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Esce per la prima volta in un libro una conversazione di Dossetti del 1984. In essa, egli rivendica a sé d’aver capovolto le sorti del Vaticano II. E contro l’Opus Dei e papa Wojtyla dice cose di fuoco
di Sandro Magister
Di lui è uscito in questi giorni un inedito di forte interesse. È una lunga conversazione che egli ebbe nel 1984, quand’era monaco a Bologna, con altri tre esponenti di spicco della cultura cattolica: l’allora rettore dell’Università Cattolica di Milano, Giuseppe Lazzati, di cui è in corso il processo di beatificazione, lo storico Pietro Scoppola e il costituzionalista Leopoldo Elia. Dossetti è morto nel 1996, Lazzati nel 1986, e Scoppola ed Elia hanno reso pubblico in un libro il testo della conversazione, che era stata registrata su nastro.
In essa, tra le varie cose, Dossetti mostra d’aver piena consapevolezza dell’influsso da lui esercitato sul Concilio, come esperto del cardinale Giacomo Lercaro che era uno dei quattro “moderatori” dell’assise. Prima di farsi teologo e monaco, Dossetti aveva studiato diritto ecclesiastico, aveva militato nella guerra partigiana contro fascisti e tedeschi, e poi era stato un politico di prima grandezza nel partito dominante in Italia, la Democrazia Cristiana, dove aveva affinato la sua padronanza dei meccanismi assembleari.
E nel Concilio egli mise a frutto questi suoi talenti con straordinaria efficacia. Nella conversazione ora divenuta libro ha un passaggio, a p. 106, dove rivendica esplicitamente a sé d’aver “capovolto le sorti” dell’assise grazie alla propria aggressività “partigiana”, determinando la vittoria dei novatori e la sconfitta dei tradizionalisti: “Abbiamo in qualche modo contribuito con la nostra azione precedente anche all’esito del Concilio. Si è potuto fare qualcosa al Concilio in funzione di un’esperienza storica [da me] vissuta nel mondo politico, anche da un punto di vista tecnico assembleare che qualcosa ha contato. Perché nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare, sorretta da [l giurista Costantino] Mortati, ha capovolto le sorti del Concilio stesso. [Il cardinale Leo] Suenens mi disse un giorno: ‘Ma lei è un partigiano del Concilio!’. Io agivo come partigiano. Ma a parte certi problemi tecnici, assembleari, eccetera, si portò al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell’esperienza politica fatta e della necessità di non impegnare la Chiesa nelle cose mondane, la Chiesa in quanto tale”.
In altre pagine del libro la conversazione tocca un questione ancor oggi scottante: il peso dato da papa Giovanni Paolo II a movimenti come l’Opus Dei e Comunione e Liberazione. La critica rivolta a questi movimenti e allo stesso papa è aspra e tuttora attuale, a quasi vent’anni di distanza.
Ecco qui di seguito il passaggio che riguarda più direttamente l’organizzazione fondata da san José Maria Escrivá de Balaguer:
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”Dove si distingue questa cosa dalla massoneria?”
(Da “A colloquio con Dossetti e Lazzati.
Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola”, pp. 99.109-112)
G. LAZZATI. Si apre nel ‘78 il problema dei rapporti fra Cei [conferenza episcopale italiana] e papa. Non sono certo i migliori: per quanto io riesco a capire il papa non si rende conto della situazione italiana, chiuso com’è nel modello della sua esperienza polacca, lontanissimo da quella che è la storia del nostro paese, e ritiene che quel modello possa essere riportato da noi. Non per niente appoggia quei movimenti, Comunione e Liberazione e Opus Dei, che in fondo cercano di interpretare quel disegno. E da qui i cortocircuiti fra fede e vita politica, le famose autonomie delle realtà temporali negate, per cui nella fede tutto è assorbito. […]
G. DOSSETTI. Per l’Opus Dei la cosa, secondo me, è ancora più formalizzata [che per Cl]. È tanto che mi propongo di ricercare sul “Commentarium pro religiosis” […] l’estratto di un documento della congregazione dei religiosi che autorizzava l’Opus Dei ad agire nelle diocesi senza presentare i propri statuti ai vescovi, ma presentandone solo un estratto. Da questo si può dedurre tutto. […] Siamo nell’ambito della mancanza totale di democrazia. […] Il nuovo codice riconosce la prelatura nullius. […] Anche il Concilio ha approvato la prelatura nullius, cioè questa erezione in diocesi senza territorio per avere un proprio clero a fini particolari, primo caso la Mission de France. [Ma il Concilio] non prevedeva che dovesse avere un popolo. [Invece] le prelature nullius come sono state approvate dal codice e come sono nel caso dell’Opus Dei prevedono un loro popolo, non solo dei sacerdoti deputati a fini particolari. Ma come si determina questo popolo? Non è determinato per territorio, non è determinato per rito, non è determinato per altre condizioni generali, ma per un contratto, con criteri associativi. È chiaro che i vescovi hanno reagito molto. E poi ci sono dei procedimenti nel segreto. Dove si distingue questa cosa dalla massoneria? Hanno dei poteri speciali per l’ordinazione dei sacerdoti.
P. SCOPPOLA. Hanno adesso una facoltà di teologia a Roma. […]
G. DOSSETTI. Ma sai cosa vuol dire questo? Produrre un clero proprio.
L. ELIA. Ed infatti è quello che già stanno facendo.
G. DOSSETTI. Io torno a dire che questo non è solo il risultato di certe manovre, ma anche una scelta personale, un’opzione del Vaticano. E dato che c’è questa opzione, il resistere, l’opporsi diviene molto relativo. Però bisogna farlo ugualmente.
L. ELIA. Hai fatto un paragone con i gesuiti. La risposta [del Vaticano] potrebbe essere: “Io prendo il mio bene un po’ dove lo trovo”, cioè questi sono i più adatti a questa stagione della Chiesa; il criterio territoriale è troppo differenziato, abbiamo bisogno di truppe scelte.
G. DOSSETTI. Qui ritorna il problema della gerarchia delle norme, perché la territorialità della Chiesa, nelle Chiese locali, ha una radice.
L. ELIA. Non è un criterio meramente organizzativo.
G. DOSSETTI. Il Concilio lo ha detto.
P. SCOPPOLA. Quindi il primato dei movimenti incontra un limite insuperabile: i movimenti sono possibili ma all’interno di questo criterio. Ma l’Opus Dei non rifiuta più il momento della territorialità e punta anche anche alla conquista delle istituzioni territoriali, ad avere i propri vescovi, le proprie parrocchie. In una prima fase si muovevano solo nella logica del movimento, adesso […] si muovono su due binari contemporaneamente.
G. DOSSETTI. Questo conferma che l’opzione è precisa, è vaticana: secondo me è nel quadro di questa opzione la sostituzione del [cardinale Sebastiano] Baggio col [cardinale Bernardin] Gantin, quest’uomo d’Africa, del Dahomey; lui è negro, è stato arcivescovo di Cotonou. Questa sostituzione è di una evidenza chiara, secondo me: vuol dire mettere [a capo della congregazione per i vescovi] un uomo ancora più estraneo e più direttamente irresponsabile. Perché Baggio o chi per lui, di estrazione europea o italiana, era ancora un filtro per una conoscenza più profonda delle cose. Adesso mi hanno detto, ma non so se sia vero, che Gantin stesso è affiliato o amicissimo dell’Opus Dei. Quindi il fenomeno di Comunione e Liberazione io lo inquadro in un problema più grande che riguarda tutta la Chiesa e che investe proprio le fondamenta della visione ecclesiale.
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Il libro: “A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984)”, il Mulino, Bologna, 2003, pagine 164, euro 11,50.