del 16 novembre 2014
In margine alla Prolusione del cardinale Bagnasco
di Giacomo Samek Lodovici
Nella Prolusione che ha aperto, lunedì sorso ad Assisi, i lavori dell’Assemblea straordinaria della Cei, il cardinal Bagnasco ha affrontato anche un tema culturale ed esistenziale cruciale: «Il nichilismo […] si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti: “Manca lo scopo – scriveva Nietzsche –, manca la risposta, tutti i valori si svalutano” […]. A che cosa appigliarsi? Se manca lo scopo ideale, non si può rispondere alla domanda radicale, che, prima o dopo, emerge nel cuore di tutti: “Perché sono al mondo? Che senso ha la mia vita? Che cosa sto facendo?».
In effetti, per la prima volta nella storia dell’Occidente, è nichilista la cultura dominante e non solo alcune sue frange. Fino a trenta o quaranta anni fa la cultura prevalente ed il costume svolgevano una funzione orientativa, indicando la/e strada/e per rispondere alle domande esistenziali dell’uomo di ogni tempo: «chi sono?», «qual è la mia origine?», «qual il fine della mia vita?», ecc. Ovviamente qualcuno respingeva tali indicazioni, ma sentendosi chiamato a proporre delle alternative, era perciò costretto a riflettere, a dare ragioni della sua prospettiva.
Oggi, invece, l’atmosfera culturale in cui viviamo ci comunica che la realtà è priva di senso. Perciò – per dirla con Caraco, un autore nichilista non a caso morto suicida − gli esseri umani finiscono per diventare «miliardi di sonnambuli che vanno verso il caos» e la realtà è ritenuta dotata non già di un valore intrinseco, bensì solo di quello mutevole deciso dal soggetto in rapporto ai suoi scopi pragmatici, in rapporto alla realizzazione della sua volontà di potenza.
Se, però, il nichilismo di cui parlava Nietzsche era un nichilismo tragico, oggi invece si diffonde sempre più un nichilismo pacificato, privo di inquietudine, ironico (cioè che non prende sul serio la vita), che considera fittizio tutto il reale, che ritiene virtuale la realtà (e che perciò si sente confermato dalla proliferazione di mondi virtuali informatici). È un nichilismo che vive senza pathos in un mondo dove Dio è considerato morto o comunque non interessante, che non sperimenta l’angoscia che dovrebbe produrre la consapevolezza dell’insensatezza della vita e dell’universo.
Come fuoriuscire dal nichilismo? Ci sono diversi percorsi, su cui non è possibile qui soffermarsi, ma uno è quello a cui ha alluso proprio Bagnasco (che ha citato il Messaggio finale del Sinodo): «La nostra ammirazione [corsivo mio] e la nostra gratitudine vanno alla moltitudine di famiglie che – nella fedeltà dei giorni e degli anni – con la grazia del sacramento e la fatica quotidiana custodiscono e fanno crescere la loro “comunità di vita e d’amore».
Infatti, una preziosa via di uscita dal nichilismo è additare e focalizzare delle incarnazioni del bene in modo tale che suscitino ammirazione e attrazione: Gesù, S. Francesco, Madre Teresa, i vari santi, sono testimonial della bellezza e dell’eccellenza del bene.
Ma lo stesso discorso vale anche per la bellezza della vita familiare e della vita dei suoi protagonisti, purché vengano conosciuti e additati quei non rari esempi che ancor oggi sussistono (ma che i media non riferiscono, focalizzando quasi solo i fallimenti). Dopo che tale fascinazione è insorta, deve intervenire la fondazione razionale, la spiegazione metafisica e morale che argomenta circa il senso della vita e la moralità del vero bene.
La ricerca del bene (e dunque l’abbandono del nichilismo) può diventare attraente soprattutto dopo la scoperta di persone moralmente affascinanti, di testimonial appunto della bellezza del bene, la cui vita irraggi attrazione. Dobbiamo far tesoro del desiderio di bene che anima ogni persona e che fa dire a un personaggio nichilista di Dostoevskij, «io sono nichilista, ma amo la bellezza».