Contemporaneamente, la confinante Provincia del Québec ha annunciato il varo di una legge che vieta di devolvere controversie in materia di famiglia a tribunali arbitrali privati. Scompare così una legge di cui molti, tra cui chi scrive, avevano segnalato i pericoli.
Tutto bene, allora? Fino a un certo punto. Il governatore dell’Ontario con lo stesso decreto ha revocato una legge che esisteva da oltre cento anni, e consentiva ai coniugi delle minoranze cattolica ed ebraica (la maggioranza nella Provincia è protestante) di ricorrere all’arbitrato volontario delle loro istituzioni religiose per i tentativi di conciliazione prima del divorzio e per le separazioni. La legge del Québec (dove i cattolici sono in maggioranza) va nella stessa direzione.
Il ragionamento soggiacente è che la legge è uguale per tutti: se ai musulmani non è consentito fare risolvere i problemi familiari dagli imam, anche cattolici ed ebrei devono andare dal giudice e non dal prete o dal rabbino. Una soluzione politicamente corretta, ma in pratica sgradita a molti canadesi, vescovi cattolici compresi.
Le statistiche dimostrano che sia la riconciliazione fra i coniugi in lite sia una separazione amichevole senza strascichi legali sono più facili di fronte ai ministri di culto, spesso amici personali dei coniugi che volontariamente li hanno scelti, che nella stanza asettica di un tribunale.
La soluzione scelta in Canada lascia intendere che le idee sulla famiglia del cattolicesimo, dell’ebraismo e di quelle organizzazioni islamiche (in gran parte in odore di fondamentalismo) che gestiscono i tribunali musulmani dell’Ontario sono sullo stesso piano, ugualmente compatibili – o incompatibili – con i principi costituzionali del paese. Si evita così di dire la verità, cioè che quanto alla famiglia e ai diritti della donna la Chiesa cattolica e le istituzioni ebraiche sono in sintonia con i valori condivisi dalla grande maggioranza dei canadesi, mentre i tribunali islamici dell’Ontario si basano su un’idea di famiglia completamente diversa.
Il problema non è solo canadese. Anche in Italia si levano voci per dire che, se non vanno consentite scuole islamiche dove si predica contro l’Occidente, lo stesso vale per quelle scuole cattoliche che criticano leggi dello Stato, oggi sull’aborto, domani magari sulle coppie omosessuali.
Come emergeva il mese scorso in un seminario a Toronto, cui partecipava anche chi scrive, ci sono due idee molto diverse su come reagire di fronte a rivendicazioni islamiche incompatibili con i valori occidentali. La prima consiste nel riconoscere francamente che alcuni gruppi islamici (non tutti) su diversi temi avanzano proposte e propongono insegnamenti incompatibili con i valori dei Paesi occidentali, e che il problema riguarda questi gruppi musulmani, non le religioni in genere.
La seconda, laicista, parte dal giusto no a queste rivendicazioni per attaccare la religione in genere, e abolire, in nome della par condicio con gli islamici, forme di collaborazione fra lo Stato e il cristianesimo, o l’ebraismo, che hanno retto alla prova degli anni e si sono dimostrate utili al bene comune. Sembra equo, ma in realtà non lo è.