In Terris – Lunedì 28 Maggio 2018
Cause, interessi occulti e terribili conseguenze: il parere di Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”
di Federico Cenci
Negli ultimi anni l’opinione pubblica europea ha imparato a conoscere e in qualche modo a metabolizzare il fenomeno dell’immigrazione di massa. Frotte di uomini, donne e bambini assiepano scomodi barconi che salpano il mar Mediterraneo fin quando non vengono raggiunti dalle imbarcazioni delle ormai arcinote ong, le quali si assumono il compito di traghettare i migranti sulle coste settentrionali. È questo solo l’ultimo stadio di un processo che inizia nei Paesi d’origine degli immigrati, ma che affonda le radici nei meccanismi finanziari che regolano l’economia globale.
Austerity, debito, maltusianesimo
Del tema se n’è parlato giovedì scorso presso la Sala Teatro della Fondazione Cristo Re, a Roma. Relatori Enzo Pennetta, biologo, docente e scrittore, e Ilaria Bifarini, economista, autrice dei libri Neoliberismo e manipolazione di massa (2017) e I Coloni dell’austerity: Africa, Neoliberismo e migrazioni di massa (2018). È un’analisi dei fatti che parte da lontano quella offerta dalla Bifarini, che si definisce una “bocconiana redenta”, dal nome della prestigiosa università dove ha studiato, la “Bocconi” di Milano, fabbrica dei futuri manager dell’alta finanza.
L’austerity, a suo avviso, e prima ancora il debito, sarebbero le cause scatenanti dell’immigrazione di massa nonché della globalizzazione della povertà. Austerity che, nell’introduzione di Pennetta, troverebbe una correlazione con il maltusianesimo, dottrina economica ispirata all’inglese Thomas Malthus secondo cui la popolazione crescerebbe in maniera superiore alle risorse disponibili. Di qui la necessità, promossa dai seguaci di questa teoria, di ridurre l’assistenza sociale perché essa incentiva la crescita demografica. E proprio i tagli alla spesa pubblica sono il punto di contatto tra Malthus e l’austerity.
Il ricatto all’Africa
Quest’ultima, diventata tema ricorrente in Occidente, “trova nell’Africa, e nel Terzo Mondo in generale, il proprio laboratorio di sperimentazione”, ha affermato la Bifarini. La sua riflessione è partita dalla crisi del debito del Terzo Mondo del 1982, quando – ha detto – “le politiche ultraliberiste occidentali irrompono nel continente africano attraverso i piani di aggiustamento strutturale, ossia una serie di riforme economiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale, poste come condizioni per la concessione di prestiti”.
Che tipo di riforme? Presto detto: privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni. Una congerie di ricette economiche ultraliberiste che – ha osservato la Bifarini – “hanno prodotto un aumento della disuguaglianza, della povertà e, conseguentemente, dell’emigrazione”.
Non è un caso che i Paesi che presentano una superiore propensione all’emigrazione sono proprio quelli con un debito pubblico più ridotto, cioè quelle che hanno versato più “lacrime e sangue”, per usare un’espressione famigerata. L’economista ha tenuto a precisare che prima di questo corto circuito, benché a piccoli passi, anche diversi Paesi africani avevano iniziato a crescere, e lo avevano fatto attraverso politiche keynesiane, cioè con interventi statali per incentivare la domanda. Metodo che – ha aggiunto – è stato usato anche in Occidente per far fronte e superare la grande depressione del 1929.
A chi giova l’immigrazione di massa
Oggi invece, per rimanere all’Occidente, la crisi economica del 2008 viene affrontata non promuovendo maggiori investimenti pubblici, bensì assecondando le spinte ultraliberiste. Questo atteggiamento – ha rilevato la Bifarini – “applicato già nel Terzo Mondo, creerà anche qui da noi, anche attraverso l’emigrazione incontrollata di quelle stesse vittime africane del neoliberismo, una globalizzazione della povertà che non risparmia nessuno e che è linfa vitale della finanza speculatrice internazionale”.
Il flusso migratorio è ormai rodato e gradito ai mercati. “L’Africa – ha detto la Bifarini – si trova ad affrontare una crescita demografica esponenziale, che nel 2050 porterà la popolazione del continente a raddoppiare, passando da 1,2 a 2,5 miliardi di abitanti. Al contrario l’Occidente è stretto nella morsa della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione”. È così che – ha proseguito – “attraverso la migrazione di massa, da una parte i Paesi africani si liberano della popolazione eccedente, dall’altra l’Occidente aggira il compito ineludibile di attuare politiche del lavoro e di tutela delle famiglie”.
L’esercito industriale di riserva
Non solo, l’arrivo di masse di disperati, disposti a tutto pur di avere un impiego, abbassa notevolmente il costo del lavoro, permettendo ai Paesi occidentali di competere nel mercato globale con le cosiddette economie emergenti, le quali spesso non hanno una tradizione in diritto alla tutela del lavoro. Essi rappresentano – ha sottolineato Pennetta – quello che Karl Marx chiamava “esercito industriale di riserva”, moltitudini di persone pronte ad accontentarsi di retribuzioni da fame e di cattive condizioni lavorative.
A tal proposito, Pennetta ha citato la dichiarazione di un esponente del Pd, che nel corso di una trasmissione tv nel 2016 ha detto che “uno dei parametri” a cui l’Italia è inchiodata è quello della “disoccupazione strutturale”. “Nel Def – ha chiarito l’esponente politico – abbiamo scritto che nei prossimi anni la disoccupazione non scenderà sotto il 12%, come obiettivo quasi dichiarato del governo”. Ciò significa – la riflessione di Pennetta – che si vuole che almeno un cittadino su dieci sia disoccupato, “di modo che sia disposto ad accettare stipendi sempre più bassi, per creare una concorrenza tanto sleale da far scendere sempre più retribuzioni e tutele”.
E per centrare l’obiettivo neoliberista c’è bisogno, inoltre, di quella che la Bifarini ha chiamato la “depoliticizzazione”, per cui lo Stato nazionale assume sempre meno valenza e cede la propria sovranità ad organi sovranazionali. “Nei Paesi africani – la sua riflessione – è stata repressa in nuce la nascita di Stati nazionali indipendenti nel periodo postcoloniale, che sono stati subito sostituiti da élite locali al servizio della finanza e delle multinazionali”. È ciò che sta avvenendo oggi anche in Occidente, ha rilevato la Bifarini. Ma la soppressione dello Stato non fa altro che generare una schizofrenia socioeconomica per cui non si investe più per risanare l’economia reale, quella delle imprese che producono beni e servizi, ma si alimenta il drago invisibile dell’economia virtuale, quella dei mercati, dei flussi di denaro che si muovono dietro lo schermo di un pc.
La profezia di Sankara
Infine la Bifarini ha voluto citare la figura di Thomas Sankara, storico presidente del Burkina Faso tra il 1983 e il 1987. Egli denunciò e combatté l’inganno del debito, visto come una sorta di neocolonialismo nei confronti dell’Africa, e per questo fu assassinato dal suo vice, con la presunta complicità di alcuni tra i maggiori Stati occidentali. Secondo Sankara – ha detto l’economista – “le masse popolari europee non sono contro le masse popolari africane, ma gli stessi che vogliono depredare l’Europa sono quelli che hanno sfruttato l’Africa”. Pertanto il nemico – ha concluso la Bifarini – è lo comune a tutti i popoli: “l’elite neoliberista che specula sulla miseria e trae profitto dall’immigrazione di massa e dalla globalizzazione della povertà”.