Aldo Ciappi
Scienza e Vita di Pisa e Livorno
La Grand Chamber della Corte Europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, riformando la precedente decisione resa in primo grado, ha riconosciuto la legittimità del divieto di fecondazione “eterologa” (ottenuta con sperma od ovocita di soggetti esterni alla coppia) posto nella legislazione nazionale di taluni stati, non ritenendolo in contrasto con gli artt. 8 (che riguarda il diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (che vieta ogni disparità di trattamento) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.), siglata a Roma il 4 novembre 1950.
Non è il caso di soffermarsi sul rapporto, assai dibattuto, tra la giurisdizione di questa Corte e quella della Corte Costituzionale, giudice delle leggi del nostro Stato. Essendo le norme della C.E.D.U. e le altre di diritto comunitario anche norme interne esse restano soggette anch’esse al sindacato della nostra Corte per cui è inevitabile una certa “interferenza” tra i due organismi.
In linea di massima, possiamo dire che lo Stato, pur con i vincoli di cui al citato art. 117 c. 1, Cost. nella cornice dei principi generali e dei valori stabiliti dalla Costituzione, ha legislazione riservata su talune materie (ordine pubblico, sicurezza, anagrafe, stato civile, cittadinanza ecc.; cfr. art. 117 c. 2, Cost.), ma consente quelle “limitazioni alla propria sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” (art. 11 Cost.).
Il caso scaturisce da un ricorso alla Corte Europea di due coppie di coniugi austriaci sterili i quali, non potendo accedere alla tecnica della fecondazione eterologa, non ammessa dalla loro legge nazionale, si ritenevano discriminati rispetto a quelle coppie che, pur avendo problemi di fertilità, sono tuttavia capaci di procreare (possono cioè produrre rispettivamente ovociti femminili e spermatozoi) e, pertanto, potevano accedere alla fecondazione omologa ovverosia con gameti provenienti dalla coppia.
Come detto, in primo grado la Corte di Strasburgo, ritenendo la legge austriaca in contrasto con gli articoli richiamati della C.E.D.U., aveva in prima istanza accolto il ricorso e contro tale decisione aveva appellato lo stato austriaco. E’ evidente che l’eventuale conferma della decisione in appello avrebbe influenzato non poco anche la Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sul punto, poiché una decisione di segno opposto avrebbe potuto sollevare un grosso conflitto tra i due organismi.
Anche la nostra L. 40/04 vieta il ricorso alla F.I.V. eterologa. Contro tale divieto è stata sollevata da diversi Tribunali la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 c. 3 che, appunto, vieta la “procreazione medicalmente assistita” mediante gameti che non provengano dalla stessa coppia.
Merita qui accennare al fatto che la L. 40, da molti erroneamente ritenuta una legge “cattolica”, fu introdotta, dopo lunga e faticosa gestazione, per cercare di mettere un freno allo scandaloso imperante far west, in cui, non essendovi alcuna norma a regolare la materia, si prelevavano, con dannosissimi bombardamenti ormonali, gli ovociti della donna e con essi si “producevano” migliaia di “embrioni” (ovvero piccolissimi esseri umani) la maggior parte dei quali, ritenuti non di “buona” qualità, finivano tra i rifiuti senza che alcuno potesse obiettare alcunché.
E’ noto che la dottrina cattolica (v. Lett. Enc. “Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II) ritiene la fecondazione artificiale extracorporea, anche quella cui ricorrono coppie regolarmente sposate, una “tecnica” moralmente inaccettabile, contraria alla dignità umana e all’etica naturale. La nascita di una nuova vita non può che avvenire dal congiungimento dei due sposi nell’atto a ciò naturalmente predisposto; qualsiasi tecnica che si sostituisca completamente a questo esclusivo e personalissimo atto sponsale non è per un cattolico accettabile.
Tuttavia, una legge, certamente imperfetta qual è la L. 40, è pur sempre meglio di nessuna legge; i parlamentari cattolici, in netta minoranza, non riuscirono a fare di meglio e tuttavia ad essa andava il merito di aver riconosciuto al concepito, quanto meno in linea di principio, la qualità di soggetto di diritti; sul piano pratico, però, esso è svuotato dal diritto, ritenuto insindacabile, alla salute “psico-fisica” della madre; concetto questo che ha spianato la strada all’aborto indiscriminato.
Ciò nonostante è bastata questa mera affermazione di principio a far scatenare i seguaci del credo scientista (Veronesi in testa) contro questa legge colpevole di aver osato mettere messo qualche (debole) paletto all’osceno scempio delle vite in provetta.
A riparare a questo affronto, ci ha pensato, però, la Corte Costituzionale, formato da giuristi assai lontani dal diritto naturale classico (fu la stessa Corte, presieduta dal Prof. Bonifacio, poi ministro della giustizia democristiano al tempo della legge 194, che, con una clamorosa sentenza nel 1975, aprì la strada alla legislazione abortista) ad assestare duri colpi alla legge 40/04 rendendola praticamente un colabrodo.
Infatti, la sentenza n. 151/2009 ha dichiarato illegittimo l’art. 14 c. 2 nella parte in cui poneva al medico il limite massimo di 3 embrioni per ogni tentativo di fecondazione, di fatto ri-aprendo all’indiscriminata produzione di esseri umani, destinati al congelamento e poi alla distruzione, e quindi alla selezione eugenetica degli embrioni, con ciò vanificando lo scopo della legge.
Restava da abbattere l’altro importante divieto, quello della fecondazione “eterologa”, posto a salvaguardia del modello unitario di famiglia e contro l’osceno mercato degli ovociti e dei gameti. Come detto, si attendeva con ansia la Corte di Strasburgo perché da questa poteva venire la censura dell’Austria (e quindi anche dell’Italia) per aver violato i sopra citati principi della Convenzione.
Per fortuna questo assalto è stato respinto: la Grand Chamber della Corte di Strasburgo, ribaltando la sentenza in primo grado, ha ritenuto il divieto della fecondazione eterologa non in contrasto con gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della C.E.D.U., e quindi prevalente, su un discutibile e incondizionato “diritto ad avere un figlio”, il modello della famiglia naturale formata da un padre e una madre nonché il diritto del figlio alla propria identità biologica, vanificato dalla donazione anonima dei gameti.
Ha inoltre ribadito il pieno diritto dei singoli stati a legiferare su alcune materie come quella in questione tenendo conto delle gravi implicazioni di natura etica che esse comportano.
Ora la parola passa alla Corte Costituzionale che ci auguriamo tenga conto dell’autorevole pronuncia respingendo a sua volta il nuovo attacco portato alla legge dalla solita potente lobby che pretende di governare senza limiti etici e giuridici i più delicati processi legati alla vita umana.
Se non è la stessa, somiglia molto alla lucida follia di una generazione che ebbe in Hitler il più valido interprete.