di Umberto Camillo Iacoviello
Tra le idee dominanti della nostra epoca la più caratterizzante è quella della cieca fiducia nel progresso della storia, ovvero la convinzione che il presente (e il futuro) rappresenti il punto più alto dell’evoluzione storica umana.
La concezione progressista della storia emerge nel XVIII secolo. In “Considerazioni sulla storia universale” lo storico Jacob Burckhardt scrive: “Soltanto da Rousseau in poi, del resto, ci si è ritenuti moralmente superiori al passato en bloc, e nel far ciò si partiva dal presupposto che l’uomo in genere fosse sostanzialmente buono, come se la sua bontà non avesse potuto fino a quel momento esprimersi e dovesse ora manifestarsi gloriosamente, col giungere infine al potere! Ci si arrogò in tal modo (nella Rivoluzione francese) il diritto di intentare il processo a tutto il passato. Ma soltanto i nostri ultimi decenni credono con assoluta arroganza a questa superiorità morale dell’epoca presente, non facendo neppure più eccezione per l’antichità”.
Le parole dello storico elvetico rievocano lo spirito della Rivoluzione francese, lo stesso spirito di chi oggi con altrettanta arroganza pretende di portare in tribunale la storia e condannarla perché la ritiene moralmente inaccettabile. Lungi da noi paragonare la Rivoluzione francese alla teppaglia degli odierni terroristi antirazzisti/antifascisti, mossi esclusivamente da ignoranza e violenza.
La Rivoluzione francese aveva ben altre radici e figure di spessore, mentre oggi il movimento Black Lives Matter ci regala attivisti come Lorraine Jones che ha affermato in diretta tv di non aver mai “incontrato personalmente” Winston Churchill. In Italia gli echi del BLM sono stati raccolti da qualche sparuto gruppo di antifascisti che hanno pensato bene di imbrattare le statue di Vittorio Emanuele II e Indro Montanelli credendo di compiere un gesto rivoluzionario, ricevendo il plauso di Michela Murgia e Christian Raimo.
Le nostre Sardine di strada non hanno esitato ad appoggiare il BLM, proprio loro che dicevano di essere contro la violenza, che conoscono così bene la storia da dire che Aldo Moro sia stato ucciso dalla mafia. Il progressismo odierno travalica i confini di una tendenza culturale e politica, entra nel campo di una religione monoteista laica particolarmente intollerante.
Il delirio di onnipotenza storica dei progressisti è all’origine della decostruzione delle nostre società: tutto ciò che rappresenta il passato, la tradizione, le categorie che abbiamo ereditato dalla nostra cultura, diventano ontologicamente maligne, qualcosa da abolire e superare.
Per l’ideologia progressista tutto si realizza e si risolve nella “abolizione della tradizione” (anche nel senso più profano del termine), il richiamo ai valori tradizionali o il semplice rifiuto di alcuni assiomi dell’ideologia progressista rappresenta un genere di “peccato laico”. Financo l’opinione non allineata, non è solo duramente condannata, ma deve essere addirittura bandita, tanto che gli alfieri del progressismo osannano la censura e disprezzano la democrazia e la libertà che a parole dicono di rappresentare e difendere (“se non la pensi come noi, sei fascista e non puoi parlare”).
La dimensione religiosa del progressismo è testimoniata da dogmi che non possono essere messi in discussione (l’identità non esiste, i confini non esistono, il sesso biologico non esiste) e da vere e proprie figure messianiche (George Floyd, Greta Thunberg, Carola Rackete, il movimento metoo) destinate a “salvare il mondo”.
La grande intuizione del capitalismo fucsia è quella di saper spacciare il conformismo per ribellione, occorre ricordare ai presunti rivoluzionari antifascisti che Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista hanno scritto: “Le idee dominanti di un’epoca, sono state in ogni momento, soltanto le idee della classe dominante”.
Se le idee dei movimenti progressisti fossero davvero rivoluzionarie, non verrebbero foraggiate e divulgate dalla classe dominante. Le idee del progressismo arcobaleno-no border vengono diffuse ossessivamente dalle università a Hollywood, dai mainstream media alle serie tv modellate sui temi arcobaleno e da tutti i grandi marchi che continuamente propongono campagne antirazziste e pro-LGBT.
Per farla breve, se hai le stesse idee di chi domina, probabilmente non sei un rivoluzionario. Ma si tratta veramente di “progresso”? Analizzando anche solo superficialmente la realtà contemporanea, che secondo i progressisti è aprioristicamente migliore di ciò che i nostri genitori o i nostri nonni hanno vissuto, ci accorgiamo che questo progresso è solo illusorio: in una società sempre più depressa e narcotizzata, distaccata dalla realtà, lo sviluppo di nuove tecnologie viene abbracciato con cieco entusiasmo mentre ci privano delle nostre libertà; sempre più condizionati da una visione economicistica della vita, non c’è più spazio per la trascendenza.
La società che ci viene promessa non è affatto a misura d’uomo, al contrario, ne è la negazione. La società agognata dai progressisti, spacciata per una società “senza conflitti”, è in realtà il nichilismo pienamente realizzato, che intende ridurre l’uomo a homo consumens. La loro voglia di rifare tutto è ben descritta da Leopardi nei suoi “Pensieri”: “V’è qualche secolo che, per tacere del resto, nelle arti e nelle discipline presume di rifar tutto perché nulla sa fare”.
Se l’unica volontà che muove la religione progressista è la volontà d’impotenza, a questa serve contrapporre una narrazione. Nietzsche scrisse un secolo e mezzo fa: “Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con un tormento e una tensione che cresce di decennio in decennio, come se tendesse a una catastrofe: inquieta, violenta, impetuosa: come una corrente che vuol giungere alla fine, che non riflette più, che ha paura di riflettere”.
Ci troviamo al bivio, l’Europa si configura come un vecchio malato troppo stanco di tirare ancora a campare, come se l’intero tessuto storico-culturale-religioso europeo fosse la somma di tanti errori e soprusi di cui è finalmente giunto il momento di liberarsi, come se avessimo qualcosa da farci perdonare. Se lasciamo fare alla fortuna e non opponiamo la virtù, l’Europa morirà.
Lo storico A. J. Toynbee sosteneva che salvo poche eccezioni, non ci sono civiltà che sono state uccise, ma solo civiltà che si sono suicidate. Non solo difendere l’Europa, l’Occidente, ma rivendicarne con orgoglio le realizzazioni. John Hirst scrive: “La civiltà europea è unica perché è l’unica a essersi imposta nel mondo. E questo è avvenuto tramite la conquista e l’insediamento; grazie alla sua potenza economica; grazie alla potenza delle sue idee; e perché possedeva cose che tutti gli altri desideravano. Oggi tutti i Paesi della Terra utilizzano le scoperte scientifiche e le tecnologie che ne sono derivate, e la scienza è stata un’invenzione europea”.
All’ingenuità di chi vorrebbe ridurre l’Europa ad una razza di conquistatori occorre ribadire un concetto: l’Europa ha dominato il mondo perché ha avuto i mezzi per farlo, se altri popoli avessero avuto gli stessi mezzi avrebbero fatto lo stesso e la storia lo dimostra. Tutto il mondo è debitore nei confronti dell’Europa. Il pensiero, l’arte e la scienza europea hanno cambiato l’umanità.