Domenica 2 dicembre 1990
Vittorio Messori
«Il segreto per annoiare è dire tutto», ammoniva Voltaire. Il quale aveva torto in molte cose, ma ragione in questo. Rinuncerò, dunque, a utilizzare “tutto” ciò che sta nelle mie cartelle di appunti sull’Islam, limitandomi a qualche considerazione finale. Che, poi, finale non sarà: sul tema verrà certo modo di ritornare in qualcuna delle prossime puntate.
Oggi che i “saraceni” non dobbiamo più andarli a cercare al di là del mare, come ai tempi delle Crociate, ma che li abbiamo — e sempre più avremo — in casa — dovremmo essere consapevoli (ad evitare illusioni e relative delusioni) di una realtà amara ma confermata da 1300 anni di storia: con l’islamismo è impossibile “dialogare”. In questi decenni, molti cattolici hanno parlato di “dialogo” sempre e comunque, quasi fosse un magico passe-partout in grado di aprire qualsiasi porta. Checché ne sia delle altre porte, quella musulmana è impenetrabile a questo tipo di chiave. Come, appunto, dimostra tutta la storia che abbiamo alle spalle.
La Umma, la comunità musulmana, è un blocco chiuso innanzitutto perché nega ogni distinzione tra temporale e spirituale: il Corano e gli hadid i detti riferiti a Maometto, sono la base unica non solo religiosa ma anche sociale e politica. Sono la fonte persino del diritto di successione, del “galateo”, del diritto elettorale, delle prescrizioni alimentari, delle norme di guerra. I pochissimi convertiti dall’Islam al cristianesimo o erano degli isolati, degli emarginati sociali o lo sono divenuti in seguito, ripudiati con violenza dal loro popolo. Cacciati non solo dalla moschea ma dalla vita stessa, essendo questa tutta regolamentata dalle prescrizioni coraniche. In alcuni luoghi (ad esempio, quell’Arabia Saudita che ora ci chiedono di difendere con la guerra) per chi abbandona l’islamismo è prevista la pena di morte. Ma la morte civile è, ovunque, la condanna di chi lascia quello che non è soltanto né innanzitutto un complesso di credenze, dogmi, riti ma un modo di vivere, una visione totalizzante del mondo.
Questo aspetto è abbastanza noto. Ma, forse, meno nota è un’altra delle ragioni dell’impossibilità di “dialogo” con un musulmano. Dialogare significa confrontarsi, esaminare assieme all’interlocutore le ragioni reciproche. Nel caso cristiano-islamico occorrerebbe mettere a confronto Vangelo e Corano. Ma è proprio questo che il musulmano nega e negherà sempre, se non a rischio di smentirsi, anzi di distruggersi. Il maomettano afferma di venerare le Scritture degli ebrei e quelle dei cristiani, ma rifiuta di leggerle: gli basta il Corano. E non soltanto perchè è il culmine della Rivelazione, il testo che tutti gli altri contiene. Ma perché Maometto lo ha messo in guardia: là dove Torah e Vangelo non coincidono con la Scrittura islamica, è perché ebrei e cristiani anno falsificato i loro libri.
Li hanno falsificati, soprattutto, dove annunciavano l’arrivo di lui, il cammelliere della Mecca, l’inviato che Dio aveva scelto come “sigillo dei profeti”. Già accennavamo alla delusione di Maometto che sperava di essere accolto a braccia aperte dalle comunità ebraiche e da quelle cristiane, le quali avrebbero dovuto riconoscerlo come colui che completava la legge di Mosé e di Gesù. Quando invece del trionfo si trovò di fronte al rifiuto perché né ebrei né cristiani trovavano traccia di lui nella Bibbia, si lanciò in una polemica virulenta (che continua ancora adesso) componendo molte Sure di maledizione contro costoro che “adulteravano i libri di Dio”.
Già nella seconda Sura sta un appello di Allah agli ebrei: «Oh figli di Israele (…) credete a ciò che ho fatto scendere a conferma di quanto è nelle Scritture presso di voi (…). Pure voi leggete il Libro: non comprendete, dunque?». E poiché non era ascoltato, eccolo passare all’ira: «Guai a quelli che trascrivono il Libro alterandolo!».
Spesso ci si è chiesti se Maometto sia stato “sincero”. Per dirla brutalmente: se lo è inventato lui, questo Corano che afferma essergli stato dettato, parola per parola, dall’Arcangelo che ripeteva il testo originale posto da sempre accanto ad Allah? C’è ormai accordo sul fatto che, almeno agli inizi — quando non poteva prevedere dove lo avrebbe portato la sua avventura e dovette sopportare dure prove — fu protagonista di fenomeni mistici dei quali nulla sappiamo ma che, soggettivamente, dovette vivere con sincerità. Le cose, forse, cambiarono in seguito, quando scomodò la Rivelazione divina per risolvere suoi problemi personali, magari non nobilissimi (come l’eccezione soltanto per lui, datagli direttamente da Allah, di avere dodici mogli — ma pare se ne prendesse almeno quindici — oltre a un numero illimitato di concubine).
Soprattutto, fu costretto a scomodare la voce di Dio stesso per costruire al suo messaggio una sorta di albero genealogico che gli desse legittimità, inserendolo nel monoteismo giudeo-cristiano. Eccolo dunque assicurare che la Kaaba, o santuario pagano della Mecca, era stato costruito da Abramo stesso, aiutato da Agar, la moglie schiava, e dal figlio Ismaele. Eccolo costruire quella che Francesco Gabrieli chiama «una fantastica, incredibile protostoria araba» della quale tutto il Corano risuona, per inserire l’isolato profeta nella storia precedente.
Se agli ebrei assicurò (seppure con scarso successo) di essere nella linea stessa di Abramo e poi di Mosé, ai cristiani cercò di far credere che Gesù stesso ne avrebbe predetto l’arrivo. Leggiamo la Sura 61, versetto 6: «Ricorda quanto Gesù, figlio di Maria, disse: «O figli di Israele, io sono l’apostolo di Dio inviato a voi per confermare il Pentateuco che vi è stato dato prima di me e per annunziare un apostolo che verrà dopo di me e il cui nome sarà Ahmad…».
Il Profeta, in effetti, aveva due nomi: Muhammad e Ahmad. Entrambi derivano dal verbo “lodare”. Ahmad è un superlativo e significa “lodatissimo”. Ma dove mai Gesù annuncia l’arrivo di Ahmad? Nel Vangelo di Giovanni, risponde l’Islam, prima che i cristiani lo manipolassero per non riconoscere l’apostolo arabo. Leggiamo in effetti in Giovanni 14,16s, nel discorso di addio di Gesù ai suoi: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perchè non lo vede e non lo conosce». Quel Consolatore (che, come spiegano ancor meglio altri passi evangelici, è lo Spirito Santo) si dice in greco Paràkleton, da cui il nostro “Paraclito”.
Ma, nello stesso greco, c’è una parola dal suono simile, periclytòs, che vuol dire “nobilissimo” o anche “lodatissimo”: in arabo, Ahmad, il nome di Maometto. Ecco qui, dunque, la falsificazione operata da quei cattivi dei cristiani! Gesù annunciava, chiamandolo per nome, il profeta arabo e i suoi falsi discepoli hanno adulterato i testi perché non fosse conosciuto, mettendo un “consolatore” al posto di un “lodatissimo”!
La verità oggettiva è che non sono i cristiani ma semmai Maometto a “truccare” il Vangelo. Ciò con cui il Profeta venne in contatto era il cristianesimo eretico, apocrifo che circolava allora nella penisola araba. Analfabeta, ingannato da quanto sentiva dire da quei “cristiani” presunti con cui veniva in contatto, Maometto ci ha lasciato nel Corano non un’immagine autentica della fede in Gesù ma una sua caricatura. E’ convinto, ad esempio, che la Trinità sia composta di Padre, Figlio e Maria. Crede che l’Eucaristia sia stata istituita facendo scendere dal cielo una tavola imbandita. Confonde Maria, madre di Gesù, con Miriam, sorella di Mosé. Afferma che al posto di Gesù fu crocifisso un sosia. Il Corano è insostenibile in ciò che dice del cristianesimo. Ma, d’altro lato, per il fedele quel libro è infallibile, perfetto, dettato parola per parola dal Cielo stesso. Dunque chi sbaglia non è questo dono di Dio: sbagliano le Scritture giudeo-cristiane, ma perchè sono state manipolate. Inutile, dunque, leggerle. Inutile, dunque, il dialogo con dei falsari. (394)
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