da Il Corriere del Sud 10 Aprile 2019
di Andrea Bartelloni
Dopo mesi di silenzio torna alla ribalta il caos libico. Non sono servite le conferenze internazionali, le risoluzioni delle Nazioni Unite, le tribù che si fronteggiano pensano solamente alla conquista del potere che al momento sembra un ballottaggio tra le truppe di Khalifa Haftar, a capo del governo della Cirenaica, che stanno marciando verso Tripoli e quelle del primo ministro Fayez al Serraj a capo del governo libico con sede a Tripoli e riconosciuto dalla comunità internazionale.
Ne parliamo con Alexandre Del Valle, politologo e giornalista francese di origini italiane autore di numerosi saggi tra i quali Comprendere il caos siriano (D’Ettoris editori, 2017) e il recentissimo Il complesso occidentale. Piccolo trattato di de-colpevolizzazione (Paesi edizioni, 2019) e che sarà in Italia per un giro di conferenze (Roma e Milano).
Il mondo occidentale sembra stare a guardare questa guerra combattuta alle sue porte, è proprio vero?
L’Italia sta col governo dell’ovest, di Tripoli con rapporti pragmaticamente abbastanza buoni per bloccare i flussi migratori dei clandestini; mentre la Francia, in funzione anti italiana, sta col generale Haftar nell’est e lo sta armando. Il generale Haftar, nazionalista, è aiutato dagli Emirati, dall’Egitto e anche dalla Russia. L’Onu appoggia il governo di Serraj di Tripoli e l’Italia mantiene buoni rapporti per bloccare i flussi migratori.
C’è una grande rivalità internazionale fra questi attori e una rivalità tra islamisti dell’ovest e anti islamisti, nazionalisti all’est. Invece della rivalità sciiti sunniti che manca in questo teatro, c’è una rivalità tra nazionalisti appoggiati dai Russi e armati dagli Emirati e dall’Egitto e, dall’altro lato, l’Onu che assieme alla Turchia appoggiano Tripoli.
Quello che sappiamo è che il generale Haftar controlla i principali pozzi di petrolio che ha conquistato in questo ultimo anno e ha bisogno di controllare anche la capitale per commercializzare il petrolio dei pozzi. Chi non controlla la capitale riconosciuta internazionalmente non può commercializzare facilmente petrolio e gas.
Gli Stati Uniti come si pongono in questa vicenda politico-militare?
Gli americani hanno preoccupazioni diverse e delegano alla Francia, all’Inghilterra e all’Italia il controllo di queste zone. Sono gli attori regionali come gli Emirati, vicini all’America e alla Francia, che hanno una grande forza militare anche superiore a quella Saudita e del Qatar, assieme all’ Egitto si sono impegnati contro i Fratelli musulmani e il loro scopo è quello di bloccare le forze pro Fratelli musulmani che si sono schierate a fianco del governo di Tripoli e delle milizie di Misurata.
La situazione libica appare piuttosto complessa simile a quella siriana ma con parti apparentemente invertite con il nostro paese dalla parte degli islamisti…
Il governo italiano è pragmatico, sta con chi controlla i flussi migratori o lo aiuta a farlo, la Francia è molto vicina agli Emirati Arabi. Mentre François Hollande era l’uomo dei sauditi, Sarkozy era l’uomo del Qatar, il presidente francese attuale è piuttosto l’uomo degli emirati. Adesso attorno a Tripoli e alle milizie di Misurata ci sono forze radicali, anche del Daesh e di Al-Qaeda che stanno aumentando e sono rinforzate dai jiadisti che fuggono dalla Siria e dall’Iraq. La Libia sta recuperando i flussi dei jiadisti dal vicino oriente e questo è un problema.
C’è in tutto questo un collegamento col nostro passato coloniale, una paura di essere accusati di neo-colonialismo?
Questo è un argomento importante perché molti intellettuali africani si appoggiano a questi sensi di colpa dell’Occidente. Ma questo adesso non vale più, la decolonizzazione è stata fatta e alcuni paesi non sono stati né colonizzati né colonizzatori ma si comportano allo stesso modo. Ad esempio gli Emirati non hanno mai colonizzato l’Africa e viceversa, Yemen e Marocco sono paesi che non hanno la stessa storia della Libia o l’Algeria. Gli Stati Uniti erano una colonia. La Turchia non è stata colonizzata dall’Europa, anzi è stata la Turchia a colonizzare l’Europa per secoli e si comporta in modo imperialista nell’Africa del nord e nel vicino oriente bombardando i Curdi, volendo annettersi un pezzo di Siria e di Iraq, sostenendo i Fratelli musulmani in Libia.
L’argomento della colonizzazione non vale più e sono nozioni sorpassate, la realtà attuale è diversa. Dobbiamo toglierci di dosso il senso di colpa che ci impedisce di avere un’analisi geopolitica. Altro aspetto: i leader africani da molti anni sono indipendenti, possono fare ciò che vogliono, sono corrotti, hanno affamato i loro popoli e questo non per colpa nostra. Non è colpa nostra se questi dittatori hanno sfruttato le risorse senza condividerle facendo arricchire solamente le proprie famiglie. L’Europa ha volte fa degli errori, ma, ad esempio, la Francia era contraria all’intervento in Iraq nel 2003, ma se un europeo o un americano fa un errore geopolitico questo non è riferibile a tutti gli uomini bianchi o a tutti gli europei.
La grande assurdità dell’analisi geopolitica fondata sul senso di colpa post-coloniale è di mettere tutti i paesi europei sullo stesso livello come se ci fosse un’omogeneità totale. I francesi hanno fatto la colonizzazione, la tratta degli schiavi con i neri nei Caraibi, però, nello stesso momento altri bianchi, europei e cristiani, è quello che spiego nel mio ultimo libro, erano vittime della schiavitù. Ad esempio gli slavi. La parola slavo viene da schiavo. I balcani, i russi, gli ucraini erano riserve di schiavi per l’impero tartaro e per i turchi.
Tutti siamo stati lo schiavo o il sottomesso di qualcun altro, è stupidissimo accusare tutti gli europei di ciò che fanno alcuni e inoltre accusare i discendenti delle colpe dei predecessori. È totalmente contrario ai diritti dell’uomo e anche al diritto e alla giurisprudenza delle democrazie. Quello che definisce la democrazia moderna è proprio la responsabilità individuale e non si deve pagare per il passato o per gli antenati, altrimenti si torna alla morale di tribù.
Il suo ultimo lavoro Il complesso occidentale è un testo teso alla de-colpevolizzazione dell’occidente?
Certo è proprio il sottotitolo: piccolo trattato di de colpevolizzazione che rende bene la mia idea che nessuna politica si può fare col senso di colpa e il nostro peggior nemico non è il terrorismo islamico o la concorrenza industriale cinese, ma l’odio di sé stesso, dell’uomo bianco europeo che si odia come per espiare i peccati passati. Si sente talmente colpevole e pensa di doversi far perdonare il passato scomparendo, rinunciando ad una politica identitaria.
Accettando tutte le imposizioni e soprattutto l’immigrazione. — Se l’uomo bianco non fosse suicida farebbe venire immigrati dall’Europa dell’est, i figli di europei dall’America latina, molti italiani che vorrebbero tornare ma non possono. Privilegiare gli africani cristiani e non i musulmani, magari gli indiani induisti che fuori dal proprio paese non provano a far convertire nessuno. Il solo fatto che si privilegi un’immigrazione maggioritariamente islamica è quasi la prova che ci odiamo e vogliamo sparire.
Il peggior nemico dell’Europa è il suo senso di colpa che per farsi perdonare la colonizzazione passata accetta di essere colonizzato oggi addirittura organizzando la propria auto colonizzazione. Per uno psichiatra sarebbe affascinante da studiare, siamo nella malattia collettiva, il senso di colpa collettivo è una patologia sociale che ritiene che l’unico modo peri espiare i propri peccati imperdonabili sarebbe suicidarsi. Ne parlo alla fine del mio libro: è come l’uomo depresso che quando sembra che stia meglio è il momento precedente al suicidio. Quando decide di uccidersi ritrova una certa coerenza. L’uomo bianco sta attraversando una fase di suicidio paragonabile a quella del depresso grave.
Vediamo un barlume di speranza?
Un messaggio di speranza c’è, ma al 50%. Da quando c’è Trump in America o Salvini in Italia o altri come Kurz in Austria, sembra che il politicamente corretto cominci a declinare, la parola comincia a liberarsi, alcune cose si possono dire. La sinistra non domina più al 90%, magari solo al 60. Dall’altra parte il fatto che solamente persone molto controverse, a volte volgari, di basso rilievo intellettuale, considerati come provocatori, il fatto che siano gli unici che osano sfidare il politicamente corretto sminuisce la loro opera.
Anche le persone più tranquille dovrebbero farlo. In passato anche i più moderati non erano politicamente corretti, un secolo fa nessuno lo era, tutti erano patrioti, anche le persone più bilanciate.
Quindi siamo solo ad un piccolo inizio però non dobbiamo lasciare solamente ai populisti più radicali il monopolio del politicamente scorretto, dovrebbe anche svilupparsi una filosofia politicamente scorretta, una geopolitica politicamente scorretta, ragionevole, ma decolpevolizzata.