da Storia Libera n.8 anno 2018
Richard Ebeling
A cura e traduzione di Luigi Degan**
Richard Ebeling, nato a New York nel 1950, è riconosciuto come uno dei principali referenti della Scuola Austriaca di Economia. In ambito accademico e scientifico ha svolto sia attività di ricerca e docenza – in particolare è stato professore di economia alla Northwood University di Midland, nel Michigan (2009- 2014) e all’Hillsdale College a Hillsdale nel Michigan (1988- 2003), e Assistente presso l’Università di Dallas nel Texas (1984-1988) – sia attività gestionale e istituzionale come presidente della Foundation for Economic Education (2003-2008) e vice presidente della Future of Freedom Foundation (1990-2003).
È autore di diverse monografie non ancora tradotte in italiano: Monetary Central Planning and the State (Future of Freedom Foundation, 2015); Political Economy, Public Policy, and Monetary Economics. Ludwig von Mises and the Austrian Tradition (Routledge, 2010); Austrian Economics and the Political Economy of Freedom (Edward Elgar, 2003), e co-autore della pubblicazione, in cinque volumi, In Defense of Capitalism (Northwood University Press, 2010-2014); curatore dei Selected Writings of Ludwig von Mises, 3 volumi (Liberty Fund, 2000, 2002, 2012); cocuratore di When We Are Free (Northwood University Press, 2014), un’antologia di saggi dedicata ai principi morali, politici ed economici della società libera.
È stato co-editore e co-autore di alcune pubblicazioni della Future of Freedom Foundation: The Dangers of Socialized Medicine (1994); The Failure of America’s Foreign Wars (1996); The Tyranny of Gun Control (1997); Liberty, Security and the War on Terrorism (2003), The Case for Free Trade and Open Immigration (pubblicato da Hillsdale College nel 1995), e curatore, dal 1990 al 2003, della serie di libri della Hillsdale College’s intitolata Campioni della Libertà.
L’attività di ricerca lo ha portato, nel 1990 e 1991, a frequentare spesso l’ex Unione Sovietica per consulenze e confronti con i membri del governo lituano, russo e moscovita sulla riforma dell’economia di libero mercato e la privatizzazione dell’economia socialista;. durante questa permanenza, nell’agosto del 1991, si è unito ai difensori della libertà e della democrazia sulle barricate che circondavano il parlamento russo durante il tentativo di colpo di stato, il cosiddetto putsch di agosto.
Qualche anno più tardi, nell’ottobre 1996, è tornato a Mosca per ritrovare i documenti di Ludwig von Mises sottratti dai nazisti dall’appartamento di quest’ultimo, a Vienna, nel 1938, e caduti nelle mani dell’esercito sovietico alla fine della seconda guerra mondiale: Ebeling è riuscito a ottenere fotocopie di quasi tutta la raccolta documentale, che conta circa 10.000 voci, rimasta sepolta nell’archivio del KGB per 50 anni.
È autore di centinaia di articoli sui temi del libero mercato, inclusi i pericoli dell’inflazione, i benefici del ritorno all’oro e la libertà monetaria.
I suoi articoli sono comparsi sul «Washington Times», «Investors Business Daily», «The Boston Globe», «Detroit News», «National Review Online», «The Freeman», «Freedom Daily», «The Daily Bell», «Advances in Austrian Economics», «The International Journal of World Peace» e su «Political Studies».
Scrive regolarmente degli editoriali di politica ed economia sul sito web di notizie e commenti «EpicTimes» (http://www.epictimes.com/richardebeling/).
Attualmente sta lavorando a una pubblicazione che sarà inserita nella Collected Works of F.A. Hayek (University of Chicago Press) ed è stato nominato professore di Ethics e Free Enterprise Leadership presso il collegio militare della Carolina del sud, The Citadel.
__________________________
Il sistema feudale ha portato alla disgregazione dell’unità della gran parte dell’Europa occidentale, meridionale ed orientale, conosciuta sotto l’Impero Romano. Dopo la caduta di Roma, l’Europa si divise in entità politiche ed economiche, locali e regionali, con un alto grado di isolamento tra loro ma floride politicamente ed economicamente.
Tuttavia, a partire dai secoli XV e XVI, le nuove forze in gioco cominciarono a invertire la situazione. I re e i principi erano determinati a concentrare il potere nelle proprie mani, come governanti “assoluti” e questo significava ridurre il potere delle autorità nobiliari a livello locale e regionale.
Il mercantilismo si è sviluppato negli Stati-nazione emergenti sotto i re, in particolare in Francia, in Spagna ed in Gran Bretagna, come un insieme di strumenti economici utili a centralizzare il potere e il controllo politico.
Il cambiamento, in queste nazioni, è stato implementato in modi e misure diverse. In Spagna e in Francia le monarchie divennero quasi “assolute” nella misura in cui i metodi e le tecniche del tempo consentivano questa concentrazione di potere nelle mani dei re. In Gran Bretagna, una lunga storia di resistenza della nobiltà, contro la perdita dei loro diritti e privilegi “tradizionali”, impedì che ciò accadesse come invece sperimentato nelle altre nazioni.
Gli elementi chiave del mercantilismo
Il famoso economista e storico svedese, Eli Heckscher (1879-1952), nel suo studio classico Il Mercantilismo (Mercantilism, 1935), ha riepilogato gli elementi del sistema mercantilista di pianificazione economica e di intervento in cinque punti.
1. Il mercantilismo come sistema di unificazione politica. «Il mercantilismo era principalmente un agente di unificazione […]. Il suo primo obiettivo era di rendere gli scopi dello Stato decisivi in una sfera economica uniforme e di asservire tutta l’attività economica alle valutazioni rispondenti ai requisiti dello Stato e al dominio dello Stato considerato come uniforme in natura».
2. Il mercantilismo come sistema di potere. «Quale era l’oggetto del mercantilismo utilizzato dalle forze economiche nell’interesse dello Stato? La principale risposta consisteva […] nel rafforzare l’autorità dello Stato stesso; concentrata sul potere dello Stato […] innanzitutto sul potere esterno dello Stato in relazione con gli altri Stati».
3. Il mercantilismo come sistema di protezione. «L’approccio del mercantilismo relativamente all’approvvigionamento dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni degli esseri umani, ad esempio le materie prime, era fondato sull’idea che la politica economica dovesse essere principalmente diretta a proteggere un paese dal pericolo di avere troppe merci (importate da altri paesi)».
4. Il mercantilismo come sistema monetario. «La relazione fra denaro e merci, nella concezione mercantilista dell’economia, era rappresentata dalla teoria della bilancia commerciale […]. Le considerazioni sulla bilancia commerciale e il significato di denaro occupavano senza dubbio una posizione centrale nel mercantilismo».
5. Il mercantilismo come concezione della società. «Il mercantilismo ha rivelato un concetto abbastanza uniforme dei fenomeni sociali generali nel campo dell’economia e anche questo ha influito in molti modi sulla natura della politica economica (per esempio: una concezione della società in cui tutti gli interessi dovevano essere perseguiti obbedendo al monarca come si evince dalla celebre frase del re di Francia, Luigi XIV – “lo Stato sono io”)».
Il dovere del re di tutelare la produzione, il lavoro e le entrate dello Stato
Nella concezione mercantilista dello Stato-nazione e della società in generale era dato per scontato che il governo del re avesse sia il diritto sia la responsabilità di controllare e dirigere le attività economiche dei suoi sudditi. Le terre e le persone in questi paesi erano riconosciute come proprietà del re che le utilizzava e ne disponeva nel modo che considerava più vantaggioso per i suoi interessi.
Nella misura in cui il monarca dimostrava un interesse per il benessere più immediato dei suoi sudditi, lo faceva solo in quanto mezzo necessario ai fini del suo miglioramento. Antoine de Montchrestien (1575-1621) elaborò questa opinione nel suo libro, Trattato sull’economia politica (Traicté de l’économie politique, 1615), indirizzato al re e alla regina di Francia, nel quale avvertì del pericolo di permettere ai venditori stranieri di competere nel mercato francese.
«Innanzitutto, faccio notare alle loro Maestà che tutti gli attrezzi, la cui produzione è utilizzata sia dentro che fuori del regno e non solo nelle città ma in intere province, possono essere costruite abbondantemente e ad un ottimo prezzo nel paese di vostra Signoria. Oltre a ciò, permettere di ricevere merci straniere qui significa togliere il lavoro a diverse migliaia di Vostri sudditi per i quali queste attività sono eredità e fonte di reddito; significa quindi ridurre la Vostra ricchezza e l’abbondanza che deriva e si incrementa attraverso la ricchezza del popolo». Montchrestien ha proposto, a conclusione di questa argomentazione, ai sovrani: «quindi, dobbiamo gustare i frutti del nostro lavoro, ossia dobbiamo fare affidamento su noi stessi».
L’idea del mercantilista era che gli scambi con altri paesi fossero una fonte di disastro nazionale, compresa la perdita di posti di lavoro e la caduta dei redditi. Minava le tradizioni commerciali, che erano considerate il “patrimonio” del popolo, abbassando il gettito fiscale e riducendo così i ricavi del governo.
Il saldo attivo della bilancia commerciale per ottenere ricchezza (“Tresure”)
Tuttavia, sosteneva il mercantilista, avrebbero potuto esserci dei guadagni derivanti dal commercio se il valore delle merci importate da altri paesi fosse ridotto al minimo e massimizzato il valore delle merci esportate. Quindi i mercantilisti sostenevano che il governo controllasse e dirigesse il commercio con l’estero per assicurare una bilancia commerciale “positiva”.
Thomas Mun (1571-1641) argomentò questa idea nel suo lavoro, pubblicato postumo, Il Tesoro dell’Inghilterra nel commercio estero (England’s Treasure by Foreign Trade, 1628): «anche se un regno può essere arricchito dai doni ricevuti o acquistati da altre nazioni, queste sono cose incerte e, quando accadono, di poco conto. Quindi per aumentare la nostra ricchezza ed il nostro patrimonio nel commercio estero dobbiamo sempre osservare la regola: vendere agli stranieri – annualmente – più merci di quante loro merci consumiamo. Supponiamo che questo regno sia abbondantemente servito di stoffa, piombo, stagno, ferro, pesce e altre materie prime locali, dobbiamo, quindi, ogni anno esportare il surplus per un valore di duecentomila sterline; il che significa che siamo in grado, anche oltremare, di acquistare ed importare merci straniere, per nostro uso e consumo, per un valore di cento ventimila sterline. Per questo motivo deve essere tenuto in debita considerazione il nostro commercio, noi siamo certi che il regno si arricchirà di duecentomila sterline l’anno, perché quella parte del nostro magazzino merci che non viene stornata ed utilizzata deve necessariamente essere reinserita nel patrimonio nazionale». Per i mercantilisti, la forma più grande e più preziosa della ricchezza (“tresure”) era il denaro, sotto forma di oro e argento. Con una grande “cassa di guerra” di oro e argento il monarca sarebbe stato in grado di acquistare, in patria e fuori, tutti i beni e i servizi necessari per vincere conflitti e combattimenti fra le nazioni del mondo, che i mercantilisti consideravano inevitabili e ineludibili nel “grande gioco” della sopravvivenza politica internazionale. Thomas Mun diceva: «un re che vuole mettere da parte molto denaro deve tentare con tutti i mezzi positivi di mantenere e aumentare il suo commercio estero, perché è l’unico modo per raggiungere non solo i suoi fini, ma anche per arricchire i suoi sudditi a suo beneficio futuro […]. Il guadagno dal commercio estero deve essere la regola per incrementare il loro patrimonio, anche se non dovesse esserci più ogni anno, in periodo di pace prolungata, e ben gestito col fine di trarne vantaggi, può diventare una grande somma di denaro in grado di consentire l’organizzazione di una difesa prolungata e può, persino, far finire o cambiare le sorti di una guerra».
Il corollario di questa politica è stato un tentativo consapevole di essere più autosufficienti possibile limitando le importazioni necessarie alle materie prime lavorabili e finibili in patria; questo “stimolerebbe” l’occupazione nazionale, andando incontro ad alcune esigenze economiche nazionali, e aggiungerebbe valore alla riesportazione in modo da creare un continuo flusso d’oro e d’argento da aggiungere al “patrimonio” del re.
Un impero coloniale dipendente e la madre patria
Anche il mercantilismo ha riconosciuto che la “madre patria” dovesse possedere colonie ricche in tutto il mondo, facendo sì che con i territori coloniali possa avere il controllo su risorse utili e sulle materie prime essenziali per il proprio sviluppo economico, garantendo per essa un apporto essenziale nei periodi di guerra con altri Stati-nazione.
Per questo era richiesto alla “madre patria” di amministrare e mantenere i suoi territori coloniali in una posizione di sottomissione. Così, per esempio, il governo britannico ha tentato di limitare lo sviluppo e la produzione nelle sue tredici colonie americane.
In questo modo, la loro dipendenza dalla “madre patria” per i prodotti finiti, in cambio di materie prime coloniali, avrebbe reso più difficile per tali colonie diventare economicamente indipendenti da essa. È inoltre accertato che la “madre patria” avrebbe avuto un guadagno netto – un saldo positivo della bilancia commerciale – anche dalle proprie dipendenze coloniali.
La pianificazione dell’economica nazionale sotto il mercantilismo
Per evitare che i sudditi del re commerciassero liberamente con acquirenti e venditori di altri paesi, il potere statale è stato utilizzato per impedire le transazioni disapprovate dal re, costringendo i produttori a produrre ciò che il monarca riteneva gradito vendendo ai prezzi che dal monarca erano considerati “giusti” ed “equi”.
La monarchia di Francia, forse, è stata la più determinata ad imporre e far rispettare i dettami economici mercantilisti. Il famoso liberale classico francese e sostenitore della libera impresa, Charles Dunoyer (1786-1862), ha spiegato la portata e la forma di molti di questi controlli e regolamenti governativi nel suo libro, Della libertà del lavoro (De la Liberté du travail, 1845): «lo Stato ha esercitato sull’industria manifatturiera la giurisdizione più illimitata ed arbitraria. Ha disposto senza scrupoli delle risorse dei produttori; ha deciso chi sarebbe stato autorizzato a lavorare, cosa gli sarebbe stato permesso di fare, quali materiali avrebbero dovuto essere impiegati, quali processi seguiti, quali forme avrebbero dovuto essere date alla produzione. Non era sufficiente fare bene o fare meglio; era necessario fare secondo le regole […]. Dovevano essere rispettate le norme di legge non i gusti dei consumatori. Legioni di ispettori, commissari, controllori, giurati, custodi, erano incaricati della esecuzione della normativa. I macchinari venivano distrutti ed i prodotti bruciati quando non erano conformi alle regole. C’erano diverse serie di regole per i beni destinati al consumo interno e per quelli destinati all’esportazione. Un artigiano non poteva scegliere il luogo in cui stabilirsi, né lavorare in tutte le stagioni, né lavorare per tutti i clienti. Esiste un decreto del 30 marzo 1700 che limita a diciotto città il numero di luoghi dove le calze potevano essere tessute. Un decreto del 18 giugno 1723 impone ai produttori di Rouen di sospendere il lavoro dal 1° luglio al 15 settembre al fine di facilitare la raccolta [dei prodotti dell’agricoltura, ndt]. Quando Luigi XIV si decise a costruire il colonnato del Louvre, proibì ai privati di impiegare operai senza il suo permesso, con una penale di 10.000 lire e proibì anche agli operai di lavorare per i privati, pena la reclusione, alla prima infrazione, e la galera, alla seconda».
C’era anche la testimonianza del signor Roland, che ha vissuto nella città francese di Rouen ‒ relativamente al trattamento di uomini d’affari e commercianti accusati di violare le norme ed i regolamenti imposti dal governo sotto il mercantilismo ‒ citato nella Storia dell’economia politica in Europa di Jerome-Adolph Blanqui (Histoire de l’économie politique en Europe, 1846): «i produttori sono stati condannati, i loro beni confiscati, copie del loro giudizio di confisca iscritto in ogni luogo pubblico; fortuna, reputazione, credito, tutto perso e distrutto. E per quale reato? Perché avevano fabbricato un tipo di tessuto in lana pettinata chiamato shag, com’è in uso in Inghilterra, e vendendolo in Francia, mentre le norme francesi stabilivano che il tipo di tessuto doveva essere mohair [fibra tessile ricavata dal pelo delle capre tibetane e d’Angora, particolarmente morbida e lucente, ndt]. Ho visto altri produttori trattati nello stesso modo perché avevano fatto dei camlets [collari su camicette delle donne, ndr] di una particolare larghezza, utilizzata in Inghilterra e in Germania, per i quali c’era una grande richiesta dalla Spagna, dal Portogallo, da altri paesi e da altre parti della Francia, e per i quali la normativa francese prescriveva altre larghezze».
Ma una delle migliori descrizioni di quanto fosse diffusa la normativa mercantilista ed i controlli estesi in ogni angolo della società francese è quella che si trova nel libro di Alexis de Tocqueville (1805-1859), La Rivoluzione francese ed il vecchio regime (L’Ancien régime et la Révolution, 1856), e vale la pena citarla per esteso: «il governo aveva accentrato nella sua gestione tutte le città del regno, grandi e piccole. Esso era consultato da tutti i sudditi e dava pareri su tutto e regolava anche le sagre. Era il governo che dava disposizioni per i festeggiamenti in pubblico, per i fuochi d’artificio, per le illuminazioni […]. Non c’erano il Parlamento, né proprietà, né governatori, ma solamente una trentina di capi per le richieste (vale a dire dirigenti burocrati delle agenzie di pianificazione a Parigi), per quanto concerneva il benessere, la miseria, l’abbondanza o tutto quanto ritenevano dipendesse da loro […]. Sotto il vecchio regime, come oggi, nessuna città, quartiere, villaggio, borgo, per quanto piccolo, nessun ospedale, chiesa, convento, università poteva esprimere una volontà libera nei suoi affari privati, o amministrare la sua proprietà come credeva meglio. Allora, come oggi, l’amministrazione era il guardiano di tutto il popolo francese […]. Era necessario un grande apparato perché il governo potesse sapere tutto e gestire tutto a Parigi. Le quantità di documenti archiviati erano enormi e la lentezza con cui le imprese pubbliche trattavano gli affari era tale che – in meno di un anno – sono stato in grado di scoprire ogni caso in cui un paese aveva ottenuto il permesso di aumentare i campanili della chiesa o riparare il suo presbiterio. In generale, passavano due o tre anni prima che tali petizioni venissero soddisfatte, concesse […]. I ministri sono sovraccarichi di informazioni sugli affari. Tutto è fatto da loro o attraverso loro e se le informazioni non erano coincidenti con il loro potere, erano costretti a lasciare che i loro impiegati agissero a piacimento diventando i veri padroni del paese (cioè, l’autorità è stata delegata a una burocrazia permanente) […]. Una marcata caratteristica del governo francese, anche a quel tempo, era l’odio che portava verso chiunque, sia esso nobile o meno, e che ipoteticamente si immischiava negli affari pubblici, senza portarli alla sua conoscenza. Il governo era spaventato dall’organizzazione del più piccolo ente pubblico che avesse osato esistere senza il suo permesso. Il governo era turbato dalla formazione di una società libera. Non si poteva tollerare alcuna forma di associazione che si fosse arbitrariamente formata e su cui aveva presidio. In poche parole, si contrastavano le persone che guardavano oltre i loro interessi e si preferiva l’inerzia generale alla rivalità […]. Essendosi il Governo sostituitosi alla Provvidenza, le persone invocarono un aiuto per i loro bisogni privati. Sono state ricevute cumuli di petizioni da persone che volevano vedere soddisfatti i loro scopi privati e meschini, sempre per il bene pubblico […]. Nessuno si aspettava di riuscire in una impresa qualsiasi senza aiuto dello Stato. Gli agricoltori, i quali, come categoria, sono generalmente testardi e irrequieti, sono stati indotti a credere che l’arretratezza dell’agricoltura fosse dovuta alla mancanza di consigli e aiuti da parte del governo […]. A malincuore leggiamo questo: gli agricoltori chiedono di essere rimborsati del valore del bestiame o dei cavalli perduti; uomini in difficoltà implorano per un prestito che consenta loro di lavorare la terra con profitto; produttori implorano che i monopoli schiaccino la concorrenza; uomini d’affari confidano i loro problemi finanziari all’Intendente (il burocrate locale), chiedendo assistenza o un prestito. Sembrerebbe che i fondi pubblici fossero suscettibili a essere utilizzati in questo modo […]. La Francia è altro rispetto a Parigi e poche lontane province che Parigi non ha ancora avuto il tempo di inglobare».
Il contrabbandiere: eroico riformatore del libero scambio
Quanto più le politiche mercantilistiche del governo hanno tentato di limitare e deviare la produzione, il commercio e gli affari, in direzioni diverse da come gli individui avrebbero voluto orientare le proprie attività, tanto più hanno creato incentivi per il “contrabbando” – il mercato nero – per aggirare i controlli.
Gli economisti liberali del XIX secolo compresero, e spesso misero in evidenza, che le normative restrittive, distorsive e fuori luogo, avevano soffocato un più libero commercio, più aperto all’interno e tra le nazioni e che, come reazione correttiva, si è creato il “mercato nero” per aggirare da ogni parte le imposizioni dello Stato. Ha spiegato Jerome-Adolph Blanqui: «è nella natura delle cattive istituzioni quello di non essere mai rispettate, dando vita a proteste che finiscono col determinarne la riforma. Il contrabbando era l’unico sistema (contro il mercantilismo) e la costante e più espressiva di queste proteste […]. È alquanto preciso nelle sue consegne come il mercante più scrupoloso; sfida le stagioni e i guardiani delle dogane, a tal punto che le compagnie di assicurazione, che lo proteggono, possono contare su un minor numero di perdite rispetto a qualsiasi altro. Il contrabbando è, infatti, l’unico mezzo che resta alle varie attività per procurarsi i prodotti vietati il cui uso è indispensabile per esse […]. È grazie al contrabbando che il commercio non perì sotto il regime mercantilista […]. Mentre gli eruditi discutono e il commercio langue, il contrabbando si realizza in frontiera, si presenta con la forza irresistibile dei fatti reali e la libertà di commercio non ha mai ottenuto una vittoria per la quale il contrabbando non avesse tracciato la strada».
In effetti, il mercato nero è stato considerato da Nassau Senior (1790-1864), un esponente dell’economia inglese del XIX secolo, come un elemento importante per spostare il sistema economico nella direzione della riforma del libero mercato.
Nelle sue Tre lezioni sul cambio dei metalli preziosi da paese a paese e la teoria Mercantile della ricchezza (Three Lectures on the Transmission of the Precious Metals from Country to Country, and the Mercantile Theory of Wealth, 1828), Senior ha sostenuto: «il contrabbandiere è un riformatore radicale ed accorto. Il contrabbandiere è essenziale per il benessere di tutta la nazione. Tutto il commercio estero dipende da lui. Tuttavia sono lontano dal pensare che l’effetto diretto dei suoi sforzi (del contrabbandiere) per darci un libero scambio di quei beni che, per la loro quantità ed il loro valore, rientrino nella sua competenza, sia una forma di corrispettivo per il crimine, la miseria e la spesa pubblica (del sistema mercantilista)».
Nella seconda metà del XVIII secolo fu messa in discussione la concezione mercantilista della società e dell’economia. Francia e Scozia guidavano questo cambio di visione. Queste idee hanno indebolito le logiche per la regolazione e il controllo delle attività economiche nella società. Al suo posto nacque un concetto e una visione di una società libera basata sulla libertà individuale e il libero scambio, basata sul mercato e l’accesso al benessere. In Francia, questi nuovi pensatori erano conosciuti come i fisiocratici, mentre in Gran Bretagna come i filosofi morali scozzesi.
____________________
(*) Riproponiamo la traduzione in italiano, apparsa il 12 dicembre 2016 su «Mises Italia» (www.vonMises.it), dell’articolo di Richard M. Ebeling originariamente pubblicato sul sito web di The Future of Freedom Foundation (http://www.fff.org/explore-freedom/article/economicideas-mercantilism-monarchys-planned-economy/).
(**) Giuslavorista appassionato di relazioni sindacali, è stato ricercatore, docente e manager presso Adapt-Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi” (Università di Modena e Reggio Emilia), e coordinatore del gruppo di lavoro sulla Legge “Biagi” a supporto del prof. Michele Tiraboschi. Attualmente è arbitro e mediatore e collabora con diversi studi legali occupandosi di relazioni sindacali, pubblicistica e formazione. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, note e articoli, ha collaborato, con «Il Sole 24 Ore», «Avvenire», «Ipsoa», «Tempi», «IlSussidiario».