Sembra che ci troviamo di fronte alla seguente alternativa: guerra tra le pretese di verità o relativismo? L’unica via di uscita dal clash of civilization che ci minaccia è l’abbandono di ogni forma di verità vincolante? Che ci sia un’altra via, o meglio ancora che il cammino del dialogo non significa la rinuncia alla verità, era proprio il tema della mia conferenza.
di Christoph Schönborn
Ho detto agli studenti islamici: «Entrambe le nostre religioni, il Cristianesimo e l’Islam, si comprendono come religioni universali e missionarie. Non esistono solo per un popolo o Paese ma per tutti gli uomini di tutti i Paesi. Dai loro fondatori o, per meglio dire, dalla rivelazione, che è stata loro affidata, hanno ricevuto il compito di portare a tutti gli uomini la luce di questa rivelazione divina, come messaggio e via di salvezza e di vita. Per questo motivo le nostre religioni sono state dal primo momento missionarie e lo sono fino a oggi. Ciò appartiene in modo insuperabile all’identità della nostra fede. Così, secondo la fede cattolica, il compito ultimo, che Gesù Cristo ha dato dopo la sua risurrezione dai morti ai suoi discepoli, per tutti i tempi fino al suo ritorno, dice: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra… Andate dunque e ammaestrate tutti gli uomini facendoli miei discepoli» (Mt 28, 18 ss.).
Obbedendo a questo compito i cristiani si sforzano di portare il Vangelo a tutti gli uomini. Tuttavia anche l’islam comprende se stesso come la rivelazione di Dio definitiva e conclusa, pensata per tutti gli uomini. È conciliabile una tale pretesa di verità con l’atteggiamento del dialogo? Non è piuttosto la causa di molti conflitti, persino delle guerre di religione? Per questo motivo oggi in occidente c’è un modo di vedere molto diffuso, secondo cui è possibile un “dialogo tra le culture solamente se le religioni revocano la pretesa di verità e rinunciano alla missione».
Sembra che ci troviamo di fronte alla seguente alternativa: guerra tra le pretese di verità o relativismo? L’unica via di uscita dal clash of civilization che ci minaccia è l’abbandono di ogni forma di verità vincolante? Che ci sia un’altra via, o meglio ancora che il cammino del dialogo non significa la rinuncia alla verità, era proprio il tema della mia conferenza. Anche oggi ci occupiamo di questo argomento, parlando della dichiarazione, romana “Dominus’ Jesus”.
Questa dichiarazione ha suscitato un immenso dibattito. Forse si può criticare alcunché riguardante lo stile o la data d’uscita del documento, ma il nocciolo del dibattito consiste ovviamente nel fatto che in esso, dal magistero autorizzato della Chiesa Cattolica, in modo chiaro, si afferma e si professa la fede nell’unicità di Gesù Cristo e della Chiesa e che in questo modo, inevitabilmente, si proclama la pretesa universale di verità di Gesù Cristo e della Chiesa. Una pretesa universale di Gesù Cristo, una missione universale della Chiesa: non si distrugge in questo modo ogni base per un dialogo tra le religioni e le culture?
Nella cosiddetta «teologia pluralista della religioni», su cui spesso si è discusso negli ultimi anni, si esige espressamente che il cristianesimo rinunci alla sua pretesa di assolutezza e riconosca la parità di rango con altre religioni. Solamente partner dello stesso ordine – si dice – possono condurre un dialogo reale.. «Non dobbiamo disarmarci a livello cristologico per essere capaci di affrontare un dialogo interreligioso?»
Un teologo evangelico, Reinhold Berhardt, risponde di si. Ma che cosa significa questo invito a «disarmarci a livello cristologico», a «deassolutizzare» Cristo? È nostro compito “depotenziare” Cristo, renderlo “usabile” per le pretese necessità, del dialogo interreligioso? Ci è lecito inventare il Cristo che va bene”, che si inserisce nel nostro concetto di dialogo? Non è una presunzione inaudita? Non è proprio del primo atteggiamento del dialogo la disponibilità ad ascoltare? Un dialogo autentico non pretende di prendere sul serio l’altro proprio nella sua autocomprensione?
La mia prima è più importante obbiezione alla «teologia pluralista delle religioni» e alla sua pretesa del «disarmo della teologia», è proprio questa: essa non lascia essere Gesù come egli si è compreso, come coloro che gli appartengono lo hanno accettato e lo accettano: «Voi chi dite che io sia?», «Tu ‘sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 15-16).
È scioccante questa pretesa universale di Gesù, ma che corrisponda alla più propria comprensione di Gesù, non si potrà negano facilmente. Sarebbe perciò in massimo grado una mancanza di rispetto proprio al dialogo con la figura di Gesù, sarebbe a-dialogico voler “deassolutizzare” e “depotenziare” la pretesa di Gesù, solamente per renderlo “adatto al dialogo” fra le religioni. Non siamo di fronte a una comprensione esatta del dialogo, se non è concesso spazio alla comprensione che l’altro ha di sé.
Forse la domanda di uno studente iraniano, postami dopo la mia conferenza a Teheran ci permetterà di procedere nella questione. Essa suona: «Ci possono essere due religioni assolute? O ancora: le ha Dio volute o permesse?». Con questa domanda ci troviamo nel cuore del nostro tema e in mezzo all’attualità. Abbiamo a che fare con la domanda di un fondamentalista islamico ingenuo che non è ancora passato attraverso il fuoco dell’illuminismo?. O è forse una domanda cui l’illuminismo, che relativizza tutte le pretese di verità, non ha ancora saputo dare una risposta sufficiente?
Oggi è diffusa la risposta secondo cui l’appartenenza a una religione è basata sul gusto personale. Per me Gesù Cristo sarà il mediatore di salvezza assoluto, per te Maometto è il profeta, così come per altri Buddha il maestro dell’illuminazione. Così ognuno potrà vedere la sua via come quella assolutamente vera, ma vera per lui, forse non per, l’altro. È possibile – si dice – che vi siano differenti verità assolute nel senso che esse sono valide per chi si trova nel loro ambito di verità. In Europa il Cristianesimo, da voi l’Islam. Qualcosa di simile corrisponde del tutto al senso della vita odierno, che non nega la validità di percorsi dottrinali e di vita, ma che limita la loro validità nell’ambito di coloro che li accettano. Ognuno ha la sua verità, ma niente di più.
Sono convinto invece che la certezza della reale unicità di Gesù Cristo e della Chiesa possono e devono condurre al dialogo, non a un dialogo apparente ma a una profonda disponibilità alla ricerca comune della verità.
1. La fede nel Dio unico, nel Padre, creatore del cielo e della terra, significa anche la certezza che l’umanità sia realmente una, la famiglia umana, e che una origine e una meta comune ci congiunge. Siamo una famiglia umana e in una famiglia si parla!
2. La missione universale che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, il tesoro prezioso della verità, che le è stato affidato, non devono condurre a un atteggiamento presuntuoso e orgoglioso ma, al contrario, all’umiltà e alla modestia. «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2 Cor 4,7).
3. Al cospetto di Dio siamo responsabili l’uno dell’altro. La fede biblica nell’unico Dio creatore, nel suo Figlio Gesù Cristo, salvatore del mondo,. nello Spirito Santo, che dona la vita, significa anche che a tutti gli uomini è affidata in comune la responsabilità e la cura per questo mondo e per la famiglia umana.
4. Infine, il messaggio della rivelazione biblica è un prezioso tesoro di speranza. La fede cristiana dà la certezza che non siamo “fissati” nella ruota delle reincarnazioni infinite, che sopra di noi non regna un destino cieco e arbitrario, ma che noi tutti abbiamo motivo di sperare. Crediamo e confessiamo che Gesù di Nazareth è il messia di Israele, il Figlio dei Dio vivente, la speranza del mondo. Questa speranza non possiamo tenerla per noi stessi. Essa ci spinge a dare testimonianza, cerca le sue tracce e i suoi segni anche nelle altre religioni.