di Valentina Colombo
William Taylor, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha di recente dichiarato che, qualora i Fratelli musulmani vincessero le prossime elezioni in Egitto, gli Stati Uniti avrebbero accettato di buon grado (l’espressione usata è “will be pleased”). D’altronde anche il Segretario di Stato americano Hillary Clinton lo scorso giugno aveva affermato di volere ripristinare il dialogo con il movimento fondato da Hasan al-Banna. Il tutto confermato lo scorso ottobre da un incontro a porte di chiuse tra funzionari del Dipartimento di Stato e alti dirigenti del Partito della Libertà e della Giustizia, ufficialmente legato alla Fratellanza.
Basterebbe leggere i giornali, i sondaggi, basterebbe ascoltare le voci che provengono dall’aerea per comprendere che accettare di buon grado oppure dialogare, ma ancor peggio appoggiare, gli estremisti islamici significa non rispettare, non volere il bene della popolazione egiziana. Basterebbe leggere le reazioni dell’elettorato tunisino a seguito dell’ottimo risultato del movimento Al-Nahdha, guidato da Rached Ghannouchi (quasi il 45% dei voti) per capire che la vittoria dei Fratelli musulmani viene considerata, a ragione, come pilotata dagli Stati Uniti.
Ebbene, lo scorso 7 novembre il giornale arabo on-line più seguito, Elaph, ha pubblicato i risultati di un sondaggio in base al quale il 60,8% (3643 lettori) dichiarava di “temere la conquista del potere da parte degli estremisti islamici”. Il commento che accompagna il grafico non dà adito a dubbi: “La Tunisia è stata l’apripista delle rivoluzioni della primavera araba, è stata poi l’apripista nello svolgimento delle prime elezioni democratiche della sua storia, ed è stato il primo paese arabo in cui gli estremisti islamici hanno raggiunto il potere attraverso le urne elettorali”.
Si sottolinea altresì che nonostante le reazioni positive a livello “ufficiale”, i mezzi di comunicazione indipendenti, i partiti liberali e progressisti, le associazioni della società civile hanno invece espresso timore e preoccupazione nei confronti dell’ascesa al potere dell’islam politico.
Si sottolinea il timore di molte persone del ritorno di una dittatura, della drastica riduzione della libertà del singolo e della società. Il che significa che nonostante le dichiarazioni rassicuranti degli estremisti islamici al potere che promettono “moderazione”, rispetto dello Stato civile, rispetto dei diritti della donna, delle libertà dei singoli e della democrazia, gli arabi – che ne conoscono bene la storia e le tattiche – non si fidano. Ieri, sul quotidiano arabo internazionale Asharq al-awsat, l’editorialista ‘Abd al-Mun’im Sa’id rendiconta circa i sondaggi svolti negli ultimi mesi dal Centro di Studi Politici e Strategici e pubblicati dal quotidiano egiziano Al-Ahram.
Nel mese di ottobre il 22,6% degli intervistati si diceva preoccupato di un’eventuale ascesa al potere degli estremisti islamici, 13,8% preoccupato di un eventuale mantenimento dell’esercito al governo e solo il 3,1% preoccupato da un eventuale governo laico.
Anche questi dati parlano da soli: è l’alternativa islamista a destare preoccupazione nella terra dei Faraoni che conosce bene il movimento dei Fratelli musulmani e la sua ambiguità. La terra che il 6 ottobre 1981 ha assistito all’assassinio di Sadat per mano di Khalid al-Islambuli, un adepto della Gamaat al-islamiyya ovvero l’ala violenta della Fratellanza, sa perfettamente che “flirtare” con l’estremismo islamico è pericoloso, sa perfettamente che l’estremismo islamico usa il doppio linguaggio ed è disposto a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo: lo Stato islamico unificato.
Anche la giornalista libanese Dalal el-Bizri non ha dubbi: il linguaggio edulcorato dei neo-vincitori non deve rassicurarci. Non ha dubbi nemmeno sul fatto che costoro giochino e puntino molto sul ruolo della donna.
Da un lato Rached al-Ghannouchi durante tutta la campagna elettorale ha ripetuto che non avrebbe toccato i diritti di cui la donna tunisina gode sin dall’insediamento di Habib Bourguiba nel 1956; Mustafa Abd Al-Jalil, capo del governo ad interim libico, invece ha dichiarato che il nuovo regime vorrebbe annullare alcune misure vigenti sotto il regime di Gheddafi, tra cui la norma che vietava la poligamia poiché contraria alla sharia. Se entrambi appartengono ai Fratelli musulmani, non ci resta da chiedere quale dei due rappresenti la vera faccia. La el-Bizri non ha alcuna esitazione e commenta: “Il partito Al-Nahdha aveva nelle proprie liste donne con e senza velo, parla di donne in parlamento, ma queste astuzie non ci devono trarre in inganno”. In poche parole l’abito non fa il monaco.
L’Occidente è caduto nella trappola forse per ingenuità forse con l’arroganza e la presunzione di sapere gestire quelli che sono stati definiti anni fa dal settimanale egiziano Roz el-Youssef i serpenti dell’islam politico. Il problema è che l’Occidente in generale, gli Stati Uniti in particolare non sono nuovi a questo tipo di errore. Non a caso la el-Bizri conclude il suo editoriale con le seguenti parole: “Non è certo l’Occidente che ci salverà. E’ l’Occidente che ha inventato l’idea di ‘talebani moderati’ e ‘talebani radicali’, seguita dall’idea di ‘islam moderato’. E’ l’Occidente che ogni volta che avvicina i ‘moderati’ si dimentica della condizione delle donne afghane che erano state uno dei motivi posti alla base dell’attacco all’Afghanistan”.
La memoria corta e le politiche miopi dell’Occidente sono sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto di quel mondo che è stufo di una democrazia importata o imposta e che non potrà che aumentare il proprio odio nei confronti di un Occidente che vuole dialogare solo con gli islamisti “moderati” che non vedono l’ora di accoltellarlo alle spalle.