Considerazioni sull’islam / 6 – rubrica Vivaio

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Giovedì 29 novembre 1990

 Vittorio Messori

Forse, una delle chiavi per capire anche il mistero dell’Islam è celata in alcuni versetti del capitolo 24 di Matteo. Innanzitutto, in quell’avvertimento “escatologico” di Gesti ai discepoli: «Guardate che nessuno vi inganni. Molti verranno nel mio nome dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi: è necessario che tutto questo avvenga…». (21, 4 ss). Ora: Maometto si è davvero presentato ai suoi connazionali arabi come “Cristo”, come “Messia “, nel senso almeno di rivelatore atteso e annunciato dalle Scritture giudeo-cristiane, fino al punto di falsificare (come vedremo in altra puntata) il Vangelo stesso, per dimostrarci che la sua comparsa era predetta. E si è presentato “nel nome di Cristo”, nel senso che quella presunta predizione fu dal Corano attribuita a Gesù stesso. Così, «molti furono tratti in inganno».

Ed è singolare il fatto che Matteo parli subito di “guerre e rumori di guerre”. Come è stato più volte osservato – e non certo per diffamazione, ma basandosi sui testi musulmani e sugli effetti storici di quei testi islamismo e guerra sono inscindibilmente uniti. Si tratta certamente del messaggio religioso (prima del comunismo e del nazismo, “religioni guerriere” anch’esse) che più ha sollecitato l’aggressività umana.

Persino la poligamia quattro mogli più un numera illimitato di schiave concubine per ogni musulmano è prevista innanzitutto per permettere al credente di far molti figli prima di cadere ancor giovane nelle battaglie per la fede. E lo stesso paradiso è presentato come luogo di delizie per il “riposo del guerriero”. Quei cristiani di oggi che si compiacciono al pensiero non solo di un dialogo ma di una collaborazione fruttuosa e pacifica con l’islamismo, dimenticano tra l’altro che questo divide il mondo in due parti “territorio dei musulmani” e “territorio di guerre”. Quest’ultimo è ogni luogo dove il messaggio di Maometto non sia ancora accettato e dove è sacra dovere il portarlo con l’invasione armata. Guerra e Corano sono, dagli inizi sino ad oggi, un binomio ferreo.

Pochi versetti dopo, Gesù ripete, come a ribadire un concetto che certo doveva suonare scandaloso alle orecchie dei discepoli: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti» (24, 11). Ammonimento che ritorna spesso anche in altri luoghi dei vangeli, oltre che nelle lettere di Pietro, di Giovanni. nell’Apocalisse. Ma, misteriosamente, «è necessario che tutto questo avvenga».

Come gli altri scandali, anche i falsi profeti, i Cristi menzogneri, i messaggeri ingannatori sono indispensabili nell’enigmatica economia evangelica. Forse, per mettere alla prova la fede, per permetterle di definirsi, di depurarsi, di for­tificarsi nello scontro con le deviazioni, le “imitazioni”.

Ma, proseguendo nel discorso che, in questo ventiquattresimo capitolo. Matteo riferisce, ci imbattiamo in un’altra parola di Gesù: «Frattanto, questo vangelo del regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti…» (14). Parola che va però affiancata a quell’altra, di Luca: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).

Ciò che è predetto, dunque, è che il vangelo «sarà annunciato in tutto il mondo», che «ne sarà resa testimonianza a tutte le genti». Ma non è affatto assicurato che a questa seminagione seguirà una mietitura adeguata né che da quell’annuncio verrà una fedeltà indefinita tra coloro che l’accetteranno. Anzi, l’apostasia sarà una realtà tale (Paolo: «Prima, infatti, dovrà venire l’apostasia…», 2 Tess 2, 3) che non è neppure certo che la fede sopravviva sino al ritorno del Cristo. Ci saranno, dunque, anche popoli già cristiani che l’abbandoneranno per l’agnosticismo o per le sètte e questo sembra avvenire nell’Occidente d’oggi) o che passeranno a un’altra fede.

Non è questo il caso delle ampie zone in Asia e in Africa che (vedemmo come e quando) hanno finito per abbandonare il Vangelo per il Corano? In questa prospettiva, lo scandalo e non solo quello provocato dalle conquiste musulmane, ma da ogni arretramento se non disfatta del cristianesimo – si attenua, anzi, può sciogliersi nell’accettazione di una misteriosa necessità. Qui, come altrove, il cristiano è chiamato alla croce dello scacco, del fallimento, del lavoro apparentemente inutile: non al trionfo del successo, conquistato una volta per tutte. E’ un “servo inutile” che deve annunciare la fede, darle testimonianza, consapevole che quei semi potranno essere infecondi o potranno svilupparsi in fiori e piante destinate poi a essere sradicate.

L’apostolato è un dovere assoluto indipendenteménte dai risultati che, a viste umane, potrebbero anche indurre al massimo dello scoraggiamento: ma «occorre che questo avvenga». Non è avvenuto, forse, anche con Io stesso “apostolo delle genti”, con Paolo di Tarso? Rileggiamo ciò che, nelle sue parole stesse, la predicazione del Vangelo gli è costata: «Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli; pericoli di fiumi, di briganti, pericoli dai miei connazionali, dai pagani, nelle città, nel deserto, sul mare, da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E, oltre a questo. Il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese…» (2 Cor 11, 24-28).

E tutto questo per fondare comunità che furono poi travolte e soffocate da una fede che, in nome di Maometto, proclamava Gesù un sorpassato. Quelle lettere ai Galati, agli Efesini, ai Colossesi; quei suoi rendimenti di grazie e lodi per la loro generosa ed entusiasta accettazione del vangelo del Cristo… Da secoli, da quelle parti, più volte ogni giorno il muezzin ricorda ai muslim, i “sottomessi”, che non c’è altro Dio che Allah e che Maometto è il suo profeta. Il contadino turco che si prosterna a quel richiamo, forse neanche sospetta che da quelle stesse parti qualcuno aveva un giorno accettato una fede —che gli fa orrore e che giudica blasfema — di Dio che si fa uomo e muore in modo infamante.

Una disfatta? Certo, sarebbe tale per il “mondo”; e lo sarebbe anche per , l’islamismo, religione che non ha posto per la croce e che vuole il successo in terra per provare la forza e la potenza di Dio. La cristianità ha finito coll’accettare che persino i luoghi della  passione e risurrezione di Gesù restassero in mano ad altri (Deus non vult. Dio non vuole, fu la conclusione di mistici e teologi davanti al fallimento delle crociate).

La umma, la comunità islamica, non si è rassegnata – né può farlo – all’essere stata costretta ad arretrare talvolta le sue frontiere. Il motto di battaglia dei “fratelli musulmani” è duplice: “Palestina ed Andalusia”. Cacciare gli ebrei da Gerusalemme; ma anche i cristiani da Cordoba. Granada. Malaga. Cadice, da quei luoghi dove per sette secoli la moschea aveva sostituito la croce. Il Dio di Maometto si manifesta nel guerriero vittorioso; ii Dio di Gesù nel servo sconfitto e inutile. Il Corano esige la vittoria; al Vangelo basta la testimonianza. Non va dimenticato, prima di scandalizzarsi dei successi Islamici (393)

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