C’è un filone «agostiniano» nel bestseller di Ratzinger: quello del rapporto tra fede e ragione – Parla il filosofo Giovanni Reale «Molti agnostici hanno parlato di Cristo, ma sono caduti nell’errore di porlo sul piano dei grandi pensatori. Il suo ritratto perfetto sono le Beatitudini»
di Paolo Viana
Ratzinger dichiara che il libro vuole «favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con Lui». È possibile leggere «Gesù di Nazaret» se non si crede?
«Effettivamente, c’è una condizione necessaria per leggerlo e intenderlo: avere la fede o essere in cerca di essa. Come dice Heidegger, soltanto un uomo religioso può comprendere la vita religiosa, altrimenti non dispone di alcun dato genuino. E soggiunge: giù le mani per colui che non si sente sul giusto terreno. Noi potremmo dire: giù le mani dal Gesù di Nazaret di Benedetto XVI per colui che non si sente nel giusto terreno. A chi non possiede la fede Cristo non lo può spiegare nessuno, neppure il Pontefice. Se uno non ha almeno un anelito alla fede lo interpreta in chiave mitologica, politica, sociologica, eccetera. Parlare a costoro di Cristo è come parlare a un cieco della luce e dei colori».
Qual è l’idea motrice dell’opera?
«La troviamo nel Salmo 27: “Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto”. Ho l’impressione che corrisponda a una domanda che Ratzinger si è sentito porre: Joseph, chi pensi che io sia? Molti hanno parlato di Cristo senza credere, ma sono caduti nell’errore ermeneutico di porre Gesù sul piano dei grandi pensatori. L’ha fatto Jaspers, ponendolo accanto a Socrate, Buddha e Confucio. La risposta di Ratzinger, invece, è stupenda: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. È la risposta di Pietro e, leggendola, mi sono commosso».
Che idea di fede permea il libro del Papa?
«Che credere in Cristo è credere nel Regno di Dio in persona. Questo vuol dire essere cristiano, oggi come duemila anni fa. Rileggiamo Il sale della terra, sempre di Ratzinger: “La sostanza di questa fede è che riconosciamo Cristo figlio di Dio vivente, incarnato e divenuto uomo, e per mezzo suo crediamo nella Trinità”. In Deus caritas est, poi, scrive che la fede è una decisione che riguarda l’intera struttura della vita e ha a che fare con la parte più profonda di ognuno di noi: “Se l’uomo comincia a guardare a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri, e allora un po’ di ciò che deve venire è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione”».
Se l’«eschaton» è anche di questo mondo, dev’essere comprensibile anche per la ragione e non solo per la fede.
«È l’architrave dell’opera di Ratzinger ed è una convinzione agostiniana. Mi sono accorto che il Papa ama molto Giovanni e io sto traducendo il commentario di Agostino a quel Vangelo: vi si trovano delle frasi che sono assolutamente in sintonia con il pensiero del Pontefice: “Il profeta Isaia disse: se non crederete non capirete. Per mezzo della fede – scrive Agostino – ci uniamo a Lui, per mezzo dell’intelligenza veniamo vivificati”. E ancora: “Abbiamo creduto per poter conoscere. Se avessimo voluto conoscere prima di credere non saremmo riusciti né a capire né a credere”. Infine: “Vuoi capire? Credi”. Parole di Agostino, concetti di Ratzinger. Del resto, Benedetto XVI aveva già dato ragione a Barth nel rifiutare la filosofia come fondamento della fede indipendentemente da quest’ultima».
Il rapporto tra fede e ragione in Ratzinger è sempre stato centrale, come in Agostino. Ma qual è il punto esatto in cui la seconda piega il capo?
«Per Ratzinger si potrebbe usare un sillogismo cartesiano: credo dunque sono. Pone il credere al vertice, non toglie la ragione ma l’associa e la subordina alla fede. Tu capisci, se credi. Questo dice il Papa: la fede è una decisione che coinvolge la totalità della vita e quindi non ha solo un valore assiologico, ma ha addirittura una portata ontologica: la tua vita di uomo, se credi davvero, viene cambiata e plasmata. Tu sei in rapporto a ciò in cui credi e in funzione della misura e della forza con cui credi».
Si dice che quest’opera riconcili il metodo storico-critico con l’esegesi biblica. È così?
«Il metodo del Papa richiama spesso quello storico-critico e ammette che è importante ma non sufficiente; se applichi il metodo storico-critico in modo impeccabile ma non credi, esce un Cristo storicamente ricostruito ma dai lineamenti sfuocati. Invece, il libro considera il Gesù storico a partire dalla sua comunione con il Padre, lo comprende, oltre che con i criteri storico-critici, anche con quelli della fede».
Guardiamo al futuro, che in realtà è un po’ presente, perché il Papa sta già scrivendo la seconda parte del libro. Dove ci porterà?
«Questo libro contiene già il nocciolo del sogno di Benedetto XVI: il tentativo di ridare unità ai cristiani. Il minimo comun denominatore c’è: credere che Cristo è il Dio fatto uomo, che si è fatto crocifiggere ed è risorto per redimerci. Le confessioni cristiane possono partire da lì. Visto che tutti ci crediamo, tutti possiamo ripartire da lì».