Sin dai primi secoli la fede cristiana è stata un elemento di rottura in Europa, e al contempo ne è divenuta il fondamento. Il che si ripete ora nella società secolarizzata. Ma resta un fermento di libertà rispetto alle mode e al politicamente corretto.
di Christoph Schönborn
I miei ragionamenti prendono il via da questa domanda: «II cristianesimo è una presenza straniera oppure rappresenta il fondamento dell’Europa?». La mia risposta sarà che il cristianesimo è entrambe le cose! Da un lato, esso rappresenta una delle radici dell’Europa e, fino a un determinato livello, il futuro dell’Europa nel contesto mondiale dipende da esso e rimane consapevole di questo dato di fatto, anche se tale consapevolezza sta diminuendo in maniera allarmante.
Dall’altro lato, il cristianesimo è per molti un elemento estraneo in una società determinata dalla ragione, dall’Illuminismo e dai principi democratici. La mia tesi si basa sul fatto che quest’Europa, e l’intero mondo occidentale, non soprawiverà senza quell’estraneità portata dal cristianesimo. In altre parole, l’Europa può svolgere il suo ruolo nell’ambito delle culture mondiali soltanto se ritiene il cristianesimo, questo corpo estraneo, come parte integrante della sua identità.
Tuttavia, l’Europa non si sta forse congedando dal dibattito delle culture mondiali? Demograficamente, per esempio. Questo dato non è anche legato al fatto che l’Europa è diventata il continente meno religioso del mondo? In proposito vorrei citare due prospettive ebraiche.
Jonathan Sacks, rabbino capo in Gran Bretagna, ritiene che la cultura del consumismo e della “gratificazione istantanea” dei desideri materiali abbia la responsabilità di aver portato al crollo dell’indice di natalità in Europa. «L’Europa sta morendo», ha detto Sacks durante un convegno a Londra nel 2009, perché la sua popolazione è troppo egoista per crescere figli: «Stiamo subendo l’equivalente morale del cambiamento climatico e nessuno ne sta parlando».
Una seconda osservazione di ambito ebraico è fornita da Joseph Weiler, professore di Diritto europeo all’Università di New York ed ebreo ortodosso. Nel meraviglioso libro Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Weiler s’interroga sul perché gli europei siano così intimoriti nel riconoscere l’evidenza che l’Europa ha radici cristiane. Egli parla di una “cristianofobia” europea. E, in aggiunta, vede una correlazione tra questa perdita di memoria e lo sviluppo demografico in Europa.
Potrebbe arrivare un momento, nel prossimo futuro, nel quale la maggior parte della società europea si rivolgerà al cristianesimo dicendo: «Sei un corpo estraneo tra noi. I tuoi valori non sono i nostri. I valori europei non sono gli stessi dei valori cristiani. Tu non ci appartieni!».
E se così fosse? Se questo divenisse realtà? Sarebbe tanto sorprendente? L’ebraismo non ebbe forse la stessa sensazione di estraneità nei confronti degli antichi regni d’Oriente e, più tardi, del cristianesimo? Non si riscontra tale estraneità anche nel cuore della cristianità? «Non conformatevi a questo mondo» (Rm 12,2): così l’apostolo Paolo ammonisce la Chiesa di Roma. I cristiani si sentono come stranieri in questo mondo, disprezzati e rifiutati. Ma accettano quest’estraneità: «La nostra cittadinanza infatti è nei cieli» (Fil 3,20).
Questi “estranei” non sono una setta che taglia se stessa fuori dal resto del mondo. Essi vogliono dare forma al mondo e cambiare i rapporti umani attraverso il cambiamento delle persone. Chiamano questa conversone metanoia e in qualità di “estranei” sono molto impegnati nel costruire una società più umana.
Come si collega tutto questo alle radici cristiane dell’Europa? È fallito il tentativo di riconoscere la tradizione cristiana come elemento di rilievo per l’identità europea nel preambolo alla bozza di Costituzione dell’Unione. Le argomentazioni fornite furono le seguenti: l’Europa è diventata multireligiosa e questo elemento deve emergere nella sua Costituzione. Non solo: la cultura democratica fondata sulla ragione e sull’Illuminismo è stata conquistata dopo un’aspra battaglia contro il cristianesimo.
Entrambe le argomentazioni erano ben fondate. Tuttavia, credo che le conclusioni che ne sono state tratte siano false, poiché questa visione del ruolo del cristianesimo nella storia europea risulta troppo unilaterale e si afferma attraverso la lente di determinati pregiudizi che non tengono conto delle dinamiche interne al cristianesimo stesso.
Credo che per dare giustizia all’argomento sia necessario delineare brevemente le fasi storiche più significative del cristianesimo e dell’Europa. Mi limiterò ai tre grandi periodi del mondo antico, del Medioevo e della modernità.
Un corpo estraneo nell’antichità
«Il cristianesimo emerse in un mondo che era in pace e, nello stesso tempo, in catene durante la cosiddetta pax romana. Nei primi secoli della sua espansione, il cristianesimo affronta una religione politica universale: il culto dell’impero», ha scritto lo studioso Hans Maier. La cultura romana non era contraria ad accogliere religioni estranee, queste ultime non avevano problemi nell’integrarsi con il culto dell’imperatore.
Con un’eccezione: il giudaismo e, sulla stessa scia, il cristianesimo. I soldati che facevano ritorno dalle campagne di guerra portavano con sé nuovi culti, e ad altri culti appartenevano schiavi e liberti. Tutto trovava uno spazio all’interno del pantheon romano. Solamente gli ebrei e i cristiani rifiutavano di diventare una religione in mezzo a tante.
Conseguenza di questa posizione fu un’aspra critica nei loro confronti per l’ostilità mostrata alla società romana. La loro pretesa di essere la vera religione veniva interpretata come segno di arroganza. Entrambe le religioni erano accusate di fomentare un odium humani generis, un astio nei confronti dell’umanità intera.
Il contrasto è forte. Si paleserà politicamente con le persecuzioni. Di nuovo, il martirio è visto quale conferma che il cristianesimo è la vera, religio, la vera philosophia per la quale vale la pena morire. Sanguis martyrum semen christianorum, dice Tertulliano («il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani»). Considerando le persecuzioni e l’ostilità espressa in molti scritti, la rapida diffusione del cristianesimo all’interno del mondo conosciuto e il suo sviluppo come religione di Stato dell’impero romano rappresentano un miracolo.
Veniamo dunque alla domanda: «Come fece il cristianesimo, questo corpo estraneo, a diventare radice per l’Europa?». Tale cambiamento è spesso illustrato attraverso una scena tratta dalla vita dell’apostolo Paolo. Si trova nel capitolo 16 degli Atti degli apostoli. Nel corso del suo secondo viaggio missionario Paolo si trova nella Troade, in Asia Minore.
«Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci! “. Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunciarvi la parola del Signore» (At 16,9-10). In questa maniera il Vangelo per la prima volta arrivò in Europa attraversando Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto e infine Roma, dove Paolo, come Pietro, morì per la sua fede.
Cosa arrivò in Europa? Un’importazione straniera? Un aiuto? Qualcosa che permise all’Europa di diventare ciò che rappresenta oggi? Oppure qualcosa da cui l’Europa dovette emanciparsi dopo il lungo processo d’Illuminismo, un processo che deve continuare ancora oggi affinchè possa liberarsi da autorità estranee?
Ora che questa “emancipazione” sta diventando realtà, si è levato un coro di voci preoccupate, con vari avvertimenti, sulle conseguenze di una possibile scristianizzazione dell’Europa. Dopo un attento esame è possibile trovare molteplici esempi dei frutti di queste radici cristiane. Ne citerò tre:
1. L’uomo è creato a immagine di Dio. Questo è ciò che dice la Bibbia nei suoi capitoli iniziali. Il significato di quest’affermazione non può essere sottostimato e, si spera, merita di essere considerato un valore “europeo” oggi e in futuro. La nozione che l’uomo è creato a immagine di Dio rappresenta la base della dignità umana, la garanzia che tale dignità è incondizionata e universale. Si tratta della condizione indispensabile e necessaria perché questa dignità non possa mai essere tolta all’uomo: né per la cattiva condotta, né per la disabilità, né per le differenze religiose, culturali, etniche o di genere.
Non ho bisogno di spiegare quanto questa visione, erede del patrimonio biblico giudaico-cristiano, sia oggi minacciata. Si trattava di un concetto singolare già al tempo della nascita del cristianesimo. Nella cultura dell’impero romano, l’insegnamento di Gesù e la pratica di visitare i poveri, gli ammalati e i sofferenti, come pure i peccatori in quanto amati in modo speciale da Dio e bisognosi della sua compassione, erano visti come un elemento estraneo e scioccante.
Jacob Burckhardt descrive questo contrasto nel suo libro La storia della cultura greca: «Una persona deforme non è soltanto una disgrazia per la famiglia, come oggi, ma è addirittura un orrore che richiede la pacificazione degli dèi per l’intera città, per la nazione. Queste persone non dovevano essere cresciute. […] Secondo Platone, anche le persone ammalate non dovevano vivere e non dovevano lasciarsi prole alle spalle».
L’unica cosa che il cristianesimo avrebbe potuto offrire in opposizione al dilagare del mondo pagano era una pratica diversa. In uno dei primi documenti cristiani, la Lettera a Diogneto, è descritta questa “società alternativa”: i cristiani non appartengono a una setta che si nasconde, ma offrono un’alternativa che acquisisce significato attraverso la sua autenticità.
2. È essenziale citare un’altra eredità: l’idea che esiste un Creatore e che noi siamo creati a sua immagine va di pari passo con il credo nell’unità della specie umana. Tutte le persone sono, senza eccezione, membri di una sola famiglia umana. La reazione del filosofo Gelso illustra quanto questo concetto fosse straordinario nel mondo antico.
Nella sua polemica contro il cristianesimo, si dice che egli abbia considerato come “linguaggio della ribellione” l’idea che l’umanità fosse una. I Greci e i barbari sullo stesso livello? Anche solo la possibilità appariva uno scandalo ai suoi occhi. Sarebbe stato impensabile per lui concordare con il pensiero di Paolo: «Avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, a immagine del suo Creatore.
Qui non c’è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Cor 3,10-11). Max Horkheimer considerava questo credo nell’unità di tutta l’umanità uno dei più importanti contributi apportati dalla tradizione giudaico-cristiana.
Questa posizione tornerà nuovamente a essere un corpo estraneo in Europa? A giudicare dalla terribile storia dell’ideologia razziale del XIX e XX secolo, sembrerebbe proprio così. Tale concezione è stata completamente superata? Nuovi movimenti xenofobi sono causa di preoccupazione, per quanto sia comprensibile la paura nascente dall’eccessiva immigrazione. «Questa legge di solidarietà umana e di amore» (Pio XII) ci garantisce che, di fronte alla diversità di persone, culture e popoli, tutti gli uomini sono fratelli e sorelle (Catechismo, 361). Ma proprio questa legge che il cristianesimo ha impiantato in Europa come un ideale e una missione sta tornando a essere di nuovo un corpo estraneo?
3. In quanto creato a immagine di Dio, l’uomo possiede il dono che lo rende simile a Dio, ossia la libertà. In confronto agli dèi pagani che, simili agli umani, erano soggetti al fato, l’idea biblica di uomo ha portato con sé la libertà. Se un uomo deve rispondere con amore, un Dio che vuole che l’uomo lo ami con tutto il suo cuore non può volere che sia costretto ad amarlo. Questa è la radice più profonda della libertà religiosa.
La più efficace “invenzione” della religione della Bibbia è la libertà: la possibilità di autodeterminarsi che Dio dona all’uomo. Solo una persona che risponde di se stessa in libertà potrà amare Dio in modo sincero. L’amore bandisce la coercizione. «L’uomo non può credere se non lo desidera», dice Agostino. Nonostante le violazioni di questo prezioso insegnamento in tutta la storia cristiana, esso rimane ancora il principio basilare dei diritti di libertà che hanno fatto grande l’Europa. Paradossalmente, questa visione di libertà è stata ripetutamente messa in discussione fin dal Rinascimento.
Il pensiero deterministico, la contestazione della libertà attraverso alcune ricerche delle neuroscienze, e anche attraverso alcune correnti della filosofia e della psicologia che mettono in discussione la reale libertà dell’uomo, costituiscono una sorprendente ripresa della visione fatalistica propria delle potenze che governarono l’Europa quando il cristianesimo vi arrivò nel I secolo. Perderemo questa libertà se perdiamo le radici cristiane?
Arrivati a questo punto, penso che si leveranno proteste notevoli: non doveva l’uomo moderno conquistare la sua libertà attraverso una lunga e laboriosa battaglia contro il cristianesimo? Ciò che un tempo era la forza delle radici cristiane dell’Europa non rappresentava forse una barriera dogmatica e morale rispetto alla libertà?
II Medioevo: l’età buia dell’Europa?
Potrei menzionare molte altre novità portate in Europa dal cristianesimo, ad esempio la nostra comprensione del tempo, lineare e non circolare, che segna l’inizio della storia; una comprensione del lavoro, come illustrato nel detto ora et labora che sintetizza la regola di Benedetto, non in termini di costrizione servile ma come compimento dell’uomo e sua partecipazione all’opera del Creatore.
Tuttavia il problema non riguarda ciò che percepiamo essere l’ideale del cristianesimo degli inizi, bensì la “cristianità” nella forma assunta dopo la conversione di Costantino, soprattutto con il suo stabilirsi come la religione di Stato durante l’impero di Teodosio nel 380. È precisamente questo cristianesimo il vero problema, con il suo enorme potere, le sue cattedrali, i monasteri e i conventi, con le sue crociate e le persecuzioni degli eretici.
In breve: questo è il “buio” Medioevo da cui fummo salvati grazie alla luce dell’Illuminismo (e, prima, della Riforma). Quest’immagine di un cristianesimo “oscuro” ha un posto fisso nel canone dei “pregiudizi giustificabili” ed emerge ogni volta che, nelle discussioni odierne, si afferma che la Chiesa vuole riportare l’Europa al buio del Medioevo, con il papa e la Chiesa cattolica ai quali viene attribuito il massimo grado nella scala Richter del conservatorismo e, più in generale, della regressione.
Ironia a parte, arrivo al punto. Non è mai mancato il fascino nei confronti del cristianesimo pre-costantiniano degli inizi. Tutti, o più precisamente, molti dei numerosi movimenti di rinnovamento o riforma conosciuti in Europa hanno preso il via da quando la fede cristiana aveva trovato il suo posto nei cuori di persone senza armi e senza la protezione e le leggi dell’impero e dello Stato.
Ora guarderemo ai mille anni del cristianesimo tra la conversione di Costantino e l’inizio dell’era moderna. Ma prima un’anticipazione: dopo quello che è stato definito come il più buio dei secoli nella storia umana – il poeta Osip Mandelstam, un ebreo russo tra le milioni di vittime del terrore sovietico, chiamò il Novecento il «secolo dei lupi» – a quanti ripetono che il Medioevo sia stato buio va detto: «Studiate la storia».
Per certi versi questa nuova epoca medievale inizia con la conversione dell’imperatore al cristianesimo. Non era comprensibile che i cristiani perseguitati sognassero questo evento? Cosa sarebbe accaduto se l’imperatore fosse diventato un cristiano? La libertà della Chiesa sarebbe stata sicura. I cristiani sarebbero stati protetti dalla persecuzione e avrebbero potuto svilupparsi liberamente. Il sogno finì ben presto. Quale posizione avrebbe assunto un imperatore cristiano?
Avrebbe guidato la Chiesa? La parola degli apostoli prima del Concilio di Gerusalemme vale anche per un imperatore cristiano: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). Sant’Ambrogio si oppone al nuovo imperatore convertito con parole che potrebbero essere pronunciate per rappresentare la carta della Libertà nella Chiesa occidentale (titolo di un libro di Hugo Rahner del 1943, scritto durante il terrore nazionalsocialista): «L’imperatore è nella Chiesa, non al di sopra di essa.
Un buon imperatore s’impegna a incoraggiare la Chiesa e non a combatterla. Con umiltà affermiamo questi principi, restiamo saldi in essi e siamo incrollabili, anche quando siamo minacciati dal rogo, dalla spada e dall’esilio. Noi servi di Cristo abbiamo dimenticato cosa significhi avere paura».
Il dibattito si è aperto con questo evento. Un dibattito che darà forma alla vita del mondo occidentale per oltre mille anni, a differenza della parte orientale dell’Europa: il processo in cui imperium e sacerdotium hanno lavorato insieme e combattuto uno contro l’altro, culminando nella disputa sui rispettivi ruoli del papa e dell’imperatore.
Sappiamo come finì il conflitto: con la vittoria del sacerdotium sull’imperium. Tuttavia si trattò di una vittoria di Pirro. Pensare che il papa da solo potesse riuscire nell’impresa di governare su tutte le nazioni d’Europa si rivelò un’illusione. I re e i principi europei si batterono con forza per creare nazioni indipendenti e ottenere la supremazia.
Dimostrarono di essere più forti. Dopo numerose guerre lo Stato ecclesiastico medievale divenne un sacerdotium senza alcuna importanza o influenza per le potenze europee. L’unico potere posseduto dal papa era il suo ruolo di rappresentante morale e spirituale di una religione universale. La battaglia sulla sovranità dell’impero, e poi sullo “Stato della Chiesa” in concorrenza con le altre potenze europee, indebolì l’importanza spirituale del papa più che rafforzarla.
Il risultato a cui si giunse fu quello di una crisi che si è profondamente radicata, iniziata nel Medioevo e proseguita durante la Riforma, e che ha portato alla divisione della Chiesa occidentale, alle guerre di religione e infine è culminata nell’Illuminismo e nella secolarizzazione.
Dunque, in questa breve panoramica riguardante il Medioevo, non si può parlare soltanto del conflitto tra sacerdotium e imperium, ma soprattutto ci si deve soffermare sulle fonti di forza della vita cristiana che fecero diventare l’Occidente ciò che è oggi. Prima di ogni altra cosa è necessario menzionare gli ordini religiosi e i monasteri.
Non si può sottostimare il loro impatto. Senza i monaci non esisterebbe la missione cristiana. La conoscenza del mondo antico sarebbe andata perduta. I monasteri erano centri di scienza e apprendimento. Hanno combattuto per la purezza della fede. Hanno coltivato la terra, sviluppato l’agricoltura, le arti e l’artigianato. Hanno trascritto e conservato la storia e hanno costruito reti di comunicazione in tutta Europa.
Certo, non mancarono periodi di debolezza e decadenza. Tuttavia con incredibile vitalità emersero nuove correnti di rinnovamento.
Modernità, l’altra visione dell’Europa
Coloro che non vedono, come le constato io, le radici dell’Europa nel patrimonio cristiano degli albori e nel suo sviluppo nel Medioevo, senza dubbio troveranno queste radici con la Riforma e l’Illuminismo, vale a dire, in contrasto con la Chiesa cattolica. L’Europa moderna è, soprattutto, “figlia” dell’Illuminismo che spesso ha combattuto per l’applicazione dei suoi principi e delle sue prospettive in opposizione alla Chiesa e contro la cristianità nel suo complesso. Di nuovo l’obiezione che viene mossa risiede nel fatto che la visione europea dei diritti umani non ha le sue radici nel cristianesimo, ma in una risoluta resistenza a esso, e in particolare alla Chiesa cattolica.
Una cosa è certa: la scissione religiosa del XVI secolo scosse profondamente la società europea occidentale. A fatica possiamo immaginare il trauma cui la popolazione dovette far fronte a causa della divisione tra le “nuove” e le “vecchie” fedi. Le guerre di religione che ne risultarono sono state chiamate “guerre civili ermeneutiche” perché le fazioni in lotta utilizzavano interpretazioni differenti della stessa Bibbia per legittimare le loro azioni.
Uno dei più terribili esiti delle guerre di religione fu la “territorializzazione” delle confessioni religiose: cuius regio eius religio. Il luogo di residenza divenne il principio determinante della denominazione religiosa. Ancora oggi la politica europea soffre delle conseguenze di questo principio: il funzionamento delle denominazioni religiose come fonte di identità nazionale in Paesi a maggioranza ortodossa o nel tragico conflitto in Irlanda del Nord.
Secondo il mio punto di vista, anche il concetto catastrofico di “pulizia etnica” emerso nei Balcani è una conseguenza di questo principio distruttivo. L’espulsione delle persone di lingua tedesca e ungherese della Cecoslovacchia fu un esempio lampante di questo concetto. Le guerre balcaniche scoppiate negli anni Novanta costituiscono un ulteriore esempio.
Partendo dal presupposto che l’impero asburgico “di molti popoli” costituì un modello alternativo e totalmente in contrasto con l’epoca, non c’è da meravigliarsi della sua distruzione, nonostante abbia esso anticipato l’attuale obiettivo di integrazione più di quanto qualsiasi altro fenomeno europeo riuscì a fare.
Le guerre religiose ebbero un secondo risultato: le popolazioni uscirono logorate dai conflitti teologici. Cercavano basi sulle quali costruire uno Stato libero dalla teologia e dal credo religioso. Filosofi come Hobbes o Spinoza sostenevano che queste fondamenta dovessero poggiare sul pensiero matematico-scientifico. Non vi sono eretici nella fisica o nella matematica.
Queste erano le basi su cui la legge, l’etica e la metafisica potevano essere d’accordo, indipendentemente dalla prospettiva di fede. L’incredibile successo del pensiero matematico-scientifico sembra confermare che la religione è reazionaria e che il mondo scientifico è progressista. Peggio ancora, le guerre di religione sembrano confermare che le religioni mettono un popolo contro l’altro, mentre l’Illuminismo li libera.
Il cristianesimo, radice e corpo estraneo
Tornando a oggi, la posizione del cristianesimo in Europa è paradossale. Sembra essere in larga misura marginalizzato. Ci sono ancora le chiese. Ma di rado hanno peso o influenza. Ciononostante non le vedo “obsolete” in un’Europa con ampie risorse spirituali. Per molti versi sembra di essere tornati indietro agli albori del cristianesimo.
In un mondo che è religiosamente e culturalmente pluralistico, in un mondo a maggioranza “pagano” nel quale lo stile di vita cristiano praticato per secoli è stato dimenticato, dove dominano l’astrologia, l’aborto, la superstizione e la bramosia. Nonostante i cristiani siano la sostanziale maggioranza in Europa, i cristiani praticanti sono in minoranza.
La situazione del cristianesimo in Europa è alquanto stimolante e piena di opportunità dal mio punto di vista. È sotto molti aspetti un corpo estraneo, anche se per molti evoca un sentire familiare. L’Europa possiede un numero crescente e in costante aumento di persone che, dopo aver vissuto una vita totalmente secolarizzata, trovano la loro strada in una fede consapevole. Queste persone descrivono spesso il loro viaggio come un ritorno a casa.
Qui risiede la forza distintiva e inconfondibile del cristianesimo: esso conferisce una doppia cittadinanza, terrena e celeste. Invita a una fedele partecipazione all’interno della società, all’assunzione di responsabilità per la civitas terrena senza desiderare di rovesciarla per creare chissà quale società ideale.
Questo impegno mite con la dimensione temporale si basa sulla presenza di una cittadinanza parallela nella civitas Dei. L’affermazione di non essere soltanto un cittadino della civitas terrena ha suscitato l’odio nei confronti della Chiesa da parte dei pensatori e dittatori totalitari. Il cristiano è libero rispetto allo Stato perché non è mai solo un cittadino dello Stato.
Questa “libertà cristiana” non è mai stata espressa in maniera più chiara di quanto abbiano mostrato i “cristiani professanti”, che nella libertà della loro fede hanno sfidato la stretta totalitaria dello Stato. Dietrich Bonhoeffer è un esempio di questa libertà e allo stesso modo lo è il semplice contadino austriaco Franz Jàgerstàtter, per citarne due.
Il fermento di libertà è ciò che il cristianesimo può offrire all’Europa, una libertà dalle esigenze della corrente tradizionale, dal politicamente corretto, o semplicemente dalla pressione delle mode più recenti.
Questa libertà attinge a una fonte più profonda, a una risorsa inesauribile. All’inizio parlavamo dell’affascinante fenomeno del rapido diffondersi del cristianesimo ai suoi albori. Tra le ragioni che portarono a questo fenomeno, ne vedo una in particolare: l’espansione ha a che fare con colui che diede alla Chiesa una chiara missione e questa promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Ut 28,20).
Quest’affermazione di Gesù rappresenta la fonte più potente e continua a esserlo nelle più differenti modalità. Questo spiega la potenza inesauribile di rigenerazione del cristianesimo. Così spesso dichiarato morto, esso sperimenta ogni volta la resurrezione nella potenza di colui che è risorto.
Un corpo estraneo e anche una radice: questa è la stimolante posizione del cristianesimo nell’Europa secolarizzata. L’Europa spesso è critica nei confronti del cristianesimo e ciò è da ritenersi positivo. L’Europa potrebbe aver bisogno della sana inquietudine della voce profetica della Parola, ma anche il cristianesimo ha bisogno che la voce dell’Europa ponga questioni critiche in risposta.
È uno scambio che fa bene al cristianesimo. Lo sveglia e lo sfida. Mette in discussione la sua credibilità. E perché? Perché credo che nel profondo l’Europa aneli a un cristianesimo autentico. Nei nostri cuori, noi europei, “laici” o credenti, sappiamo che le radici che sosterranno l’Europa nel futuro sono queste: un cristianesimo credibile, fedele a se stesso, per quanto singolare ed estraneo possa sembrare a volte ai nostri occhi.
(Traduzione di Lorenzo Fazzini e Laura Zanella)
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Christoph Schönborn è arcivescovo di Vienna dal 1995. Creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1998, nel medesimo anno è stato nominato presidente della Conferenza episcopale austriaca. Esperto riconosciuto della cristianità orientale, è, fra l’altro, membro delle congregazioni vaticane per le Chiese orientali, per la dottrina della fede e per la formazione cattolica. L’intervento che pubblichiamo è il testo di una lezione tenuta alla Catholic University of America di Washington nel 2010