da piccolenote 9 aprile 2020
L’allarme coronavirus c’è stato, ma è rimasto inascoltato. L’Abc rivela che il National Center for Medical Intelligence (NCMI), organo dell’Us Army, già a novembre aveva avvertito che una catastrofe si stava abbattendo sul mondo, dato quanto stava accadendo a Wuhan. Secondo le fonti anonime che hanno dato la notizia alla Abc, il rapporto era stato redatto in base “ad analisi di intercettazioni telefoniche e dei computer, confortate da immagini satellitari”.
Avvertimento inascoltato
Quanto emerso “ha generato allarme perché una malattia fuori controllo avrebbe costituito una grave minaccia per le forze statunitensi in Asia, forze che dipendono dal lavoro dell’NCMI”. Non solo, l’avvertimento avrebbe dovuto spingere il governo americano a “intensificare gli sforzi per mitigare e contenere [la malattia, ndr.] molto prima”, così da “prepararsi” a una crisi che avrebbe interessato lo stesso territorio degli Stati Uniti. Secondo gli analisti, c’era il reale pericolo di un “evento catastrofico”.
Tale rapporto sarebbe stato più volte inoltrato alle più alte sedi dell’esercito americano e istituzionali. “Da quell’avvertimento di novembre, le fonti riportano che si sono avuti ripetuti briefing, durati fino al mese di dicembre, con politici e funzionari del governo federale e del Consiglio di sicurezza nazionale”. Il Pentagono ha smentito Abc.
Ma resta che quanto rivelato è alquanto realistico: possibile che delle Agenzie di informazione tanto sofisticate, in grado di intercettare telefonia, computer e usare satelliti in grado di leggere, dall’alto, i titoli degli articoli dei quotidiani, non abbia avuto nessuna contezza di quanto si stava consumando a Wuhan?
Quanto rivela il rapporto è in contrasto con la propaganda ormai egemone negli Usa, che cioè la Cina non ha informato il mondo della gravità di quanto stava avvenendo. Propaganda che oggettivamente copre e sopisce le domande sulle defailance Usa, che sono tante.
Il coronavirus secondo il Consiglio di Sicurezza
La narrazione anti-Pechino, infatti, a quanto pare non è nata spontaneamente. Il Daily Beast ha pubblicato un memo inviato al Dipartimento di Stato Usa nel quale si illustrano le linee guida alle quali i funzionari americani si devono attenere nello spiegare la pandemia.
Nel memo, proveniente dal Consiglio per la Sicurezza nazionale, si raccomanda di mettere in evidenza “l’insabbiamento” operato dal governo di Pechino e si dettaglia come si debba rilevare la gravità di tale azione. Insomma, la Cina deve essere messa alla sbarra. Il memo raccomanda poi di “diffondere questo messaggio in ogni modo possibile, comprese conferenze stampa e apparizioni televisive”.
Ovviamente il messaggio è veicolato anche dalla stampa indipendente, dato che, come avviene normalmente, le informazioni che essa trasmette si basano su fonti ufficiali (da tempo l’idea di verificare tali fonti, o almeno di acquisirle come fonti di parte, come accadeva un tempo, ha registrato un processo di erosione).
Peraltro, l’intelligence Usa ha tentato di “provare” che Pechino ha dato informazioni false, mentendo sul numero delle vittime e sull’estensione dell’epidemia. Ma, nonostante gli sforzi, scrive il New York Times, “per la frustrazione sia della Casa Bianca sia della comunità dell’intelligence, le agenzie non sono state in grado di raccogliere numeri più accurati nonostante il loro impegno”.
In realtà, rileva il NYT, se c’è qualcosa di certo addebitabile a insabbiamenti locali, a funzionari che temevano di essere puniti. per lo più a rendere impossibile la gestione della pandemia è stata la difficoltà di quantificare un evento tanto catastrofico che presenta alta diffusione, un gran numero di asintomatici e tanti casi che inevitabilmente esulano dai calcoli, come è avvenuto per l’Italia, che ancora non riesce a dare un quadro esaustivo di quanto sta avvenendo. Insomma, la stessa intelligence Usa smentisce la narrativa corrente. Tant’è.
La sottostima cinese e altrui
Peraltro sulla sottostima di casi iniziale, che il NYT ascrive automaticamente al dolo dei dottori cinesi, si può anche non concordare, se si tiene presente quanto avvenuto altrove. Basti pensare all’Italia, dove il cosiddetto paziente 1 viene identificato il 20/2/2020 (data interessante), mentre tanti virologi spiegano che è impossibile che un incendio tanto vasto sia iniziato solo allora, retrodatando l’inizio dell’epidemia.
Sul punto sembra interessante un articolo di Leggo del 9 gennaio dedicato alla sindrome influenzale annuale. Questo il titolo: “Influenza, boom di ricoveri. Picco di polmoniti e bronchiti”. Vi si legge che il “notevole numero di casi di bronchiti e polmoniti” dovuto a complicanze della sindrome influenzale causata da vari virus, stava causando, solo al Niguarda di Milano, “350 accessi al giorno”.
Di interesse anche l’intervento del segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale, Silvestro Scotti: “Tra Capodanno e l’Epifania abbiamo registrato un incremento dei casi. Dall’inizio di gennaio abbiamo avuto almeno un 20% in più di persone colpite e questo si è rilevato sull’intero territorio nazionale.
Abbiamo visto soprattutto un aumento delle complicanze di tipo respiratorio e bronchiale con alcuni casi più gravi di polmonite». Possibile che in Italia sia passata inosservata la prima fase epidemica? Più che possibile.
Come sottostimato è stato il dilagare dell’epidemia in America, non iniziata certo quando si è cominciato a contare i morti. Insomma, si può accusare la Cina, ma appare in buona compagnia. Meglio sarebbe abbassare il dito accusatorio per rimboccarsi le maniche. Concordi.