di Roberto Marchesini
(psicologo e psicoterapeuta)
Il titolo proposto è molto stimolante, in entrambe le sue parti. Cominciamo dalla prima: sesso o genere? Il problema del genere, il nocciolo dell’ideologia di genere che papa Benedetto ha definito con una espressione eccezionale “una rivoluzione antropologica” (Discorso in occasione della presentazione degli auguri natalizi alla Curia romana, 21/12/2012), sta proprio in quella “O”.
Il termine “genere” è stato introdotto in campo sessuologico (Money, Stoller) proprio per separare la sessualità biologica (il sesso) da quella psicologica, sociale, relazionale, identitaria (il genere).
Credo che non ci sia nulla di male nella parola “genere” di per sé: è solo uno strumento concettuale in più a nostra disposizione per descrivere la realtà. A livello clinico, ad esempio, è utile distinguere i problemi di identità sessuale (“Sono maschio? Sono femmina?”) da quelli dell’identità di genere (Sono un uomo? Sono un uomo come gli altri? Il mondo maschile è il mio mondo?”).
Sesso e genere sono due cose diverse, è vero, ma assolutamente legate ed interdipendenti.Credo che gli strumenti migliori per capire il rapporto tra sesso e genere (“Natura o cultura?”) ci siano stati forniti dal filosofo greco Aristotele. Aristotele parlava dell’uomo come “sinolo” (unione inscindibile) di materia e forma. Bene, per quanto riguarda la sessualità, il sesso attiene alla materia e il genere alla forma, quindi sono assolutamente inscindibili (pena la distruzione dell’uomo).
Potremmo anche, e sarebbe ancora meglio, utilizzare i concetti di “potenza” e “atto”. Il sesso ci è assegnato dalla nascita, è indicato in ogni cellula del nostro corpo (“Maschio e femmina li creò”, Gn 1, 27); il genere (diventare uomini e donne) è invece il compimento di quel progetto assegnato al momento del nostro concepimento. Il genere – l’”atto” – è il compimento del sesso – la “potenza”. Dunque “sesso E genere”, legati da un rapporto specifico.
L’ideologia di genere – e qui sta il vero problema – predica l’assoluta indipendenza tra sesso e genere: sesso e genere non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro e quindi è possibile che tra loro si sviluppi un conflitto (“sesso O genere”). Questo conflitto potrà vedere talvolta sconfitto il sesso (come nel caso del transessualismo) o il genere (come nel caso dell’omosessualità) a seconda della preferenza del soggetto. Riassumo: il nocciolo dell’ideologia di genere non consiste nell’utilizzo della parola “genere”, ma nella assoluta indipendenza (che può diventare addirittura contrapposizione) tra sesso e genere.
Credo che aderire a questa contrapposizione (“sesso O genere”) sia, in qualche modo, una adesione all’ideologia di genere.
Sesso e genere non sono contrapposti, ma intimamente uniti e connessi da un rapporto particolare. Veniamo ora alla seconda parte del tema: “Un dibattito aperto”. Non credo che sia possibile un dibattito tra una antropologia aristotelico-tomista (sulla quale è costruita l’immagine occidentale di uomo) e l’ideologia di genere. Non è possibile perché queste due antropologie non hanno un linguaggio comune con il quale parlarsi; mancano dunque gli elementi essenziali di un dibattito.
Da una parte abbiamo il concetto di ragione, di entelechia, di un universo armonico nel quale regna un ordine, di fronte al quale l’uomo è chiamato ad un atteggiamento contemplativo; abbiamo il principio di non contraddizione, esiste una verità oggettiva (anche se non ci appare in tutta la sua interezza) di fronte alla quale l’uomo è chiamato a riconoscere il proprio limite.
L’ideologia di genere ha tutte le caratteristiche dell’ideologia che io, scherzando ma non troppo, assimilo a quelle del delirio: resiste ad ogni prova dei fatti e tentativo di convincimento. Per aderire all’ideologia di genere è necessario fare tabula rasa di duemila e passa anni di filosofia antropologica, dell’intera biologia umana, della caratteristica specificamente umana di chiedersi “Perché?” e individuare un fine alle cose.
Basterebbe parlare degli effetti psicologici del testosterone per far saltare l’ideologia di genere, ma faccio un esempio più terraterra. L’ideologia di genere, tra le varie bizzarrie, chiede l’eliminazione degli orinatoi a parete. Fare la pipì in piedi, sostengono gli attivisti del genere, sarebbe un gesto sessista che discrimina gli uomini dalle donne e rappresenta una affermazione del potere maschile.
Poiché (come tutto ciò che attiene al sesso e non è biologico) fare la pipì in piedi è un atteggiamento costruito socialmente sulla base di una lotta di potere tra maschi e femmine, esso deve essere combattuto.
Bene, io ho una cagnolina, Gnugna, e fa la pipì accovacciata. Il suo amico Spillo è un maschietto e fa la pipì alzando al zampa. Posso assicurare chiunque che né io, né i proprietari di Spillo abbiamo insegnato ai nostri cani a fare la pipì in questo modo sessista. Come la mettiamo con la costruzione sociale dei comportamenti di genere?
Il fatto è questo: Money ha inventato quest’uso della parola “genere” per giustificare i mostruosi esperimenti che lui ed i suoi collaboratori praticavano presso la John Hopkins University (vedasi il caso dei fratelli Reimer); le femministe radicali, che tanto hanno contribuito alla diffusione a livello istituzionale dell’ideologia di genere, hanno trovato uno strumento teorico che giustifica il loro lesbismo (Simone de Beauvoir, Shulamite Firestone, Grace Atkinson, Anne Koedt, Monique Wittig, Gayle Rubin, Judith Butler…); le istituzioni sovranazionali utilizzano questo “pensiero” per distruggere la civiltà giudeo-greco-cristiana…
L’ideologia di genere è semplicemente strumentale: nessuno dei suoi attivisti è minimamente interessato a scoprire la realtà (cioè ad applicare un’ermeneutica scientifica), ma a stravolgerla per adeguarla ai propri desideri. Che dibattito può esserci con un tale delirio? Con quale fine? Su quale base, visto che essi negano il principio di non contraddizione (il genere è socialmente costruito; l’orientamento sessuale attiene al genere; però l’orientamento omosessuale è “naturale”…)?
Con quali strumenti, visto che il metodo scientifico non è applicabile all’ideologia di genere (i suoi attivisti non sono in grado di portare una sola prova a dimostrazione delle loro affermazioni; quindi di cosa si può discutere?)? Infine: il dibattito, anche se fosse possibile, non sarebbe comunque aperto. Il dibattito è chiuso, finito ancora prima di cominciare. La nostra società ha accettato passivamente e in modo assolutamente accondiscendente l’ideologia di genere senza minimamente osare metterla in discussione.
Da anni Stato, Regioni e Provincie hanno ministeri, dipartimenti, assessorati alle pari opportunità e nessuno ha mai obiettato alcunché, le quote rosa hanno suscitato al massimo qualche sorrisino ironico, ma mai una vera opposizione ragionata e documentata. Il motivo, a mio modesto parere, è che l’ideologia di genere è riuscita a penetrare così facilmente nella nostra cultura perché quest’ultima ha gradualmente rinunciato al suo sistema immunitario costituito, come ho detto, dalla filosofia aristotelico-tomista.
Non abbiamo conservato, tramandato la filosofia che ha costruito la nostra civiltà; di essa godiamo i frutti, ma non ci preoccupiamo di curarne le radici. Fa eccezione, ovviamente, la Chiesa cattolica che con il pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ha instancabilmente messo in guardia dall’avanzare dell’ideologia di genere.