Corea, la tigre asiatica della Chiesa

chiesa_CoreaVita e Pensiero n.4 – luglio-agosto 2012

È la nazione che vanta il primato di conversioni nel mondo. I cattolici sono oggi il 10°/o e si punta a raggiungere il 20% nel  2020. Un boom dovuto anche alla storia: dalle persecuzioni all’opposizione alla dittatura. La fede messa alla prova al Nord.

Piero Gheddo

In Asia vivono il 62% di tutti gli UOmini e i 85% di tutti i non cristiani. E’ ancora il continente dove soprattutto si esercita la missione ad gentes e dove i cristiani sono solo una piccola minoranza nella maggior parte dei Paesi. Fanno eccezione il Libano nel Medio Oriente e le Filippine nell’Estremo Oriente.

Il terzo Paese asiatico con una forte minoranza cristiana è la Corea del Sud. All’inizio della missione in Corea c’è un fatto unico nella storia: i missionari non erano preti stranieri, ma laici coreani; questo ha segnato profondamente i cattolici coreani, rendendoli ancor oggi corresponsabili nella missione e nella pastorale parrocchiale. Il cammino dei coreani verso la fede cattolica infatti è cominciato per l’iniziativa di alcuni diplomatici, letterati e filosofi coreani che erano membri dell’ambasciata di Corea a Pechino.

Entrati in contatto con i missionari gesuiti presso la corte imperiale, si convertirono a Cristo e si fecero battezzare. Poi, tornando in Corea, vi portarono il Vangelo. Questi laici, uomini e donne, sono considerati i “fondatori della Chiesa” in Corea: dal 1779 al 1836, senza l’aiuto di sacerdoti (eccetto brevi visite di preti cinesi), hanno diffuso la fede in Cristo nella loro patria fino all’arrivo dei missionari francesi.

Il primo missionario cinese che visitò la Corea nel 1794 vi trovò 4.000 battezzati, nel 1800 i battezzati erano 10.000. La rapida diffusione della nuova dottrina (chiamata “la scienza occidentale”), in un Paese confuciano e buddhista, preoccupò le autorità coreane, che praticavano a quel tempo una chiusura totale verso l’esterno (eccetto gli indispensabili rapporti con la Cina).

All’inizio del 1800 incominciò la persecuzione, che si protrasse per quasi un secolo, fino al 1886, quando un accordo commerciale con la Francia e altre potenze europee portò con sé anche la libertà religiosa in Corea. La persecuzione più terribile avvenne nel 1866, quando la Corea si sentì minacciata dalle nazioni occidentali che volevano aprirla al commercio, ma negli stessi anni la grande Cina, che proteggeva la Corea, fu umiliata dai “trattati ineguali” che le vennero imposti dalle potenze europee, Inghilterra, Francia, Germania, Russia, Italia.

I cristiani erano sentiti come stranieri. Dal 1866 al 1886 furono uccisi circa 10.000 cristiani, in modo sistematico. Chi era scoperto o denunziato come cristiano era messo a morte. Nel 1886 il nuovo re, costretto dalle pressioni esterne (anche del Giappone che già si era aperto al mondo moderno) concesse la libertà di religione, che però in tutto il Paese rimase puramente teorica.

I cristiani continuarono a essere perseguitati, fino al 1905, quando il Giappone impose con le armi il suo protettorato sulla Corea e nel 1910 si annesse il Paese, come una sua provincia d’oltremare. Poi sappiamo che, dopo la Seconda guerra mondiale, la Corea (come la Germania e il Vietnam) venne divisa in due parti al livello del 38° parallelo.

Nel Nord è stato imposto dai russi un regime comunista che ha ridotto il popolo alla fame e minaccia il mondo con la sua bomba atomica; nel Sud da sessantanni si è affermato un governo oggi democratico che ha dato assoluta libertà religiosa. La Chiesa cattolica è passata da circa 70.000 fedeli a cinque milioni.

Oggi la Chiesa cattolica in Corea è quella che ha più convertiti all’anno nel mondo intero. Specialmente in Asia, le conversioni dalle religioni non cristiane sono quasi bloccate e dove ancora avvengono – in India, Indonesia, Vietnam e Cina – non si rendono note perché la parola stessa, “conversione”, suscita forte opposizione nei rispettivi governi e società. Invece i coreani si convertono a Cristo senza reazioni negative e ancor oggi questo movimento verso le Chiese cristiane è quasi un fenomeno di massa, tanto che i cristiani sono circa il 30% dei 50 milioni di coreani.

Ho visitato la Corea del Sud nel 1986, quando già le conversioni al cristianesimo erano tante. Un missionario francescano parroco a Pusan, padre Mario Fabrizi, mi diceva: «II popolo coreano è molto portato alla religione, qui fioriscono tutte le Chiese: non solo quella cattolica, anche le protestanti e tutte le sette, anche le più strane.

La gente prega, ha bisogno del sacro e di Dio, è generosa con tutte le istituzioni religiose. Il popolo coreano è sempre stato oppresso dai cinesi e poi dai suoi imperatori, nella prima metà del Novecento dai giapponesi e dopo il 1945 dal regime comunista al Nord e dalla dittatura militare al Sud. Ha coltivato un profondo senso religioso e il bisogno di Dio».

Padre Fabrizi aggiungeva che in Corea non c’è una religione nazionale e organizzata (come l’induismo in India, ad esempio). Il confucianesimo, la religione originaria della Corea, ha dato un’impronta alla società e anche i coreani che si convertono a Cristo vivono la fede e la vita cristiana come una realizzazione dell’armonia fra la vita dell’uomo e quella della natura, il rispetto per gli anziani e per la tradizione e anche il rispetto e l’obbedienza all’autorità. Il forte spirito di amore e di servizio dei coreani cattolici verso la Chiesa viene da questa tradizione confuciana.

Le religioni tradizionali dei coreani sono il confucianesimo, il buddismo e lo sciamanesimo, cioè il culto degli spiriti e degli antenati. Quest’ultima religione, o sentimento religioso, è presente in tutti i coreani (anche se nessuno si definisce “animista”) ed è il culto degli spiriti originario. Per il coreano, che non conosce Dio attraverso la Rivelazione della Bibbia e di Cristo, la divinità rimane misteriosa, inconoscibile, lontanissima dall’uomo.

L’uomo è dominato dagli spiriti della natura e degli antenati. Anche il culto dei morti e degli antenati è molto diffuso, una specie di forma religiosa sentita e vissuta anche dai cristiani. I morti non sono morti, il loro spirito vive ancora in mezzo a noi; se non si rende loro un culto, potrebbero vendicarsi. La tomba di famiglia nel paese natale è curata, si va a visitarla facendo qualche sacrificio, bruciando incenso e accendendo candele.

Sempre nel 1986, con padre Pino Cazzaniga, missionario del Pime in Giappone che parla il coreano, ho visto una Chiesa locale con tante conversioni; e ancor oggi è così. Ogni parrocchia ha dai 200 ai 400 battesimi di convertiti dal buddhismo all’anno.

Si convertono soprattutto le persone istruite delle città (il 30% dei militari sono cristiani!), molti meno nelle campagne. Nel 2011 sono stati celebrati 134.562 battesimi, che hanno portato il numero totale dei cattolici a 5.309.964: si tratta del 10,3% della popolazione della Corea del Sud. Questo dato mette in luce un altro aspetto positivo, ovvero l’aumento continuo dei fedeli nel Paese.

Di pari passo con l’aumento dei fedeli, aumentano anche le parrocchie, che nel 2011 sono cresciute di 38 unità per un totale di 1.647. Per quanto riguarda il clero, in Corea vi sono 34 vescovi e 1 cardinale; 4.455 sacerdoti coreani e 166 stranieri; 1.587 seminaristi in sette seminari.

Lo scorso anno sono stati ordinati 141 sacerdoti, un aumento del 3,3% rispetto all’anno precedente. Altro dato impressionante (per noi italiani), il 69% dei preti coreani ha tra i 23 e i 40 anni! La Chiesa di Corea è anche missionaria all’estero, con circa 150 sacerdoti, metà dei quali appartenenti all’Istituto Missioni Estere di Corea, e circa 80 missionari laici che lavorano con loro specialmente nelle missioni in Asia.

Tutto questo ci dice che la Chiesa cattolica nella Corea del Sud è quella che più cresce in Asia, assieme alle Chiese di Vietnam, India e Indonesia; ma a differenza di queste, in Corea ci sono governi democratici che garantiscono la libertà di fede e di vita cristiana e i coreani manifestano una forte tendenza a diventare cristiani.

Non solo nella Chiesa cattolica, ma anche nelle molte Chiese protestanti, storiche e moderne, come pure nelle sette carismatiche di origine protestante, diffusissime anche nei villaggi rurali più remoti. I cristiani, tutti assieme, compresi quelli delle “sette” cristiane, sono circa il 30% dei coreani del Sud, il 10% sono cattolici.

Nella capitale Seul i cattolici sono il 14% dei dieci milioni di abitanti e nel 2008 hanno lanciato il programma Evangelisation Twenty Twenty (Evangelizzazione Venti Venti), cioè l’impegno a raggiungere il 20% nel 2020. Il programma vale anzitutto per Seul, ma poi anche per tutto il Sud Corea. Forse non ci arriveranno, ma il solo lancio di questo programma dimostra la fede entusiasta dei laici battezzati, perché i protagonisti della missione ai non cristiani sono loro e tutti lo sanno.

Dal Sessantotto un effetto benefico sulla Chiesa coreana

Mentre in Italia (e in genere nell’Occidente cristiano) il Sessantotto è stato un tempo di contestazione del Papa e della Chiesa e di allontanamento di molti dalla fede cristiana (anche di preti, religiosi e suore), in Corea, in una Chiesa che stava praticamente nascendo dopo un secolo e mezzo di persecuzioni e di guerre, ha significato passi avanti nella presa di coscienza dei laici che la Chiesa aveva bisogno di loro, con la fioritura di iniziative sociali e di annunzio di Cristo ai non cristiani.

I cattolici coreani, che si erano abituati a vivere nel silenzio e chiusi in difesa della fede, hanno incominciato a interessarsi di problemi sociali e politici, di missione verso l’esterno. Nel 1968 la Conferenza episcopale ha fatto propri i problemi dei lavoratori e dei poveri intervenendo in loro favore e pubblicando una lettera intitolata Garantire la giustizia sociale e i diritti dei lavoratori.

Nel 1971 c’è stato il primo incontro di preghiera e di manifestazione contro la dittatura militare e la costituzione della “Commissione per accelerare la giustizia sociale”, formata dai vescovi designati dalla stessa Conferenza episcopale.

Inoltre, il cardinale Kim, arcivescovo di Seul, nella Pasqua 1970 pubblicava una Lettera pastorale esigendo l’unità dei fedeli nella Chiesa e affermando che i fedeli stessi dovevano esercitare la funzione profetica a difesa dei diritti umani.

Un altro aspetto della Chiesa coreana, forse anche questo unico al mondo, è l’integrazione dei movimenti ecclesiali, di natura carismatica, nella pastorale e nella missione ad gentes delle parrocchie, che rappresentano l’istituzione Chiesa. I movimenti hanno avuto e ancora hanno un ruolo di stimolo all’evangelizzazione e sono anche istanze di approfondimento della fede.

Fin dall’inizio, i primi cristiani coreani erano uniti in “confraternite” portate dai sacerdoti cinesi che andavano in visita alla Corea: Confraternita del SS. Sacramento, del S. Rosario e altre, che hanno continuato fino al 1953 ad animare la comunità cattolica coreana. In quell’anno entra in Corea il primo “movimento ecclesiale” portato dai missionari irlandesi di San Colombano, la Legione di Maria, che in poco tempo si diffonde in tutte le diocesi; nel 1958 arriva il secondo, la Joc (Gioventù Operaia Cattolica, portata dai Salesiani), e poi tutti gli altri movimenti carismatici: il Worldwide Marriage Encounter e lo Happy Family Movement (portati dai missionari di Marknoll dagli Usa), la Blue Army (movimento mariano di Fatima), i Focolari (dal 1967, iniziati da un sacerdote coreano) e il Movimento del Mondo Migliore (dall’Italia), l’Opus Dei, i Cursillos, il Movimento Cattolico Carismatico.

Nessuna notizia di cattolici nel Nord Corea

Nella Corea del Nord, i cattolici erano più di 30.000 alla fine della Seconda guerra mondiale, con una buona percentuale della capitale di Pyongyang. I sacerdoti e i religiosi erano 166. Nella guerra civile coreana (1950-1953) gli eserciti nemici percorsero combattendo due volte tutto il Paese, da Nord a Sud e da Sud a Nord.

Le forze del Nord diedero la caccia a missionari e sacerdoti coreani e uccisero, fra gli altri, dodici missionari francesi del Mep, che si erano riuniti con il vescovo Larribeau a Daejon. All’inizio della guerra fu arrestato anche il primo delegato apostolico in Corea, il vescovo Patrick James Byrne, cittadino statunitense, che fu condannato a morte. Ma la sentenza non venne eseguita: deportato in un campo di concentramento, morì qualche mese dopo tra stenti e privazioni.

Al termine della guerra, quando vennero fissati i confini fra Nord e Sud, il regime comunista dichiarò guerra a tutte le religioni con lo scopo di eliminare ogni segno religioso nel Paese e preparare così la nascita dell'”uomo nuovo” che doveva costruire il “socialismo”. Era ammesso solo il culto del “Grande Leader” Kim II Sung.

Oggi, dopo 60 anni di regime comunista, il popolo del Nord Corea soffre la fame e la miseria estrema, in un Paese più esteso del Sud e con grandi ricchezze naturali. Un solo dato: secondo statistiche ufficiali dei due governi, il Sud offre ai suoi 50 milioni di coreani una disponibilità media di 3.070 calorie al giorno; il Nord solo 2.150, il che significa vera fame per molta parte del popolo!

I militari del Nord sono 1.106.000, quelli del Sud solo 687.000. Nel Nord sono stati distrutti monasteri e chiese, i cristiani arrestati e condannati a morte. Non si hanno avuto più notizie della sopravvivenza di cristiani nel Nord Corea, il regime non ha finora concesso alcuna libertà di culto, i cattolici sopravvissuti certamente esistono (come in tutte le persecuzioni precedenti nella stessa Corea del Sud), ma vivono ancora la loro fede nelle “catacombe” e a rischio della vita!

Chi viene preso con una Bibbia o con un segno religioso è condannato a morte o inviato, assieme agli oppositori del governo, nei “campi di rieducazione” del regime (che ospitano circa 200.000 condannati), nei quali è quasi impossibile sopravvivere.

I cristiani sudcoreani sono stati i primi a mandare aiuti umanitari al Nord. Dagli anni Novanta la Chiesa cattolica del Sud Corea inizia i contatti con il Nord, con la Caritas Corea, fondata dalla Conferenza episcopale nel 1975, che è diventata protagonista del rapporto con il Nord (aiutata in questo dalla Caritas Hong Kong e da Caritas internationalis).

La Chiesa del Sud Corea ha sempre sostenuto e ancor oggi porta avanti il dialogo con il governo del Nord Corea, spesso anche contro il parere dei molti cattolici profughi dal Nord, che sono per una posizione di intransigenza. Invece i vescovi hanno promosso il dialogo, la riconciliazione e gli aiuti umanitari, anche se non si sa quanto arrivi veramente al popolo e quanto sia usato per le forze armate e i membri del partito. «Non importa» diceva il cardinale Kim «ogni gesto di amore e di condivisione con i nostri fratelli del Nord porterà con il tempo i suoi frutti di pace e di riunificazione».

Oggi la Chiesa del Nord rimane senza clero e senza culto. Secondo i dati ufficiali, i cattolici nordcoreani sono circa 4.000 e i protestanti circa 12.000. I dati però si riferiscono all’Associazione dei cattolici nordcoreani, controllata dal governo. Le Chiese autorizzate sono solamente tre in tutto il Paese, nella capitale Pyongyang: due sono protestanti (di Bongsu e di Chilgol) e una cattolica (di Chang Chung), “vetrine” a uso del regime per le delegazioni e i turisti stranieri.

L’Annuario pontificio continua a indicare come vescovo di Pyongyang monsignor Francis Hong Yong-ho, nato nel 1906 e vescovo dal 1944, del quale non si hanno più notizie dagli anni Sessanta. Nel 2000, monsignor Celestino Migliore, sottosegretario per i Rapporti del Vaticano con gli Stati, ha compiuto un viaggio nella Repubblica popolare del Nord Corea, per consegnare al governo un dono del Santo Padre (286.000 dollari) per i coreani poveri ed esprimere «la solidarietà costante ed effettiva della Santa Sede verso la popolazione del Nord Corea.

Un momento importante della visita è stato l’incontro di preghiera con la comunità cattolica della capitale, con la Messa domenicale celebrata nella chiesa di Chang Chung. Dopo la celebrazione, è stato tenuto un incontro con il capo dell’Associazione cattolica del Nord Corea». Così il comunicato della Sala stampa vaticana.

Anche alcuni vescovi e sacerdoti sudcoreani hanno potuto visitare il Nord, portando gli aiuti della Caritas: aiuti alimentari, cooperazione in campo agricolo, forniture mediche e farmaci fondamentali. Non è stato però possibile incontrare cattolici o sacerdoti in libertà.

Secondo il rapporto 2010 dell’organizzazione non governativa sudcoreana “Porte Aperte”, almeno 8.000 cristiani sono attualmente in catene nei sei campi di lavoro conosciuti. Un certo numero di nordcoreani fuggono attraverso la Russia o la Cina, che hanno confini con il Nord Corea, e giungono nella Corea del Sud. A volte anche cattolici, che riferiscono notizie sulle famiglie e comunità cristiane che sopravvivono in segreto.

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Piero Gheddo missionario del PIME (Pontificio Istituto missioni estere), per 35 anni direttore della rivista «Mondo e Missione», autore di numerosi volumi, è un profondo conoscitore del mondo missionario, soprattutto delle zone di prima evangelizzazione e laddove la Chiesa è stata perseguitata dai regimi autoritari.