Littarae Communionis Anno VI – Maggio 1979
Una lezione storica dall’età moderna
L’età moderna, con la dissoluzione dell’unità religiosa e culturale dell’Europa cristiana, vede ogni popolo, ogni Stato rivendicare un destino diverso e contrapposto a quello degli altri. Per parlare oggi con verità di unità europea, occorre tenerne conto
Massimo Roncoroni
Se la pubblicistica riguardante il problema dell’unità europea fosse più profonda ed attenta agli aspetti storici e culturali, si accorgerebbe che, a giudizio quasi unanime degli storici delle più diverse tendenze e provenienze, l’unica esperienza di unità europea non diplomatica e di vertice ma di popoli e di base che si sia concretamente e storicamente attuata, si è realizzata nel Medio Evo.
E questo non sul piano di nostalgie anacronistiche e di fantasticherie romantiche, ma su quello di una ricerca storica rigorosa ed oggettiva. L’epoca medioevale infatti, al di là del mito e con tutti i suoi limiti, si contraddistingue per aver visto dall’inizio alla fine il costituirsi di una civiltà europea di popoli in cui l’elemento germanico e romano trovò la propria identità e la propria unità culturale e politica nel comune fondamento ecclesiale cristiano-cattolico.
Unità non monotonamente uniforme ma sinfonicamente ricca di tutte le differenze e di tutti i contrasti e tale da valorizzare ogni esperienza particolare all’interno dell’orizzonte universale fondato sui solidi piloni della Chiesa e dell’Impero.
Ora, se tale fu il carattere dell’epoca medioevale, esattamente l’opposto fu quello dell’epoca moderna. L’età moderna è infatti l’età della dissoluzione e della dissociazione dell’unità culturale religiosa e politica dell’Europa cristiana, nella quale ogni popolo, ogni stato, ogni nazione sembra voler rivendicare un destino diverso, indipendente e contrapposto a quello degli altri. Non per nulla l’età moderna è l’età delle guerre di religione fra i popoli, gli stati e le nazioni europee.
Ora, le ragioni di tale lacerazione del tessuto unitario europeo sono tante quante le caratteristiche strutturali della storia dell’Europa moderna e precisamente:
a. sul piano geografico, la scoperta di nuove terre e di nuovi spazi,
b. sul piano economico, la rivoluzione dei prezzi e l’avvio di una economia in cui non il lavoro e la terra erano fonti della ricchezza ma il possesso del denaro, in sintesi la nascita del sistema economico capitalistico.
c. sul piano sociale, l’aumento di distanza e di differenza tra le classi e l’ascesa della «gente dedita ai subiti guadagni» (Dante), in sintesi la borghesia commerciale.
d. sul piano giuridico, l’assorbimento della pluralità di fonti e di ordinamenti giuridici tipici del Mdio Evo, nell’unico diritto positivo, ossia nella legge intesa come espressione di «ciò che pare e piace al principe» e garantita esclusivamente dalla forza dello Stato.
e. sul piano culturale, l’affermarsi di una concezione laicista, secolarista, pragmatista, utilitarista, scientista della vita poggiata sul primato teorico ed operativo delle scienze fisico-matematiche sulla filosofia e sulla religione.
f. sul piano religioso, l’affermarsi nell’Europa del centro-nord della rivoluzione protestante.
g. sul piano politico, l’emergere dello Stato assoluto particolare monarchico e nazionale a spese dell’universalismo politico medioevale-imperiale.
Questi fattori concorrono alla dissoluzione del modo di vivere e di pensare unitario dei popoli europei. Tuttavia due tra questi vanno focalizzati in modo determinato in ordine al problema Europa: da una parte il fenomeno del protestantesimo che segna la fine dell’unità religiosa e culturale derivante dal comune riconoscersi dei popoli europei come appartenenti alla comunità ecclesiale cattolica, dall’altra la nascita delle monarchie nazionali assolute che segna la fine dell’unità politica derivante dal comune riconoscersi dei popoli europei come appartenenti alla comunità politica dell’Impero Sacro e Romano.
Per quanto concerne la riforma protestante, essa manifestò la sua funzione lacerante nei seguenti momenti:
1. Nel suo essere un movimento che, sebbene iniziato con un programma di riforma della chiesa e della cristianità, di ritorno alla forma vera di esse, si è di fatto concluso con un totale sovvertimento e della chiesa e della cristianità, la quale venne letteralmente scissa dalla chiesa intesa come luogo della presenza storica di Cristo nel mondo per l’uomo.
In sintesi la funzione lacerante del protestantesimo sta anzitutto nel suo esser stata una rivoluzione e non una riforma della chiesa, quale sarà invece la riforma cattolica culminante nel Concilio di Trento.
2. Nel suo produrre, conseguentemente alla sua essenza rivoluzionaria, la negazione del valore universale e necessario, della autorità della chiesa docente. Negazione che generò la divisione e la contrapposizione tra una chiesa spirituale e mistica dei veri fedeli, dei veri salvati, dei veri cristiani (la chiesa nazionale tedesca) e una chiesa visibile e gerarchica, specchio deformante della prima, impastoiata a livello economico e mondanizzata a livello politico (la chiesa cattolica romana).
Divisione e contrapposizione che provocò l’eclisse della figura del papa come punto di riferimento oggettivo, in quanto vicario di Cristo, della unità religiosa dei popoli dell’Europa cristiana. In tal senso la chiesa venne ridotta da realtà totale in quanto salvata da Cristo a comunità particolare e privilegiata di salvati, ossia venne ridotta da cattolica a settaria.
3. Nel suo configurarsi infine come una sorta di misticismo eterodosso sfociante in una religiosità individualistica, fideistica, privatistica e sentimentale che risolve il senso dell’esperienza religiosa nell’intimo ed imperscrutabile contatto diretto del singolo con Dio, eliminando qualsiasi mediazione storica ecclesiale e dissolvendo ogni aspetto sociale e popolare della fede.
Il protestantesimo non segna quindi solo la fine dell’unità religiosa europea, ma segna pure la fine, almeno nell’Europa del centro nord, di una incidenza positiva sul piano della concreta civiltà storica.
Non a caso il luteranesimo liberando la fede dalla storia, la liberò sì dal potere tenebroso ed onnivoro della curia romana, ma finì per consegnarla al potere assoluto dei principi tedeschi, presi come garanti dell’esistenza delle singole confessioni nazionali, fornendo così la pretestuosa giustificazione teologica al consolidarsi dello stato assoluto moderno. Fatto che si tradusse nel principio giuridico, sancito dalla pace di Augsburg, (1555) del «cuius regio eius et religio» per il quale i sudditi furono costretti a praticare la religione del principe o ad abbandonarne le terre.
Entrava così in vigore un nuovo principio giuridico, base del nuovo diritto pubblico europeo che consacrava il primato della politica sulla religione; principio giuridico che, dal punto di vista storico, diede vita alla sanguinosa guerra dei Trent’anni che segnò, con il trattato di Westfalia, il riconoscimento di (1648) una cristianità divisa e di un impero indebolito, in sintesi di un’Europa dissolta. Primato dunque della politica sulla religione, dello stato sulla chiesa, uno degli esiti storici questo del protestantesimo che introduce l’altro polo dissolutivo, questa volta politico dell’unità dei popoli d’Europa, costituito dall’emergere e dal consolidarsi delle varie monarchie nazionali strutturate secondo il modello dello stato assoluto.
Fenomeno questo che, sebbene abbia avuto il suo culmine nella Spagna e nella Francia del 5-600, ha riguardato tutti gli stati d’Europa e sulla cui vicenda ha avuto importanza decisiva la tragica sequela di guerre religiose successive alla rivoluzione luterana.
In tale frangente infatti, una monarchia di tipo assoluto sembrò il rimedio inevitabile al caos per garantire, almeno formalmente, la pace e l’ordine di tutti i paesi europei, costasse pure la riduzione dei cittadini a sudditi, degli uomini a cose. Ora il sistema dello stato assoluto è imperniato su due cardini che sono:
1. il concetto di sovranità del principe avente come caratteristica di essere una forma di potere assoluta, non soggetta ad alcuna autorità superiore, indivisibile, non partecipabile ad altri, inalienabile, della quale il sovrano non può venir in nessun modo privato né dal papa né dai sudditi. Fatto che lo pone come l’unico che sia svincolato, sciolto dalle leggi che egli stesso emana secondo il suo beneplacito.
2. Il concetto di sudditanza inteso come pura obbedienza passiva da parte del popolo al volere del principe senza diritto né di ribellione, né di obiezione né di critica, poiché non ciò che è giusto o ingiusto obiettivamente ha valore e vigore di legge, ma ciò che pare e piace al principe.
Dal punto di vista storico è agevole notare come tale stato nasca dalla dissoluzione della società medioevale che era una società nella quale l’universalismo politico e religioso di fondo si conciliava con il più ricco pluralismo economico, sociale e giuridico. Pluralismo che lo stato assoluto elimina introducendosi nelle autonomie medioevali e svuotandole dall’interno, controllando prima e nominando poi i capi delle corporazioni delle arti e dei mestieri, approvando prima ed imponendo poi i capi dei comuni, affiancando prima e sostituendo poi i propri funzionari ai funzionari signorili.
Nei paesi non più cattolici tale opera di eliminazione delle autonomie e di assorbimento nello stato ha inoltre come variante la lotta per la eliminazione della chiesa cattolica e per il suo assorbimento nelle chiese nazionali statalizzate.
E’ importante sottolineare come, in tale processo, venga soppiantato dal nuovo concetto di sovranità il concetto medioevale di partecipazione organica dei corpi dello stato all’esercizio del potere inteso come servizio della società politica alla società civile; potere che solo da tale partecipazione e da tale finalizzazione trae la propria legittimità.
Nello stato assoluto invece tutte le funzioni e tutti gli organi di governo sono visti come emanazione dell’autorità sovrana per la quale si realizza il bene supremo: quello dello stato. Autorità sovrana che si irradia dal centro alla periferia secondo una struttura rigidamente gerarchica e verticistica, esattamente il contrario di quella della società medioevale.
E’ evidente che in tale situazione storica di prevalenza assoluta dello stato sulla società civile, il rapporto principe-popolo si configura come rapporto di fine a mezzo (nel migliore dei casi, ossia nell’assolutismo illuminato del Settecento, come rapporto di maggiorenne a minorenne) ove il popolo non è più costituito dall’insieme dei cittadini o delle genti, ma è ridotto ad una massa caotica di sudditi.
In tal senso l’Europa, persa l’unità religiosa, sul piano politico, lungi dall’essere un insieme di popoli diversi eppure uniti, si presenta come un insieme di sudditi identici eppur divisi e contrapposti, strumenti della politica di potenza dei loro rispettivi sovrani per i quali l’Europa altro non è se non una questione tattico-strategica di equilibri economici, politici e militari.
Se oggi ha senso parlare con verità di unità europea occorrerà tenere nel dovuto conto tale lezione storica.