da Libertà e Persona 3 Settembre 2018
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Il libretto “Per la salute delle donne” che ho scritto per l’associazione ProVita onlus – un opuscolo informativo in cui sono elencate le complicazioni che l’aborto indotto può provocare alla salute fisica e psichica della donna -, mi ha portato a consultare le Relazioni annuali sull’Attuazione della legge 194/78 in cui il Ministro della Salute riepiloga tutti i dati degli aborti indotti.
La mia analisi si è concentrata in particolare su quelle parti delle Relazioni dedicate alle complicazioni associate all’aborto le quali, ad una prima lettura superficiale, avevano mostrato una sottostima dei casi se confrontate con i tassi di complicazioni riportati in letteratura scientifica.
L’indagine che ho condotto per approfondire la questione, addentrandomi tra i paragrafi, i numeri e le tabelle delle relazioni ministeriali, ha confermato in maniera netta ed evidente la sottostima delle complicazioni. Ma ha altresì evidenziato uno scenario ancora più preoccupante, con la presenza nelle relazioni di dati incoerenti, in contrasto tra loro, non rilevati ed espressi in maniera troppo generica, nonché di informazioni mancanti e non adeguatamente specificate.
Quello che segue è il riepilogo dettagliato di questa indagine.
1) Le osservazioni del Ministero rivelano una sottostima delle complicanze e un dato mancante
Nella relazione del 26 ottobre 2015 (dati anno 2013) a pag. 42 il Ministero scrive: “Dal 2013 il modello D12/Istat permette di registrare più di una complicanza per ciascuna IVG e di raccogliere il dato sul mancato/incompleto aborto. Tuttavia, molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa e non è quindi possibile analizzare i risultati. Si raccomanda le Regioni di procedere alle modifiche necessarie nel più breve tempo possibile.”
Quindi, dalle parole del Ministero apprendiamo che, fino al 2012 compreso, era possibile indicare solo una complicazione per aborto, per cui se, per esempio, una donna durante l’aborto subiva un’emorragia a seguito di una perforazione uterina, il medico indicava solo 1 complicazione invece di 2 (perforazione ed emorragia). Lo stesso accadeva se, per esempio, incorreva in un’infezione a causa di un aborto incompleto, anche in questo veniva indicata 1 complicazione invece di 2 (aborto incompleto e infezione).
Questo fatto cosa ci dice? Ci dice che i dati sulle complicazioni provocate dall’aborto diffusi dal Ministero della Salute prima del 2013 sono tutti più bassi di quanto non siano in realtà, così come di conseguenza risulta più bassa l’incidenza percentuale delle complicanze.
Dopo il 2013, le cose sono cambiate? Pare proprio di no.
Infatti, a pag. 42 della relazione del 7 dicembre 2016 (dati anni 2014 e 2015), il Ministero riporta la stessa identica frase. Così come fa a pag. 44 dell’ultima relazione disponibile: 22 dicembre 2017 (dati anno 2016).
IN CONCLUSIONE:
1. Nonostante dal 2013 sia possibile indicare più di una complicazione per aborto e di raccogliere il dato sul mancato/incompleto aborto, queste informazioni di fatto presentano ancora molte carenze perché – come specifica il Ministero -: “molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa e non è quindi possibile analizzare i risultati”. Quindi le complicazioni continuano a essere sottostimate e, a oggi, manca ancora del tutto il dato sugli aborti mancati o incompleti che si verificano.
2. Anche nei casi in cui le Regioni abbiano aggiornato il loro sistema di raccolta, non sappiamo se di fatto i medici riportano tutte le complicazioni che si verificano nell’ambito degli aborti, anche perché non è obbligatorio che lo facciano. Il Ministero dice semplicemente che il mod. Istat D/12 “permette di registrare più di una complicanza” e non che è obbligatorio indicare tutte le complicanze, infatti non esiste una legge che obblighi il medico in questo senso. Pertanto: chi ci assicura che i medici abortisti non continuino a fare come hanno sempre fatto in passato?
3. Nella tabella che segue ho riepilogato l’incidenza delle complicazioni riportata ogni anno dal Ministero, da cui si evince un certo incremento dal 2013 in poi, rispetto agli anni precedenti in cui appunto era possibile riportare solo una complicazione per Ivg:
Quindi, dall’anno 2013, il dato sull’incidenza delle complicazioni è sicuramente più veritiero rispetto a quello degli anni precedenti, tuttavia esso non rappresenta una fotografia della situazione reale visto che, come evidenziato, permangono a tutt’oggi carenze e criticità. Inoltre, come vedremo di seguito, vi sono anche altri dati che inducono a ritenere che le complicazioni siano decisamente sottostimate rispetto a quelle che si verificano in realtà.
2) Nella relazione del 2016 emergono dati contraddittori e una sottostima del numero totale degli aborti e delle emorragie
A pag. 103 dell’ultima relazione (dati del 2016) il Ministero riporta la seguente tabella:
- Le “IVG Istat” sono gli aborti desunti dal modello di rilevazione Istat D/12 che ogni medico deve compilare e sottoscrivere ogni volta che esegue un aborto.
- Le “IVG Sdo” sono gli aborti desunti dalle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO).
Come si vede dalla tabella:
- I dati IVG Istat riportano 199 casi di emorragia su 369 aborti in totale
- Mentre le SDO riportano 310 casi di emorragia su 444 aborti in totale.
COSA SE NE DEDUCE?
1. Il numero totale degli aborti tra le due fonti non coincide: mancano all’appello 1.925 schede di dimissione. Che fine hanno fatto?
2. Poiché nella medesima Relazione il Ministero riporta come ammontare totale degli aborti per il 2016 la cifra di 84.926, emerge una discrepanza per difetto anche del numero totale degli aborti, sia rispetto ai dati Istat che alle SDO. Dove sono finiti i 2.443 aborti in più certificati dai mod. Istat D/12? O i 518 aborti in più risultanti dalle SDO? Perché nella relazione è stato riportato un numero inferiore? Da quali fonti deriva?
3. Emerge una differenza anche per quanto riguarda le emorragie riscontrate: risultano infatti molto più elevate le emorragie certificate dalle SDO rispetto agli Istat (310 contro 199), e questo nonostante le SDO siano un numero inferiore rispetto ai mod. Istat (1.925 in meno). Che fine hanno fatto i 111 casi di emorragie mancanti dai mod. Istat? Di fronte all’evidenza, anche il Ministero è costretto ad ammettere che “probabilmente nei dati Istat l’informazione sulla complicazione è sottostimata”.
4. Perché alla tabella n. 27 della relazione del 2016 (che riepiloga le complicazioni provocate dagli aborti) il Ministero riporta in totale solo 219 casi di emorragia (tab. 3 di questo scritto), se le schede SDO ne hanno riscontrati 310? Che fine hanno fatto i 91 casi mancanti dalla tab. 27? Da quali fonti deriva la cifra di 219?
IN CONCLUSIONE:
La relazione del 2016 del Ministero della Salute presenta dati che si contraddicono tra loro, nonché una sottostima del numero totale degli aborti e dei casi di emorragia.
3) Le Relazioni riportano ogni anno molti casi di complicazioni non rilevate
Il Dott. Angelo Francesco Filardo, specialista in ostetricia e ginecologia, osserva che le tabelle n. 27 delle Relazioni annuali indicano molti casi in cui le complicazioni risultano non rilevate. “Non rilevate” – spiega Filardo – non significa “nessuna complicazione”, ma che in quei casi riportati non si è rilevato se vi siano state o no complicazioni.
Ho riepilogato nella seguente tabella i casi “non rilevati” di complicazioni dal 2008 al 2016, resi noti dal Ministero nelle tab. n. 27:
Come si vede, i casi ignoti non sono pochi e questo rappresenta un fatto gravissimo, come nota il Dott. Filardo, il quale si domanda come sia possibile che in ambiente ospedaliero non si riesca a sapere se nell’ambito di un aborto si sia verificata o no una complicazione. Anche nei casi in cui la donna venga dimessa 1, 5 o 8 giorni prima dal verificarsi della complicazione – spiega Filardo -, tramite il codice fiscale, incrociando i dati di tutti i ricoveri e delle visite fatte è possibile trovare i dati. Se si ha la volontà di cercare, si riesce a fare, ma evidentemente – conclude il dottore – nessuno ha interesse a dire e far conoscere la verità.
IN CONCLUSIONE:
Anche il dato delle complicazioni “non rilevate” conduce inevitabilmente a una sottostima delle complicazioni associate all’aborto.
4) Le “altre complicanze” non sono mai specificate
Dalle tabelle n. 27 emerge un’altra criticità: il fatto che le “altre complicanze” che si verificano con gli aborti, oltre alle emorragie e alle infezioni, sono espresse solo con un numero generico, per cui non si può conoscere nello specifico di quali complicazioni si tratta né con quale frequenza si manifestano.
Ho riepilogato nella seguente tabella i totali delle tabelle n. 27, dal 2011 al 2016, con la specifica delle complicanze così come suddivise dal Ministero:
Come si vede dalla tabella, solo le emorragie e le infezioni sono chiaramente specificate, poi vi è una colonna con “altro” in cui sono inserite tutte le complicazioni che differiscono dalle prime due. Di quali complicazioni si tratta? Perforazioni uterine, lacerazioni della cervice, problemi legati all’anestesia, danni agli organi interni, aborti incompleti…? Non si sa, eppure queste “altre” complicazioni non costituiscono un piccolo numero, bensì l’ammontare più elevato di tutte le complicazioni associate all’aborto.
Il fatto che le altre complicazioni non siano specificate non dipende dalla negligenza dei medici, ma dal fatto che il mod. Istat D/12 non prevede una suddivisione dettagliata. Come si vede dall’immagine seguente, che ho estratto dal mod Istat: al punto 20 il medico può solo barrare delle caselle e la voce “altra” non prevede alcuna indicazione specifica.
IN CONCLUSIONE:
Il numero elevato delle “altre” complicazioni fa ritenere non adeguata una loro classificazione così generica. Le donne hanno il diritto di essere messe a conoscenza di tutte le complicazioni (e con che frequenza si verificano) a cui possono andare incontro quando si sottopongono all’aborto volontario.
5) Le complicazioni provocate dall’aborto medico risultano chiaramente sottostimate
L’aborto medico, o chimico, o farmacologico è l’aborto non di tipo chirurgico, eseguito utilizzando o il mifepristone o le prostaglandine o una combinazione di entrambi i farmaci (RU486). A pag. 42 della relazione del 2016, il Ministero della Salute evidenzia l’aumento costante negli anni del ricorso all’aborto farmacologico: “Per il 2016 tutte le regioni sono state in grado di fornire l’informazione dettagliata del tipo di intervento, come riportata nella scheda D12/Istat che prevede anche la suddivisione dell’aborto farmacologico in “Solo Mifepristone”, “Mifepristone+prostaglandine”, e “Sola Prostaglandina”. Il confronto nel tempo evidenzia un incremento continuo dell’uso del Mifepristone e prostaglandine e l’utilizzo ormai in tutte le regioni”.
Al fine di calcolare il numero totale degli aborti medici di ogni anno, nella tabella che segue ho riepilogato gli aborti farmacologici dal 2010 al 2016, così come riportati dal Ministero nelle tabelle n. 25 delle Relazioni.
Il Ministero distingue gli aborti medici in: aborti “Mifepristone + Prostaglandine” (RU486), aborti “Solo Mifepristone” e aborti “Sola Prostaglandina”. Negli anni 2010, 2011 e 2012 gli aborti eseguiti con il “Solo Mifepristone” o la “Sola Prostaglandina” sono stati raggruppati nella voce aborto “Farmacologico”.
Il Dott. Filardo osserva che l’aborto chimico presenta in letteratura un rischio di revisione della cavità uterina a seguito di emorragia o di residui fetali rimasti in utero del 2-10%, ma se confrontiamo questo dato con le complicazioni riportate dal Ministero nelle relazioni (tab. 3 di questo scritto) emerge una forte sottostima delle complicazioni. E non solo, si può altresì notare che l’aumento del ricorso all’aborto chimico – come evidenziato dal Ministero e dalla tabella qui sopra – fa registrare, contro ogni logica, una diminuzione delle complicazioni. Infatti:
1. Nel 2013 gli aborti chimici ammontano a 11.151. Calcolando un 2-10% di revisione della cavità uterina a seguito di emorragia o residui rimasti in utero, si ricava solo per gli aborti chimici un ammontare di casi di emorragia e aborti incompleti compreso tra 223 (2%) e 1.115 (10%). Tuttavia, come indicato nella tab. n. 27, il n. di emorragie totale per tutte le tipologie di aborto è pari a 163: un numero addirittura più basso del livello minimo del 2% registrato in letteratura solo per gli aborti chimici.
2. Così nel 2014: gli aborti chimici aumentano a 12.249; emorragie e aborti incompleti solo per gli aborti chimici dovrebbero ammontare a una cifra compresa tra 245 (2%) e 1.225 (10%); invece il Ministero riporta come totale delle emorragie per tutte le tipologie di aborto la somma di 265.
3. Uno scenario simile si ritrova anche nel 2015: con gli aborti chimici saliti a 12.785 casi, che comporterebbero emorragie e aborti incompleti compresi tra 255 (2%) e 1.278 (10%), ma il dato delle emorragie riportato dal Ministero per tutte le tipologie di aborto è di soli 234 casi.
4. Ancora peggio va nel 2016 dove all’ulteriore balzo in avanti del ricorso all’aborto chimico, corrisponde addirittura una diminuzione ancora più consistente delle complicazioni. 15.355 sono gli aborti chimici; da 307(2%) a 1.535 (10%) dovrebbero essere i casi di emorragia e aborto incompleto solo per gli aborti chimici, mentre sono appena 219 i casi di emorragia per tutte le tipologie di aborto riportati dal Ministero.
IN CONCLUSIONE:
I dati mostrano un’evidente forte sottostima delle complicazioni (emorragie e aborti incompleti) associate all’aborto chimico. Perché queste complicazioni non sono riportate? Filardo ipotizza che ciò avvenga perché vi è un interesse a incentivare il ricorso all’aborto chimico al fine di togliere ai medici abortisti il peso psicologico dell’aborto chirurgico. Perché fare un aborto e mezzo a settimana, secondo quanto riportato dalle statistiche del Ministero, non costituisce di certo un onere gravoso dal punto di vista fisico per il medico abortista.
6) Alcune osservazioni contenute nelle Relazioni del 2010 e del 2011 rivelano un’incidenza più realistica delle complicazioni provocate dall’aborto medico
A pagina 5 della relazione del 2010 appare il seguente paragrafo a proposito degli aborti medici: “Nel 96,1% dei casi non vi è stata nessuna complicazione immediata e la necessità di ricorrere per terminare l’intervento all’isterosuzione o alla revisione della cavità uterina nelle donne che avevano avviato la procedura dell’IVG farmacologica si è presentata nel 5,9% dei casi. Anche al controllo post dimissione nel 92% dei casi non è stata riscontrata nessuna complicanza. Questi dati sono simili a quanto rilevato in altri Paesi e a quelli riportati in letteratura.”
La stessa analisi, con percentuali che si discostano di poco, appare anche a pag. 5 della relazione del 2011: “Nel 96.9% dei casi non vi è stata nessuna complicazione immediata e la necessità di ricorrere per terminare l’intervento all’isterosuzione o alla revisione della cavità uterina si è presentata nel 5.3% dei casi. Anche al controllo post dimissione nel 92.9% dei casi non è stata riscontrata nessuna complicanza. Questi dati sono simili a quelli rilevati in altri Paesi e riportati in letteratura.”
Dopodiché questo tipo di analisi non è più stata effettuata e le relazioni successive, fino all’ultima del 2016, riportano un mero copia-incolla delle risultanze del 2011.
Cosa si ricava dalle osservazioni del Ministero?
1. Visto che nel 2013non vi è stata alcuna complicazione immediata nel 96,1% dei casi, si ricava che il 3,9% dei casi ha presentato complicazioni immediate. Apprendiamo poi che il 5,9% delle donne ad aver scelto l’aborto medico ha subito una revisione della cavità uterina: una percentuale finalmente realistica che si colloca circa a metà dell’intervallo 2-10% segnalato in letteratura e citato dal dott. Filardo. Infine, il Ministero ci dice che al controllo post-dimissione non sono state riscontrate complicanze nel 92% dei casi, ne consegue che l’8% dei casi ha invece fatto registrare complicanze.
Ora, poiché nel 2010 gli aborti chimici sono stati in totale 5.089 (tab. 4 di questo scritto), ne ricaviamo che:
- I casi di complicazioni immediate sono stati 198;
- Le donne ad aver avuto un’emorragia o un aborto incompleto, e quindi ad aver subito una revisione della cavità uterina o un’isterosuzione, sono state 300;
- Ai controlli post-dimissione sono stati riscontrati 407 casi di complicanze.
Nel 2010 si sono quindi avuti 905 casi di complicanze solo per gli aborti farmacologici, peccato che la tabella n. 27 della Relazione riporti per quell’anno solo 468 casi di complicanze per tutte le tipologie di aborto (270 emorragie, 28 infezioni, 170 altro).
2. Gli stessi calcoli eseguiamo per il 2011, anno in cui – si ricava dai dati del Ministero – gli aborti farmacologici hanno avuto complicanze immediate nel 3,1% dei casi, i casi di emorragia e di aborto incompleto sono stati pari al 5,3% e il controllo post-dimissione ha fatto registrare complicanze nel 7,1% dei casi.
Ora, poiché nel 2011 gli aborti farmacologici sono stati 8.060, ne ricaviamo che:
- I casi di complicanze immediate sono stati 249;
- Emorragie e aborti incompleti sono ammontati a 427 casi;
- I controlli post-dimissione hanno rilevato 572 casi di complicanze.
Nel 2011 si sono quindi avuti 1.248 casi di complicanze solo per gli aborti farmacologici, peccato che la tabella n. 27 della Relazione riporti per quell’anno solo 444 casi di complicanze per tutte le tipologie di aborto(245 emorragie, 28 infezioni, 171 altro).
Ora, come ho già detto, negli anni successivi questo tipo di analisi sparisce dalle relazioni, nelle quali viene tuttavia riportato, di anno in anno, un copia-incolla del dato del 2011. Per questo motivo, volendo provare comunque a calcolare i 3 parametri indicati anche negli anni successivi, mi sono basata sulle percentuali del 2011 che il Ministero continua a riportare nelle sue relazioni.
Nella tabella seguente ho riepilogato i calcoli dei tre parametri per gli anni dal 2012 al 2016. Nella prima colonna ho riportato il totale degli aborti medici di ogni anno (tab. 4 di questo scritto), nella seconda colonna ho inserito il calcolo delle complicanze immediate (3,1%), nella terza colonna il calcolo degli aborti incompleti e delle emorragie (5,3%) e nella quarta colonna il calcolo delle complicanze post-dimissione (7,1%). Infine, per poter confrontare i dati più realistici dei tre parametri con le complicazioni riportate invece dal Ministero nelle tabelle, ho inserito una quinta colonna con la somma dei tre parametri e una sesta colonna con i totali delle complicanze (tab. 27 delle Relazioni, tab. 3 di questo scritto) per tutte le metodologie di aborto riportate dal Ministero.
Come si vede gli scostamenti continuano a rimanere molto elevati, in particolare: mancano all’appello 898 casi di complicanze nel 2012, 1.045 nel 2013, 1.202 nel 2014, 1.351 nel 2015 e – impressionante! – ben 1.886 casi nel 2016. Emerge pertanto ancora più chiaramente il trend illogico, già segnalato in precedenza, secondo cui all’aumentare del ricorso all’aborto chimico da parte delle donne corrisponde la diminuzione delle complicanze riportate dal Ministero.
La discrepanza tra le due misure è enorme, ancor più se si considera che il “totale dei tre parametri” riepiloga le complicanze dei soli aborti medici, mentre le tabelle n. 27 riepilogano le complicanze rilevate per tutte le metodologie di aborto.
IN CONCLUSIONE:
1. Oltre a evidenziare una discrepanza tra gli stessi dati diffusi dal Ministero (le analisi del 2010 e del 2011 contrastano con i dati relativi alle complicanze riportati nelle tabelle delle relazioni) emerge ancora una volta una elevatissima sottostima delle complicazioni associate all’aborto in generale e farmacologico in particolare.
2. Perché dopo il 2010 non è più stata fatta questo tipo di analisi nelle Relazioni? Forse perché i dati risultavano troppo scomodi? O forse perché questi dati contraddicono i bassi tassi di complicazioni propalati dallo stesso Ministero e dagli abortisti, che alle relazioni del Ministero fanno riferimento? Basti osservare che in tutte le relazioni del Ministero l’incidenza delle complicazioni per tutte le tipologie di aborto viene indicata in appena alcuni casi x1.000 (si veda tab. 1 di questo scritto), mentre in realtà, come dimostrano questi dati e la stessa letteratura scientifica, le complicazioni sono pari a tot casi x100: una bella differenza!
7) Le relazioni contengono un numero considerevole di aborti dei quali non si conosce il metodo utilizzato, inoltre i totali delle tab. 25 non tornano
Un’altra discrepanza tra i dati del Ministero, emerge quando si vanno a considerare i totali delle tabelle n. 25 delle Relazioni.
La tabella 25 riepiloga il n. degli aborti e il tipo di intervento utilizzato per ogni Ivg, distinguendolo in: “raschiamento”, “isterosuzione”, “Karman” (per quanto riguarda l’aborto chirurgico), e “RU486: Mif. + Prost.”, “solo Mifepristone” e “solo prostaglandine” (per quanto riguarda l’aborto medico). La tabella contiene inoltre una colonna con “altro”, in cui sono inserite le procedure abortive diverse dalle precedenti e una colonna “non rilevato” per gli aborti dei quali non si conosce la metodologia utilizzata. Se la matematica non è un’opinione, il totale della tab. 25 deve essere pari al numero totale degli aborti praticati, ma di fatto così non è.
Nella tabella che segue ho confrontato il numero totale degli aborti dal 2010 al 2016 con i totali delle tab. 25 di ogni anno. Nella prima colonna ho inserito il n. totale degli aborti di ogni anno, nella seconda colonna i totali delle tab. 25, nella terza colonna ho evidenziato il n. degli aborti il cui metodo risulta non rilevato (come riportato nelle tab. 25) e nell’ultima colonna ho inserito la differenza tra la prima e la seconda colonna la quale, se i conti sono corretti, dovrebbe essere pari a zero.
Oltre al fatto grave che siano presenti degli aborti legali dei quali non si conosce la metodologia utilizzata, si può inoltre notare che i totali delle tab. 25 non corrispondono al numero totale degli aborti rilevato ogni anno, facendo emergere un notevole divario per difetto, e questo nonostante esista nella tabella del Ministero una colonna “non rilevato” per gli aborti la cui metodologia risulta appunto ignota.
IN CONCLUSIONE:
1. Già di per sé è grave che vi sia un certo numero di aborti effettuati in ambiente ospedaliero di cui non si conosce il tipo di intervento abortivo praticato. Che poi, oltre a questi casi ne manchino addirittura all’appello molte altre migliaia che non sono stati contemplati da nessuna parte, nemmeno tra il gruppo dei “non rilevati”, come fossero aborti “fantasma” o “clandestini”, è davvero inaccettabile. A cosa è dovuto questo ulteriore enorme ammanco di aborti legali sconosciuti, in aggiunta ai già gravissimi “non rilevati” indicati dal Ministero?
2. L’unico anno in cui i conti tornano, come è giusto che sia, è il 2016, dove permangono comunque 324 casi di aborti legali di cui non si conosce il metodo utilizzato.
8) Altri dati mancanti
Altri dati mancanti che non hanno direttamente a che fare con le complicazioni, ma che per la loro importanza meritano comunque di essere segnalati, riguardano le settimane di gestazione degli aborti e le motivazioni che spingono la donna a chiedere di abortire.
Il dott. Filardo osserva che nelle tabelle n. 19 delle relazioni del Ministero, che riepilogano gli aborti sulla base delle settimane di gestazione, è presente un numero considerevole di casi “non rilevati”, cioè di aborti effettuati dei quali non si conosce l’epoca gestazionale.
Nella tabella che segue ho riepilogato, per gli anni dal 2010 al 2016, il numero degli aborti eseguiti la cui settimana di gestazione risulta “non rilevata”, così come riportati nelle tab. 19 delle Relazioni:
Come si vede dal riepilogo i casi non sono pochi. Il dott. Filardo commenta così questo dato: “Io dovrei chiedere al Ministro della Sanità come si fa a fare una cartella clinica con l’aborto dove non c’è scritta l’epoca gestazionale”.
La mancanza di questo dato è, infatti, un fatto grave visto che le settimane di gestazione sono fondamentali per poter accedere oppure no all’aborto. La legge 194 prevede, infatti, che l’aborto si possa effettuare solo entro i primi 90 giorni (12 settimane) di gravidanza e, dopo questo periodo, solo se sussistono gravi anomalie o malformazioni del nascituro. Come è possibile, pertanto, che si effettuino così tanti aborti per i quali l’epoca gestazionale non viene rilevata? Non si configura, in questi casi, anche una possibile violazione della legge?
Per quanto riguarda l’altro dato mancante, la dottoressa Cinzia Baccaglini, psicoterapeuta, osserva che mentre nel mod. Istat D/11, utilizzato dai medici per gli aborti spontanei, sono presenti ben 17 cause, nel mod. Istat D/12 per l’aborto volontario mancano completamente le motivazioni per le quali la donna chiede di abortire. “A noi hanno insegnato – spiega la dott.ssa – che quando c’è un problema e bisogna fare dei programmi di prevenzione, bisogna sapere quali sono le motivazioni. In realtà per l’aborto volontario le motivazioni non vengono chieste”.
Questo è un altro fatto che contrasta con la legge 194, la quale all’art. 5 prevede che il consultorio e la struttura socio-sanitaria a cui la donna si rivolge per chiedere di abortire la aiutino “a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza” mettendola “in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e madre”, promuovendo “ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.
Come si conciliano tutti questi buoni propositi con la totale assenza di motivazioni sul modello Istat previsto per l’aborto volontario? Come pensa il Ministero della Salute di rimuovere le cause che inducono la donna ad abortire se tali cause rimangono ignote e non figurano da nessuna parte? Come è possibile attuare politiche di prevenzione degli aborti, se non si conosce uno straccio di motivazione?
Come si vede, sono molte le cose che non tornano nelle Relazioni sull’applicazione della legge 194 del Ministro della Salute, tanto da far pensare che siano state scritte da qualcuno che “dà i numeri” o che abbia qualcosa da nascondere.
C’è nessuno, nel nuovo Governo, che voglia finalmente affrontare questa situazione inaccettabile, riportando ordine e serietà in una tematica così importante? Qualcuno che voglia mettere mano a una Relazione che fa acqua da tutte le parti, con l’omissione di dati importanti e la diffusione di dati sottostimati che fanno apparire l’aborto più sicuro di quanto non sia in realtà? Le donne hanno il diritto di sapere come stanno realmente le cose riguardo alle complicazioni provocate dall’aborto indotto e non meritano di essere prese in giro con cifre e dati che sembrano buttati giù a casaccio da un funzionario ubriaco.