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Aveva il primato di più popolosa nazione cattolica. Ma oggi il Brasile è sotto la sfida della formidabile crescita del cristianesimo pentecostale e carismatico. Come risponde la Chiesa di Roma? Un’indagine del Pew Forum
di Sandro Magister
Sono compiti che a Benedetto XVI stanno particolarmente a cuore, come provano i suoi frequenti richiami, specialmente nei discorsi che rivolge ai vescovi in visita “ad limina”. Nell’ottobre del 2005, durante il sinodo dei vescovi, papa Joseph Ratzinger rimase molto colpito dalla diagnosi che Hummes aveva fatto dello stato del cattolicesimo in Brasile e in Sudamerica: “In Brasile i cattolici diminuiscono in media dell’1 per cento all’anno. Nel 1991 i brasiliani cattolici erano circa l’83 per cento, oggi, secondo nuovi studi, sono appena il 67 per cento. Ci domandiamo con angoscia: fino a quando il Brasile sarà ancora un paese cattolico? In conformità con questa situazione, risulta che in Brasile per ogni sacerdote cattolico ci sono già due pastori protestanti, la maggior parte delle Chiese pentecostali. Molte indicazioni mostrano che lo stesso vale quasi per tutta l’America Latina e anche qui ci domandiamo: fino a quando l’America Latina sarà un continente cattolico?”.
Pochi giorni dopo, Benedetto XVI annunciò che si sarebbe recato di persona, nel maggio del 2007, in Brasile, al santuario dell’Aparecida, alla conferenza generale del CELAM, la federazione delle conferenze episcopali dell’America Latina. E al cardinale brasiliano Hummes il papa chiede ora di prendere il comando, da Roma, di una rinascita cattolica nelle immense regioni del mondo dove soffia più impetuoso il “Fire from Heaven”, il fuoco dal cielo.
“Fire from Heaven” è il titolo di un celebre saggio del 1995 del teologo protestante americano Harvey Cox, che descrive la formidabile crescita, nell’ultimo secolo, del cristianesimo pentecostale e carismatico. Un altro libro importante per capire il fenomeno è del 2002: “The Next Christendom. The Coming of Global Christianity” – in italiano “La Terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo”, Fazi editore. L’autore, Philip Jenkins, è storico delle religioni, professore alla Pennsylvania State University. Il cristianesimo pentecostale e carismatico, nato ai primi del Novecento e cresciuto a successive ondate, comprende oggi quasi un quarto dei 2 miliardi di cristiani di tutto il mondo.
Una parte cospicua di esso ha dato vita a nuove Chiese indipendenti, ma un’altra parte è rimasta interna alle Chiese storiche, compresa la cattolica. I tratti dominanti di questo nuovo cristianesimo sono profonda fede personale, moralità esigente e puritana, ortodossia della dottrina, vincolo comunitario, forte spirito di missione, profezia, guarigioni, visioni.
Il Brasile è un paese dove l’avvento di questo nuovo cristianesimo è particolarmente visibile. Nel censimento del 1980 i cattolici erano l’89 per cento della popolazione e gli appartenenti a Chiese pentecostali il 3,3. Nel censimento del 2000 i cattolici sono scesi al 73,6 per cento e i pentecostali saliti al 10,4. Quest’anno, un’indagine del Pew Forum on Religion & Public Life condotta in Brasile nelle aree metropolitane ha registrato un 57 per cento di cattolici e un 21 per cento di protestanti. Dei protestanti, otto su dieci si dichiarano pentecostali o carismatici. E dei cattolici si dicono tali circa la metà. Di quelli passati a nuove Chiese pentecostali, tre su quattro erano in precedenza cattolici.
La Chiesa cattolica brasiliana ha dunque subito severe perdite e una forte mutazione interna, negli ultimi decenni. Le “comunità ecclesiali di base”, su cui la gerarchia aveva inizialmente puntato, hanno ristretto invece che allargato la platea dei fedeli. La teologia della liberazione, di matrice centroeuropea, ha ispirato una élite ancora più ristretta e autoreferenziale, agli antipodi delle correnti carismatiche in impetuosa espansione anche tra i ceti popolari. In anni recenti nella gerarchia cattolica vi sono stati segni di ripensamento, di cui è un esempio proprio l’evoluzione personale di Hummes, appartenente all’ordine francescano dei frati minori e inizialmente su posizioni socialprogressiste, ma poi avvicinatosi al movimento carismatico.
Tuttavia, la percezione che l’avanzata di pentecostali e carismatici sia la novità più macroscopica nel cristianesimo dell’ultimo secolo è ancora lontana dall’essere condivisa dall’insieme della gerarchia cattolica e dalle élite che più fanno opinione. Contro questa cecità si è scagliato di recente anche un esponente autorevole del progressismo cristiano in Italia, il pastore protestante valdese Giorgio Bouchard, in due libri dedicati al risveglio pentecostale ed “evangelical”.
Ha scritto Bouchard: “I pentecostali e gli ‘evangelical’ sono in assoluto il movimento religioso che si diffonde più rapidamente in tutto il mondo: più delle Chiese storiche protestanti e cattoliche, più dei musulmani che pure si trovano in una fase di vigorosa espansione. […] In un’epoca infestata dal peggior relativismo morale e da un materialismo soffocante, i pentecostali rappresentano una nuova e legittima interpretazione della ‘pietas’ cristiana, fondata su una grande certezza: la presenza dello Spirito, la tanto trascurata terza persona della Trinità”.
E ha proseguito: “Naturalmente questo movimento non è molto gradito agli intellettuali secolarizzati di Harvard, della Sorbona e di Francoforte. Essi hanno cominciato a usare la parola fondamentalista come sinonimo di oscurantista: si tratta però di un abuso lessicale che va fermamente combattuto. […] Il fondamentalismo ha un grande merito: ripropone la Bibbia come grande codice della società e anche come libro di preghiera. […] Certo, noi li possiamo criticare dal nostro punto di vista di europei un po’ disincantati, e a volte è anche giusto criticarli; ma non credo che ci sia lecito farli oggetto di una sommaria squalifica. Come mai tra di loro il cancro al polmone è praticamente assente, e l’AIDS è quasi sconosciuto? Come mai i loro giovani si astengono dalla droga e dall¿alcool? Potrebbe darsi che proprio i tanto disprezzati fondamentalisti costituiscano l’ultima manifestazione di quello spirito puritano che tanta importanza ha avuto nella storia della democrazia moderna”.
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Sul risveglio pentecostale e carismatico in Brasile e in altre nove nazioni – Stati Uniti, Cile, Guatemala, Kenya, Nigeria, Sudafrica, India, Filippine, Corea del Sud – ha condotto recentemente un’inchiesta approfondita il Pew Forum on Religion & Public Life di Washington.
Per “pentecostali”, nel rapporto conclusivo dell’inchiesta, si intendono gli aderenti a nuove Chiese di questo tipo – come le Assemblee di Dio, con più di un secolo di vita, o la più recente Chiesa Universale del Regno di Dio particolarmente diffusa in Brasile – mentre per “carismatici” si intendono coloro che sono rimasti all’interno delle Chiese storiche, la cattolica e le protestanti. Col termine “rinnovamento” si intendono sia gli uni che gli altri.
Ebbene, nelle aree metropolitane del Brasile i pentecostali sono oggi il 15 per cento della popolazione e i carismatici il 34 per cento. Sommati fanno la metà della popolazione. Ciò che li distingue dagli altri cristiani sono i “segni dello Spirito”: parlare in lingue, profetizzare, far guarigioni. Solo in pochi compiono queste pratiche, ma tutti le ritengono doni dal cielo.
Leggono le Sacre Scritture più di altri cristiani e partecipano più frequentemente ai riti sacri. In Brasile, però, sia l’una che l’altra di queste pratiche sono intense solo tra i pentecostali. Tra i carismatici cattolici la lettura della Bibbia e la partecipazione alla messa sono in linea con gli standard dei comuni fedeli, che vanno in Chiesa ogni domenica nella misura di uno su tre.
Molto più intense tra i pentecostali, rispetto ai carismatici, sono anche le credenze nell’imminenza della fine dei tempi, la spinta missionaria, la certezza che Gesù Cristo è l’unica via di salvezza, la convinzione che la prosperità materiale sia un dono di Dio e che sia un dovere operare a favore della giustizia e dei poveri.
A motivo del loro concentrarsi sulla vita spirituale è opinione diffusa che pentecostali e carismatici si tengano lontani dalla vita politica. Ma non è così. Il Pew Forum ha accertato che è vero l’opposto. Pentecostali e carismatici vogliono che le rispettive comunità religiose prendano pubblicamente posizione sulle questioni sociali e politiche e ritengono importante che i leader politici siano di forte fede cristiana. Come i cristiani in genere, anche i pentecostali e i carismatici sono in maggioranza convinti che vi siano dei chiari criteri, validi sempre e per tutti, per stabilire che cosa è bene e che cosa è male.
Di nuovo, però, i pentecostali si distaccano dai carismatici nell’opporsi con più forza all’omosessualità, alla prostituzione, al sesso fuori dal matrimonio, alla poligamia, al divorzio, al bere alcol, al suicidio, all’eutanasia. Quanto all’aborto, il 91 per cento dei pentecostali e il 76 per cento dei carismatici sostengono che non è giustificato in nessun caso. Sia gli uni che gli altri, però, si dividono all’incirca a metà nell’ammettere o no che lo stato lo legalizzi. Sul conflitto israelo-palestinese la gran parte non dichiara la propria posizione. Ma tra quelli che lo fanno le simpatie vanno molto più a Israele che agli arabi.
Sulla guerra condotta dagli Stati Uniti contro il terrorismo islamico, in Brasile i contrari sopravanzano di poco i favorevoli. Tra gli altri paesi indagati dal Pew Forum, quelli in cui pentecostali e carismatici appoggiano di più la guerra americana sono quelli a più diretto contatto col mondo musulmano: Nigeria, Kenya e Filippine. In Brasile come in tutti gli altri nove paesi oggetto dell’inchiesta la religione è considerata da pentecostali e carismatici come il più importante fattore di identità.
Va notato però che in sette su dieci di questi paesi anche l’insieme della popolazione mette al primo posto la religione come fattore d’identità. Insomma, il fenomeno carismatico non è per niente slegato da una più generale ripresa d’importanza del fattore religioso nella società mondiale.
Nell’Europa secolarizzata l’Italia è un test importante di questa ripresa. Mentre in Francia, ad esempio, negli ultimi vent’anni i “credenti praticanti” sono scesi sotto il 10 per cento e in Spagna sono calati di un terzo, in Italia, negli stessi vent’anni, sono cresciuti fino a circa il 40 per cento. Tale ripresa comprende i giovani, anche qui all’opposto di quanto avviene in altri paesi d’Europa. Viceversa, i “non credenti” si sono ridotti in Italia della metà, dal 12,1 al 6,6 per cento. Mentre in Francia, negli stessi vent’anni, sono aumentati dal 34,6 al 38,5 per cento.
Inoltre, in Italia ha preso forza la convinzione che “vi sono dei chiari criteri per stabilire che cosa è bene e che cosa è male; e tali criteri valgono per tutti, indipendentemente dalle circostanze”. Tale convinzione è condivisa oggi in Italia da un cittadino su tre: meno che negli Stati Uniti o – come s’è visto – in Brasile, ma pur sempre in controtendenza rispetto ad altri paesi d’Europa. Questi dati sono analizzati in un saggio della sociologa non cattolica Loredana Sciolla, “La sfida dei valori”, edito nel 2004 dal Mulino. A giudizio della studiosa, la diversità dell’Italia è legata a una forte presenza in essa della Chiesa cattolica.
Quella Chiesa “di popolo” su cui Benedetto XVI – nel discorso pronunciato a Verona lo scorso 19 ottobre – ha scommesso perché renda “un grande servizio non solo all’Italia, ma anche all’Europa e al mondo”.
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Il rapporto finale dell’inchiesta del Pew Forum on Religion & Public Life: “Spirit and Power. A 10-Country Survey of Pentecostals”, October 2006