di G. Samek Lodovici e Luigi Mariani
E’ stato rilanciato in questi giorni il Manifesto animalista promosso da Michela Brambilla, attuale ministro del Turismo, e Umberto Veronesi. Il manifesto, che si chiama «La coscienza degli animali», afferma che «Chi rispetta la Vita deve rispettarne ogni forma. Chi è crudele con gli animali lo è anche con gli esseri umani».
E ancora: «Gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti», cosicché «Il primo diritto degli animali è il diritto alla vita». La Brambilla e Veronesi sono inoltre vegetariani e, per l’oncologo più famoso d’Italia, «Dobbiamo cominciare a trasferire i principi etici […] non far soffrire, non essere violenti e non uccidere […] anche al mondo animale».
Il Manifesto e le dichiarazioni che lo accompagnano spingono a domandarsi quale sia la differenza tra uomo e animale. Abbiamo perciò chiesto a un filosofo e ad un esperto di zootecnia e agricoltura di chiarire questi aspetti.
Se il pollo vale più dell’embrione
di Giacomo Samek Lodovici
Michela Brambilla, Umberto Veronesi, Dacia Maraini, Margherita Hack e Maurizio Costanzo: sono solo alcuni dei nomi altisonanti che hanno promosso il manifesto «La coscienza degli animali», che afferma che «Chi rispetta la Vita deve rispettarne ogni forma. Chi è crudele con gli animali lo è anche con gli esseri umani».
E ancora: «Gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti», cosicché «Il primo diritto degli animali è il diritto alla vita». La Brambilla e Veronesi sono inoltre vegetariani e, per l’oncologo più famoso d’Italia, «Dobbiamo cominciare a trasferire i principi etici […] non far soffrire, non essere violenti e non uccidere […] anche al mondo animale».
Ora, sia chiaro: l’uomo non è il proprietario della creazione, bensì ne è l’amministratore, deve dunque prendersene cura, non deve devastarlo, deve rendere conto all’Autore del mondo. Ma questo non toglie che ne possa fare un giusto uso. Perciò, si può legittimamente discutere sul dolore inutilmente inflitto agli animali (e su cosa sia inutile si potrebbero fare molte disquisizioni opinabili), ma di sicuro è ineccepibile cibarsi di animali.
Uno dei più importanti antesignani di Brambilla & co è il filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), secondo cui tra l’uomo e l’animale non sussiste una differenza qualitativa, perché – per questo filosofo inglese – il requisito che può tracciare dei confini tra i viventi non è la razionalità, ma la capacità di provare dolore. Per Bentham, tra l’uomo e l’animale non c’è una distinzione qualitativa, bensì solo di grado. Così, dice Bentham, «c’è stato un giorno […] in cui la maggior parte delle specie umane, sotto il nome di schiavi, veniva trattata dalla legge esattamente come lo sono ancora oggi […] le razze inferiori degli animali», ma «può arrivare il giorno in cui il resto degli animali del creato potrà accampare quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mezzo della tirannia».
Si dirà che per Brambilla e Veronesi la differenza tra l’uomo e gli animali è anche qualitativa; ma, allora, il trattamento riservato all’uomo dev’essere enormemente diverso da quello verso gli animali: sono d’accordo Brambilla e Veronesi? In realtà, nelle loro dichiarazioni tale differenza tende a sfumare, quando essi affermano che gli animali hanno consapevolezza e coscienza. Ora, non vogliamo qui stare a fare (o chiedere loro) una definizione di questi termini. Il punto essenziale che va chiarito e tenuto fermo è il seguente: se negli animali superiori si trova una qualche forma di “intelligenza”, nondimeno essa è qualitativamente inferiore a quella umana.
Lo rileva già in modo magistrale Aristotele, nel primo libro della Politica. Infatti (rimando per approfondimenti al mio articolo Uomo e animale: così diversi…, «il Timone», 99 [2011],), l’animale si accorge solo di alcune cose, cioè solo di quelle utili/dannose, piacevoli/dolorose, pericolose/vantaggiose e le altre cose del mondo non le percepisce; per contro, l’uomo si accorge di tutte le cose e non solo di quelle che gli possono essere utili/nocive e si interroga non solo sull’utilità/nocività, ecc. delle cose, ma anche sulla loro natura, cioè si chiede: «che cos’è questa cosa?», perché vuole conoscerla anche a prescindere dalla sua eventuale utilità/dannosità, vuole conoscere anche la verità sulle cose, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto.
Inoltre, come ha scritto il filosofo Paolo Pagani, una cosa è usare oppure adattare qualcosa per farne uno strumento, come fanno sia l’uomo sia gli animali; un’altra è fabbricare strumenti, come fa solo l’uomo. È vero che nel 2000 una scimmia è stata indotta, grazie ad un lungo addestramento, a scheggiare delle pietre, ma ciò non costituisce una smentita della differenza qualitativa tra l’uomo e l’animale, bensì è un mero esempio di comportamento imitativo.
Potremmo proseguire a lungo sulla differenza qualitativa uomo-animale: dovremmo parlare di vari altri aspetti peculiari dell’uomo, come la libertà, la capacità di amare (ben diversa dalla cura animale, cfr. il mio articolo che ho già citato), il senso estetico, il senso etico, ecc.
Qui possiamo solo aggiungere che, a ben vedere, Bentham pare più conscio di una cosa che Brambilla e Veronesi non evidenziano. L’uccisione che gli animali ricevono dall’uomo di solito è meno dolorosa di quella che generalmente li coglie in mezzo agli altri animali: «La morte che ricevono da noi comunemente è, e può essere, una morte più veloce, e per questo meno dolorosa, di quella che li aspetterebbe nell’inevitabile corso della natura».
Inoltre, se la Brambilla è davvero convinta della differenza qualitativa tra l’uomo e l’animale, perché non si batte, e molto più energicamente, per la protezione degli esseri umani? Qualora per lei gli esseri umani allo stadio di embrione non fossero persone, si batta – e molto più energicamente che per gli animali – per i poveri, per gli sfruttati, per i derelitti, per gli handicappati, ecc. Se si dedicasse a questa causa, distogliendo per questo motivo parte delle sue energie e del suo tempo dalla promozione del turismo (alla cui tutela è designata Ministro della Repubblica), la elogeremmo volentieri.
Infine, un commento alla dichiarazione di Margherita Hack: «La scuola porti i bambini a vedere gli allevamenti intensivi, a sentire le urla strazianti dei vitellini o dei maialini, a verificare come un pollo cresce in gabbie in cui lo spazio per muoversi è pari a due terzi di un foglio A4». Ebbene, ci stiamo, ma ad un patto. Che la scuola italiana faccia anche vedere a tutti gli studenti il filmato “l’urlo silenzioso” (o qualcosa di analogo) in cui si vede, con gli ultrasuoni, un concepito d’uomo cercare di sfuggire, di divincolarsi, di scampare agli strumenti di un chirurgo che pratica un aborto e che lo ghermisce, lo dilania, e lo smembra. Ammesso e non concesso (ma non possiamo qui argomentare al riguardo) che l’embrione non sia persona, vale forse meno di un pollo?
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Diritto alla vita: anche dei topi in casa?
di Luigi Mariani
Sollecitato da un amico ho visitato il sito “La Coscienza degli Animali” nato “dalla volontà di Michela Vittoria Brambilla e Umberto Veronesi, di dare voce a chi voce non ha e di contribuire in maniera significativa alla creazione in Italia di una nuova cultura di amore e tutela degli animali e di rispetto dei loro diritti.” Nel sito si invita a sottoscrivere il “manifesto dei diritti degli animali” nel quale sono presenti molte cose a mio avviso condivisibili assieme ad altre che giudico quanto meno eccepibili.
Cominciamo dalle prime osservando che non posso non condividere il ripudio della violenza gratuita sugli animali. Ciò perché ho da sempre fatto mio il motto “Chi non vuol bene alle bestie non vuol bene neppure ai cristiani” che è ben radicato nella cultura popolare delle nostre terre.
Non vorrei tuttavia cadere in una sorta di “nazismo verde” in cui la sensibilità verso gli animali venga prima di quella verso gli umani. Da questo punto di vista esprimo perplessità circa l’affermazione del “diritto alla vita” per gli animali che si fa nel manifesto. Potrà sembrare banale ma viene anzitutto spontaneo chiedere “quali animali?”.
Nello specifico mi domando infatti se chi ha sottoscritto il manifesto sarebbe del parere di garantire il diritto alla vita, e nella propria casa, a topi o scarafaggi o zanzare o formiche ovvero se sarebbe disponibile a lasciare orsi, lupi e serpenti a scorrazzare in aree frequentate dai propri bambini, in nome del fatto che, per dirla con il manifesto, “gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti”. In altri termini, mi domando se il diritto alla vita degli animali debba venire prima o dopo il diritto alla vita per gli umani, cosa che nel manifesto non viene ahimè mai specificata.
Da questo punto di vista (lasciando per un attimo da parte temi eticamente cruciali come quelli dell’eutanasia e dell’aborto, non chiamati direttamente in causa nel manifesto) non si può dimenticare che nelle aree meno fortunate del mondo un numero rilevante di nostri simili deve il proprio sostentamento quotidiano ai prodotti dell’allevamento brado o confinato di capre, pecore, bovini o animali da cortile. Non scordiamoci infatti che l’alimentazione del genere umano si fonda oggi sulla produzione che proviene da 1.4 miliardi di ettari di arativi e da ben 2.3 miliardi di ettari di pascoli che non sono in alcun modo sfruttabili se non con l’allevamento. Amo allora pensare che il “pastore errante per l’Asia” sia un nostro fratello e non un crudele seviziatore di animali.
Vedete, su questi temi non mi aspetto molto da questo Paese perché – questo non dobbiamo mai dimenticarlo – l’Italia è l’unica Nazione al mondo ad aver partorito e messo in pratica la bizzarra idea di abolire tramite referendum il Ministero dell’Agricoltura. Fu una cantonata surreale cui furono poi costretti a mettere una pezza i nostri politici che, non sapendo a chi affidare le competenze agricole imposteci anche dai trattati internazionali, si inventarono strutture con analoghi fini e con nomi funambolici come “Ministero per il coordinamento delle politiche agricole e forestali”.
Non possiamo tuttavia trascurare, per il pulpito da cui provengono, le parole (sempre citate nel sito di cui sopra) dell’On. Brambilla la quale dichiara: “Sono vegetariana ma non posso né voglio imporre a nessuno la mia scelta etica. Chi mangia carne deve però essere consapevole, deve sapere in quali terribili condizioni sono allevati, trasportati ed uccisi gli animali di cui si nutre. E deve conoscere quali livelli di sofferenze ed atrocità si nascondano dietro il cibo che quotidianamente consuma”. E dato che una tale dichiarazione viene da un autorevole esponente del nostro governo, non vorrei che ciò preludesse a qualche iniziativa abolizionista concreta. Su tale fronte, se non ci frenasse il senso del ridicolo, spero che almeno un freno venga dalle seguenti e più concrete considerazioni:
1. La carne ed i prodotti lattiero caseari sono fonte di proteine di alta qualità per l’alimentazione umana ed in tal senso si rivelano fondamentali azioni di educazione alimentare che evidenzino i pregi della carne evidenziando altresì i problemi derivanti dal suo eccesso nelle diete.
2. Nel suo complesso la specie umana ha vissuto di caccia e raccolta fino a ieri l’altro. Nello specifico le popolazioni europee discendono in gran parte (l’80% del DNA maschile e l’87% di quello femminile) dai popoli di cacciatori-raccoglitori paleolitici già presenti sul continente nel corso dell’ultima glaciazione. Da ciò discende che la caccia è volenti o nolenti un’eredità culturale e non solo un atto di ferocia gratuita, un’eredità che può trovare ancor ora giustificazione se considerata in un contesto di riduzione selettiva di popolazioni di selvatici che risultino in eccesso rispetto alla capacità portante dell’ecosistema.
3. La domesticazione degli animali (cane in primis e poi bovini, suini, ovi-caprini, avi-cunicoli, ecc.) è stato uno degli eventi cruciali di quella rivoluzione neolitica che è alla base della nostra civiltà attuale.
4. All’incremento nel consumo mondiale di carne fa oggi riscontro una “rivoluzione zootecnica” che mira a razionalizzare il settore tramite massicce innovazioni sia a livello di genetica (es: specie e razze con più elevata efficienza nella conversione degli alimenti in carne e latte) sia di tecniche di allevamento.
5.La zootecnia è l’unico settore in grado di sfruttare non solo le aree marginali non utilizzabili per l’agricoltura intensiva (pascoli montani, steppe) ma anche quell’enorme mole di sottoprodotti del settore agricolo-alimentare che altrimenti non troverebbero impiego.
6.Fra le più rilevanti voci dell’export agro-alimentare italiano vi sono due prodotti di origine zootecnica (il prosciutto crudo e il formaggio grana).
E’ per questo insieme di elementi che è oggi necessario affrontare il tema dell’allevamento animale valutando in modo complessivo gli interessi culturali, economici ed umani che ad esso sono sottesi
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