Yohani Sànchez è probabilmente la cubana più odiata dal regime comunista dell’isola caraibica ma non è una dissidente e neppure una oppositrice politica. E’ una donna qualunque, che però da alcuni anni sul suo blog descrive la vita quotidiana nell’ultimo “paradiso” socialista.
Su internet tiene una sorta di diario dove descrive il fallimento di una ideologia e di un regime che doveva dare libertà e felicità a tutti e che invece ha dato ai suoi connazionali una vita di miseria, di grigio squallore e quasi senza speranza. Alla Sànchez, stranamente, è stata affidata una rubrica sul settimanale di sinistra Internazionale.
Stranamente, perchè è qui che albergano gli ultimi nostralgici sostenitori del socialismo e per i quali Cuba ancora oggi rappresenta l’ultima illusione. In questo spazio vi proponiamo alcuni dei suoi articoli.
a cura di Rassegna Stampa
dall’Avana Yoani Sànchez
LA RIVOLUZIONE SEPOLTA
A mezzanotte del 31 dicembre da ogni balcone del mio palazzo è scrosciata una cascata. I cubani hanno la tradizione di lanciare un secchio d’acqua alla fine di ogni anno per pulire tutto il brutto e aspettare spiritualmente “puliti” il mese che sta per cominciare.
Pochi confessano l’elenco completo di speranze per il prossimo anno, ma è facile immaginare che un punto importante della lista sia il bisogno di cambiamenti politici. “Che tutto questo finisca una buona volta”, dicono alcuni, “che le riforme di Raùl possano migliorare le nostre vite”, sperano altri, o “che il 2011 sia l’anno che abbiamo tanto aspettato”, auspicano quelli che hanno perso la pazienza e la fede. La parola “rivoluzione” è assente da queste profezie popolari, perché gran parte dei cubani ha smesso di considerarla un’entità dinamica, in trasformazione. Molti credono addirittura che sia morta da tempo.
Assistiamo al suo funerale, con un dubbio: cos’è andato storto? Quand’è che la rivoluzione si è trasformata in un cadavere? Sappiamo già che in parte hanno avuto un ruolo determinante malattie croniche come il personalismo, la burocrazia, la subordinazione a una potenza straniera e la copia di un modello che sembrava bello solo sui libri di testo. Ma dobbiamo ancora capire se sono state le nostre mani o le nostre menti ad aver asfissiato la creatura che abbiamo tentato di creare o se nella genetica del processo c’erano dall’inizio i cromosomi del fallimento.
Internazionale n.880 del 14 gennaio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
LICENZIAMENTI E REALTÀ
Per chi è cresciuto in un paese dove lo stato ha avuto per decenni il monopolio del lavoro, essere costretti a guadagnarsi da vivere da soli è come fare un salto nel vuoto. Ecco perché in questi giorni in tutti i luoghi di lavoro è palpabile la paura per la pubblicazione della temuta lista con i nomi di chi perderà il posto. Decidere quali dipendenti rimarranno e quali no spetta a cia-scun dirigente e si sono già verificati casi in cui non sono i più capaci a mantenere il posto, ma i più vicini al direttore.
Paradossalmente i posti che tutti cercano di mantenere non sono pagati abbastanza, ma la diminuzione di un quarto della forza lavoro attiva non comporterà per ora un aumento degli stipendi di chi rimane.
La riduzione degli organici colpirà anche settori delicati come la sanità pubblica. È il momento di aprire gli occhi davanti a una Cuba diversa, in cui la promessa della piena occupazione non si proclama ai quattro venti e il lavoro autonomo appare ostico e insicuro.
Alcuni abbandoneranno i loro camici bianchi per le forbici da barbiere, o le siringhe per un forno dove cuocere pane e pizze. Impareranno strada facendo che l’indipendenza economica porta con sé l’indipendenza politica, andranno in bancarotta o si arricchiranno, mentiranno nella dichiarazione dei redditi o diranno quanto hanno guadagnato. Insomma, imboccheranno una strada nuova, difficile, dove lo stato padre non potrà sostenerli, ma non avrà neanche la forza di punirli.
Internazionale n.881 del 21 gennaio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
CAFFÈ AMARO
Bere una tazza di caffè la mattina è l’equivalente nazionale della colazione. Possono mancare il pane, il burro e anche l’irraggiungibile latte, ma un risveglio senza questa bevanda calda e stimolante lascia presagire una brutta giornata. Quand’ero bambina tutti gli adulti che mi circondavano bevevano tazze su tazze di caffè mentre chiacchieravano: il rito di condividere un caffè era importante come abbracciare qualcuno o invitarlo a entrare in casa.
Qualche settimana fa Raùl Castro ha annunciato che il caffè del mercato razionato sarà mescolato con altri ingredienti. È stato buffo sentire un presidente parlare di argomenti culinari, ma a noi cubani ha fatto anche ridere il fatto che ci spiegasse una prassi comune da anni nell’isola. Non solo alteriamo da tempo la più importante bevanda nazionale, ma lo stato ci ha anche superato in furbizia senza dichiararlo sull’etichetta del prodotto.
Non si potrà più usare l’aggettivo “cubano”, perché non è un segreto che il paese importa caffè dal Brasile e dalla Colombia. A Cuba la produzione annuale di caffè è scesa da 60 mila tonnellate a seimila. Negli ultimi mesi “il nettare nero degli dèi bianchi”, come una volta l’hanno definito gli indigeni, ha cominciato a scarseggiare. Le casalinghe hanno ricominciato ad aggiungere piselli tostati e macinati per garantire il goccetto amaro al risveglio. Non sappiamo se si può ancora chiamare caffè, ma almeno è qualcosa di caldo da bere la mattina.
Internazionale n. 882 del 28 gennaio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
RINASCONO I SAPORI
Timidi tendoni colorati fanno capolino dal nulla, si inaugurano ombrelloni sotto cui abbondano i frullati di frutta e i chicharrones (i ciccioli di maiale) e nei portoni di alcune case s’improvvisano caffetterie con offerte allettanti. Tutto questo sta succedendo all’Avana in seguito alle nuove misure che hanno reso più flessibile il lavoro autonomo.
Alcuni miei vicini vorrebbero aprire un negozio di calzolaio o un locale per riparare i frigoriferi, mentre viali e piazze stanno cambiando grazie alla spinta dei privati. Ma i più cauti aspettano di capire se le riforme saranno definitive o faranno retromarcia come negli anni novanta.
Pochi mesi dopo l’annuncio di Raùl Castro di aumentare il numero di licenze per i lavori autonomi, i risultati sembrano promettenti. Da ottobre abbiamo cominciato a recuperare sapori perduti, ricette di cui sentivamo la mancanza, comodità nascoste. Più di 70 mila cubani hanno ottenuto permessi per mettersi in proprio e altre migliaia di persone stanno riflettendo sui vantaggi di aprire una piccola azienda familiare.
Nonostante le cautele, le tasse ancora troppo alte e l’assenza di un mercato all’ingrosso, i nuovi lavoratori autonomi si stanno facendo notare in una società segnata dall’immobilismo. Montano i banchetti e ridistribuiscono gli spazi di casa per offrire servizi come parrucchieri o manicure. La maggior parte crede che sarà per sempre, perché il sistema che li ha soffocati ha perso la sua capacità di competere con loro.
Internazionale n.883 del 4 febbraio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
CARRO E CAVALLI
Sono le sette di mattina e la fermata dell’autobus è affollata. Un veicolo diretto verso il centro passa senza fermarsi, trascinandosi dietro una scia di grida e gesti di rabbia. Alcuni decidono di andare a piedi, altri si rassegnano e spendono i loro ultimi dieci pesos per un taxi collettivo. Anche oggi molti passeggeri frustrati non riusciranno ad arrivare in tempo sul posto di lavoro.
Non è una scena isolata: in ogni quartiere le lunghe code per i trasporti fanno parte del paesaggio urbano, al punto che ormai la città è inimmaginabile senza una folla accalcata intorno a un cartello che indica la fermata del P1 o del P14, gli autobus diretti all’aeroporto e al Vedado.
Le difficoltà di spostamento tengono in scacco il paese. La paralisi di movimento incide negativamente sulla vita produttiva e imprenditoriale del paese, e le perdite economiche sono incalcolabili. Ne risentono anche lo sviluppo professionale, i rapporti familiari e di coppia.
Cento chilometri diventano un abisso difficile da attraversare, se l’unico modo per raggiungere l’altro lato è un mezzo di trasporto senza orari fissi e in pessimo stato. L’inefficienza e il centralismo ci hanno condannato a muoverci come nel medioevo. Ecco perché l’immagine di un carro trainato dai cavalli è diventata ricorrente. È lontana l’illusione – così viva negli anni del sussidio sovietico – di una metropolitana e remoti sembrano anche i giorni in cui, in anticipo sulla Spagna, costruimmo la nostra prima ferrovia.
Internazionale n.884 del 11 febbraio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
DAL CAIRO ALL’AVANA
La scena sullo schermo è durata appena qualche secondo, l’immagine di migliaia di persone che protestavano per le strade del Cairo. La situazione era descritta dalla voce grave di un presentatore cubano: la crisi del capitalismo aveva fatto esplodere la protesta in Egitto e le differenze sociali stavano facendo affondare il governo. Ha detto solo di sfuggita che un ciclo di quasi trent’anni stava finendo in una sola settimana, in un paese dove la storia si misura in numeri da quattro cifre e ha lo spessore dei millenni.
A Cuba l’allusione al prolungato potere di Hosni Mubarak ha richiamato il detto “non nominare la corda in casa dell’impiccato”: cioè insinuare che anche nel nostro cortile un autoritarismo di cinquantanni sta per scadere. Forse i mezzi d’informazione statali sono stati cauti nel parlare degli avvenimenti in Nordafrica per non farci fare questo paragone. Ci hanno somministrato in dosi minime i fatti, senza citare tutte la ragioni che spingono un popolo a mettere fine a un mandato improntato sul personalismo di un ottuagenario. Per evitare che una folla scenda in piazza e gridi all’unisono “Presidente, vattene! ” i mezzi d’informazione attivano i meccanismi nascosti del controllo.
Anche se il Cairo è lontana, le analogie tra i cubani e i volti che abbiamo visto nella marcia del milione di egiziani sono tante. Loro gridavano contro Mubarak, ma da questa parte dello schermo molti hanno sentito che ci spingevano a muoverci, facendoci vergognare della nostra inerzia.
Internazionale n.885 del 18 febbraio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
CUBA 2.0
Grandi schermi al plasma si succedono uno dopo l’altro, irradiando luce nello spazio espositivo più grande della città. La Fiera informatica 2011, che si tiene in questi giorni all’Avana, ci ha messi di fronte al nostro medioevo tecnologico: i progressi nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni rimangono un miraggio per gli abitanti dell’isola. Da tre anni l’installazione di un cavo sottomarino di fibra ottica tra Cuba e il Venezuela si è trasformato nella carota agitata davanti agli assetati internauti dell’isola. Questa settimana il cavo ha raggiunto la zona orientale di Cuba, con la promessa di moltiplicare per tremila l’attuale larghezza di banda.
All’inizio il governo ha detto che i kilobyte del cavo erano destinati a istituzioni e organizzazioni statali. Ma poi il viceministro delle telecomunicazioni, Jorge Luis Perdomo, ha dichiarato che non ci sono “ostacoli politici” per aprire l’accesso a internet alla popolazione. Sono state anche sbloccate dai server cubani due importanti piattaforme di blogger censurate dalla metà del 2008.
Tutti ci chiediamo se le dichiarazioni di Perdomo e la fine del boicottaggio contro questi blog siano solo una misura temporanea. Potrebbe anche essere un cambiamento di strategia motivato dalle pressioni interne ed esterne, soprattutto di fronte al fallimento della politica di chiusura. Forse hanno capito che non c’è niente di più attraente di una cosa proibita.
Internazionale n.886 del 25 febbraio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
UNA SCOMODA RICORRENZA
A volte è la morte di una persona a garantirle un posto nella storia. È il caso di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco davanti a un edificio del governo perché la polizia gli aveva confiscato la frutta. Le conseguenze della sua immolazione erano del tutto imprevedibili.
A Cuba un muratore è riuscito a risvegliare qualcosa che credevamo definitivamente sequestrato dalla polizia politica: la certezza che la realtà dovrà cominciare a cambiare. Il nome di Orlando Zapata Tamayo è salito agli onori delle cronache per la prima volta nel 2002 in un libro intitolato Los disidentes, che voleva screditare i rappresentanti dell’opposizione cubana. Ma dopo la sua morte – in seguito a uno sciopero della fame di ottantacinque giorni – Raùl Castro ha affermato che quel mulatto di 42 anni era un delinquente comune. Questa versione è stata ripetuta dimenticando che le stesse autorità lo avevano inserito nella lista dei “nemici politici”.
La morte di Orlando Zapata, avvenuta il 23 febbraio del 2010 alla vigilia del secondo anno di presidenza di Raùl, ha creato una scomoda ricorrenza sul nostro calendario. Proprio quando cade il primo anniversario della sua morte, gli agenti della sicurezza di stato si preparano a impedire che amici e colleghi vadano al cimitero dov’è sepolto. Ma non possono impedire che questa settimana il nome di Zapata Tamayo sia evocato più del lungo epiteto del generale presidente.
Internazionale n. 887 del 4 marzo 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
OSTINAZIONE
I telegiornali fanno solo brevi accenni alla Libia, ma tutti parliamo sottovoce di quello che sta succedendo in Nordafrica. Tra le proteste popolari che si sono scatenate nel Maghreb, sono quelle contro Muammar Gheddafi a interessare più da vicino i cubani. La sua situazione ha turbato le autorità dell’Avana, preoccupate non solo per la rottura delle alleanze ideologiche ma anche per un possibile contagio delle proteste popolari. Nonostante le evidenti differenze, l’imminente caduta del caudillo africano ha scatenato l’allarme per le affinità tra il personalismo di Gheddafi e quello dei ribelli cubani in uniforme verde oliva.
Quando un uomo cerca di forgiare un paese a sua immagine e somiglianza dev’essere consapevole che, sulle sue spalle, ricadranno onori e oneri di quello che succede al suo popolo. Come capita a tutti i politici autoritari, Gheddafi ha accumulato così tanti beneficiari e così tante vittime che oggi le opinioni su di lui oscillano tra l’apologia e l’invettiva. La testardaggine dell’uomo che si era autoproclamato “guida della rivoluzione” preoccupa chi vive su questa sponda dell’Atlantico, perché evoca la testardaggine altrettanto ostinata di Fidel Castro.
In una situazione simile il comandante in capo non cederebbe come il presidente egiziano Hosni Mubarak, ma ripeterebbe la sua ormai nota frase: “Prima di arrenderci l’isola sprofonderà nel mare”. Abbiamo paura che si comporti come Gheddafi.
Internazionale n.888 11 marzo 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
ISCRITTI E CONTROLLATI
Fin da piccola ho capito che i cubani potevano iscriversi solo alle organizzazioni fondate dal governo, ma erano puniti se decidevano di creare gruppi per iniziativa personale. I bambini entravano nei pionieri, le donne dopo i 14 anni diventavano federate, i vicini di quartiere formavano i comitati di difesa della rivoluzione, mentre i lavoratori s’iscrivevano all’unico sindacato autorizzato del paese.
Gli studenti avevano una loro confederazione e i contadini facevano parte di un’unica associazione a livello nazionale. Quando qualcuno chiedeva un posto di lavoro, voleva iscriversi all’università o comprare un elettrodomestico doveva riempire dei moduli in cui era richiesta l’appartenenza alle organizzazioni consacrate dal potere. Mi viene da ridere a ripensarmi con una matita in mano mentre segnavo con una crocetta la mia appartenenza a fianco di associazioni come l’Organizzazione dei pionieri José Marti, il Comitato di difesa della rivoluzione o la Federazione delle donne cubane. Volevo far credere di essere una cittadina “normale”.
Da anni non pronuncio uno slogan e non appartengo a nessuna associazione autorizzata. Quando me lo chiedono dico che sono una cittadina indipendente o un elettrone libero e che mi limito a chiedere la depenalizzazione del disaccordo. A Cuba è ancora tabù criticare un ministro o l’orario delle lezioni di una scuola, pensare che sia possibile fondare un partito o semplicemente il club degli amici delle salamandre.
Internazionale n.889 del 17 marzo 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
BIGBROTHER
La telenovela brasiliana che va in onda ogni settimana sul canale più importante di Cuba ha un concorrente inaspettato. Ogni lunedì sera si trasmette una serie intitolata Las razones de Cuba, prodotta dal ministero dell’interno. Anche se la sceneggiatura è abbastanza noiosa, ogni episodio riserva sempre qualche sorpresa, dalla scoperta di un agente in incognito infiltrato nel giornalismo indipendente fino alle confessioni di un ragazzo che ha nascosto un’antenna parabolica in una tavola da surf. Ce n’è per tutti i gusti, e il tutto condito da una buona dose di teoria della cospirazione e antimperialismo.
La risposta alla diffusione delle reti clandestine d’informazione, alla blogosfera alternativa e alle critiche cittadine non si è fatta attendere. Sul piccolo schermo sfilano esperti che parlano delle nuove minacce che incombono sull’isola e funzionari dell’intelligence che tuonano contro Twit-ter, Facebook e il web 2.0. Le notizie in arrivo dal Nordafrica spingono la polizia politica a demonizzare la tecnologia, associandola con il nemico.
Ma la saga delle talpe infiltrate e degli specialisti di sicurezza informatica non è riuscita ad appassionare né a convincere gran parte dei telespettatori. Forse è per questo che gli episodi vengono ritrasmessi nelle scuole e negli uffici, per essere sicuri che li vedano tutti i cubani. La gente continua a preferire la telenovela rosa che arriva dal Brasile. Almeno non ci sono uniformi militari, slogan ideologici o ridicoli agenti in incognito.
Internazionale n.890 del 25 marzo 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
INFLUENZA DI MARZO
Starnutisco per l’ennesima volta nel giro di poche ore. Anche un signore che mi passa accanto tossisce rumorosamente. L’Avana è vittima dell’influenza di marzo che ogni anno colpisce quasi tutti gli abitanti. Il contrasto tra l’umidità mattutina, il sole rovente di mezzogiorno e il freddo notturno ha riportato tra noi raffreddore, mal di testa e febbre. Molti miei amici stanno come me, con la voce fioca e la gola arrossata.
Sarebbe una tosse come tante altre, un malessere primaverile che potrebbe scomparire quando la temperatura si sarà stabilizzata, se non fosse per le difficoltà di trovare anche un solo analgesico. I medici consigliano d’ingerire grandi quantità di liquidi e un po’ di vitamina C, ma comprare un flacone di pastiglie di vitamina C è un’impresa complicata e spesso impossibile. Ecco perché in questi giorni non faccio che telefonare in giro per sapere dove i miei conoscenti hanno scovato antinfluenzali o sciroppi per la tosse.
Per fortuna sul mio terrazzo ci sono delle piante che, in infusione, mi aiutano a dormire senza svegliarmi per la tosse. La creatività aumenta e una vicina assicura che bevendo acqua tiepida con delle gocce di limone prima di andare a dormire si sta subito meglio. Ma sul mercato scarseggiano anche gli agrumi. Quindi la cosa più saggia da fare è aspettare che marzo passi e porti via il raffreddore. Arriverà il caldo di aprile e magari un giorno avremo la fortuna di veder tornare anche le aspirine
Internazionale n.891 del 1 aprile 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
TUTTO A UN TRATTO
Negli anni ottanta il mondo era più facile da raccontare per i caricaturisti che pubblicavano le vignette sui giornali ufficiali. La guerra fredda alimentava il manicheismo di buoni e cattivi, missili e fiori, sorrisi e lacrime che inondavano gli spazi grafici oggi in estinzione. Cuba era raffigurata come un unico tratto verde da cui spuntava una palma, mentre il mondo era una sequenza di ciminiere grigie fumanti.
La qualità di quelle illustrazioni era molto buona, ma il loro contenuto era schematico. Il cattivo doveva essere disegnato con le peggiori menomazioni fisiche come uno zio Sam con la barba a punta e un cappello a stelle e strisce. Invece il buono dei fumetti era rappresentato da un miliziano o un orso bonario, che raffigurava l’Unione Sovietica.
Oggi, dopo l’emigrazione di molti artisti, alla nostra stampa manca la scintilla d’ingegno e umorismo delle vignette e dei ritratti mordaci di qualche personaggio famoso. I giornali sono senza colore e risate. Il quotidiano Granma è forse l’esempio più evidente di questa sobrietà e di come anche la matita caustica dei disegnatori è considerata contestataria o controrivoluzionaria. A Cuba rimpiangiamo gli anni settanta e ottanta e proviamo nostalgia per quelle strisce in cui un imperturbabile miliziano rimaneva fermo sulla sua isola con una sola palma, mentre fuori una nube tossica – disegnata come un’unica macchia d’inchiostro – minacciava di inghiottire tutto.
Internazionale n.892 del 8 aprile 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
LA DIPLOMAZIA DELLE NOCCIOLINE
Alla fine degli anni settanta la stampa ufficiale cubana riservava a Jimmy Carter gli stessi epiteti negativi affibbiati ai suoi predecessori. E nelle scuole noi bambini imparavamo a gridare slogan antimperialistici pensando ai suoi occhi azzurri. Il Granma si prendeva gioco delle sue origini di venditore di noccioline, chiamandolo el manisero.
Dopo il suo mandato presidenziale Carter ha fondato il centro che porta il suo nome, si è concentrato sul suo lavoro di mediatore e ha vinto il premio Nobel per la pace. Con una svolta senza precedenti, sui giornali è diventato “il signor Carter” e in occasione della sua visita a Cuba nel 2002 è stato presentato come un amico personale del lìder màximo.
Il 28 marzo Carter è tornato sull’isola. Ha parlato con Raùl Castro e con il ministro degli esteri, e ha incontrato diverse voci della società civile cubana. Vari dissidenti e blogger alternativi (c’ero anch’io) gli hanno regalato alcuni prodotti popolari fatti a base di noccioline. “È l’unico settore che non è mai caduto nelle mani dello stato”, gli abbiamo detto. Il suo aereo è decollato. L’isola sembrava identica a quella che aveva trovato al suo arrivo 72 ore prima, ma c’era stato un piccolo, minuscolo cambiamento. Impercettibile come una nocciolina e profondamente urbano come quei cartocci pieni di noccioline salate che in questo momento qualcuno sta vendendo per la strada.
Internazionale n.893 del 15 aprile 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
CARRI ARMATI
Intorno allo stadio di baseball più grande della città sonnecchiano i carri armati, i camion e i razzi che il prossimo 16 aprile sfileranno in un’enorme parata a Plaza de la revolución. Sono stati ridipinti e oliati per l’occasione, ma non hanno perso la loro aria antiquata, come vecchi oggetti della guerra fredda privi di modernità. I bambini si aggirano curiosi tra i cingolati, le cabine e i tubi dei mortai. È come un museo delle cose passate che si rianimerà il terzo sabato di questo mese, davanti agli occhi di Raùl Castro.
Il VI congresso del Partito comunista cubano comincerà con una parata militare. Le prove sono in corso da un mese. I viali sono stati risistemati e dipinti, e nelle scuole si fanno prove tutti i giorni in attesa della festa. La gente per strada si lamenta a bassa voce di questo spiegamento eccessivo che sta costando al paese una cifra enorme. Molti temono che l’economia subirà le conseguenze di questo spreco.
Ma le autorità vogliono lanciare un messaggio di potere e chiarire che hanno il controllo del paese. Sanno che la situazione è difficile e che la frustrazione dei cittadini è forte. Sanno anche che all’appuntamento di partito non sarà possibile approvare tutte le misure necessarie per far uscire la popolazione dalla crisi, quindi si preparano a impedire che il malcontento si esprima con delle proteste popolari. Tra una settimana ci mostreranno in pompa magna non i risultati che tutti aspettiamo, ma la pistola che portano alla cintura.
Internazionale n. 895 del 29 aprile 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
LA VILLA E IL PAESE
È proprietaria di una villa di cinque stanze che cade a pezzi. L’ha avuta negli anni sessanta, quando la famiglia per cui lavorava come domestica fuggì in esilio. All’inizio vagava di stanza in stanza accarezzando il corrimano di marmo delle scale per ricordarsi che quella dimora neoclassica era diventata sua. La felicità è durata fino a quando le prime lampadine si sono fulminate, l’intonaco si è scrostato e le erbacce hanno invaso il giardino. Ha trovato lavoro come donna delle pulizie in una scuola, ma neanche guadagnando sei volte tanto sarebbe riuscita a coprire le spese di manutenzione.
Migliaia di volte ha pensato di vendere la casa, ma non voleva fare niente di illegale. Per decenni a Cuba il mercato immobiliare è stato proibito. L’unica possibilità era scambiare una proprietà in una “permuta”. L’Istituto della casa ha emesso dei decreti che hanno reso un calvario burocratico perfino fare un trasloco. Quando il rapporto finale del VI congresso del partito comunista ha parlato della legalizzazione della compravendita di case, migliaia di cubani hanno tirato un sospiro di sollievo.
La signora della villa ha saputo la notizia dalla tv. Ha guardato le colonne, i portoni di casa danneggiati dall’umidità e la scala di marmo ormai priva di corrimano (venduto). Potrà finalmente appendere un cartello al cancello: “Vendesi villa di cinque stanze che ha bisogno di ristrutturazione urgente. Comprasi appartamento di una sola stanza in qual-siasi altro quartiere”
Internazionale n.896 del 6 maggio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
GUANTANAMO: DUE VOLTI
La prima mattina di maggio un giovane dal volto incappucciato, con la camicia e i pantaloni arancioni, sfila in plaza de la Revolución durante la festa dei lavoratori. Protesta per i detenuti che gli Stati Uniti tengono nella base navale di Guantanamo. Ma quasi subito alcune guardie si accorgono di lui e lo portano via.
La zona militare degli Stati Uniti, nella parte orientale di Cuba, è lo scenario di molti drammi umani al di qua e al di là delle sue frontiere imposte contro la volontà popolare nel 1903. La frontiera è disseminata di mine con cui il governo cubano evita l’esodo dei suoi cittadini in territorio statunitense, contravvenendo alla convenzione di Ottawa del 1997, che vieta l’uso, lo stoccaggio e la produzione di queste trappole mortali. Qualche settimana fa un ragazzo di sedici anni e suo fratello avevano trovato un oggetto con cui giocare. Gli hanno dato un calcio e c’è stato uno scoppio. Il più piccolo è finito in ospedale, l’altro al cimitero.
Non sempre i muri separano due luoghi diversi. A volte dividono persone che si somigliano per sogni o problemi. È il caso di questo perimetro intorno a cui abita il desiderio di fuggire dall’altra parte. Alcuni indossano uniformi arancioni, sono accusati di appartenere ad Al Qaeda e sognano di uscire dalla prigione. Altri si trascinano dietro la monotonia delle loro vite e la frustrazione che li spinge a rischiare per raggiungere questa Guantanamo che non conoscono, dove ondeggia una bandiera piena di stelle.
Internazionale n.897 del 13 maggio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
IL BENIAMINO IN FUGA
I succhi di frutta nei tetrapack colorati con il logo “Tropical Island” sono tornati sul mercato. Erano scomparsi per mesi perché l’azienda che li produceva, Rio Zaza, era bloccata da un’indagine della polizia. Il cileno Max Marambio, il socio principale dell’azienda, è scappato mentre la causa era ancora in corso, lasciando i suoi clienti senza i succhi di frutta. La notizia è apparsa su Granma e così molti cubani hanno scoperto il nome di un uomo che per anni è stato dietro le quinte di molte iniziative commerciali dell’isola.
Questo succede in un paese dove ancora oggi un cubano non può guidare un’industria, importare materie prime o vendere le sue merci all’estero. All’improvviso quest’uomo ci è stato presentato come un delinquente che si è macchiato di corruzione, truffa e falsificazione di documenti bancari o commerciali. Gli stessi che gli avevano concesso dei privilegi l’hanno condannato in contumacia a vent’anni di carcere.
Marambio non è un imprenditore qualsiasi. La sua storia nelle forze speciali del ministero dell’interno, i favori che gli ha concesso Fidel Castro e la vicinanza alle persone processate e giustiziate nel 1989, tra cui il generale Arnaldo Ochoa, lo rendono un testimone eccezionale degli intrighi del potere a Cuba. Con la notizia della sua fuga si sono moltiplicate le teorie su come avrebbe potuto raccontare i passaggi nascosti della storia nazionale. Ma il reo ha preferito tacere, nascondendosi dietro al denaro
Internazionale n.898 del 20 maggio 2011
dall’Avana Yoani Sànchez
AGGIRARE L’INSULARITA’
Stava sfogliando il suo passaporto quando è squillato il telefono. La comunicazione era disturbata, ma lei è riuscita a sentire la voce di un amico che vive alle Canarie gridare: “Hai saputo? I cubani potranno viaggiare come turisti!”. Poi la linea è caduta e lei si è ritrovata davanti agli occhi il documento blu, pieno di visti per entrare in tanti paesi ma senza neanche un permesso per uscire dal suo. Con una certa speranza si è incamminata verso l’ufficio per l’immigrazione e gli stranieri della sua zona. Non è immigrata né straniera, ma solo lì potevano darle il salvacondotto per dire addio all’insularità.
Il 9 maggio è apparsa nelle edicole la versione definitiva delle linee guida approvate dal sesto congresso del Partito comunista di Cuba. Migliaia di occhi hanno scorso velocemente le promesse di produzione e le espressioni di ottimismo fino a trovare la pepita d’oro della flessibilizzazione migratoria. Era una breve frase, ma abbastanza per alimentare i titoli della stampa straniera.
Per questo lei è andata di corsa in quell’ufficio e, con il documento in mano, ha chiamato in causa le linee guida del congresso. Un capitano l’ha scrutata dai sandali fino alla fronte. “Prova ad andare all’aeroporto e a prendere un volo senza un permesso di uscita. Vedi un po’ se ci riesci”, le ha detto in tono di sfida. E allora ha capito che niente era cambiato. Anche se i titoli della stampa straniera, l’amico dalle Canarie e i suoi desideri l’avevano spinta a credere il contrario.
Internazionale 899 del 27 maggio 2011
Dall’Avana Yoani Sànchez
MATERASSI
Dal balcone sento un grido: “Materassi, materassai!”. Due uomini con un carretto parcheggiato sotto casa si offrono di riparare le molle rotte e la vecchia imbottitura dei nostri letti. Un lavoro molto richiesto, a causa dei prezzi esorbitanti dei materassi nuovi in vendita nei negozi che accettano solo pesos convertibili. Le casalinghe sono bravissime a nascondere sotto le lenzuola e i cuscini i buchi della fodera e i rigonfiamenti dell’ovatta.
Quando le famiglie si trasferiscono, il momento più difficile è quello in cui bisogna tirare fuori i materassi logori per portarli sul camion diretto verso la nuova casa. La gente se ne vergogna e avvolge i materassi in teli colorati per nasconderne l’età. Ancora oggi, in molte case cubane le persone riposano sulla stessa superficie dove hanno dormito i loro nonni. I bambini dormono nel letto comprato all’epoca del matrimonio di qualche antenato ormai dimenticato. Invece i materassi ortopedici multistrato sono in bella mostra nelle vetrine dei grandi magazzini.
Nel frattempo i miei vicini di casa trasportano giù in ascensore i loro confusi ammassi di tela e cotone, con la struttura in fil di ferro ormai persa o distrutta. Nella strada i due uomini lo esaminano con attenzione, lo cuciono da una parte e raddrizzano le molle dall’altra. Quando avranno messo l’ultimo punto, il materasso tornerà nella camera dov’è stato per quasi cinquant’anni, in attesa del prossimo rammendo.
Internazionale n. 900 del 2 giugno 2011
Dall’Avana Yoani Sànchez
APATICI O FANATICI?
È sabato sera e calle G è piena di ragazzi seduti sul prato o stipati nelle zone più buie del parco. Dai balconi vicini gli anziani li osservano e fanno commenti così triti e ritriti da essere diventati noiosi: “Questa gioventù è perduta”. Gli sembrano strampalati i vestiti neri, i tatuaggi dai motivi grotteschi e l’aspetto languido di ragazzi che sembrano usciti da un manga giapponese. Ma soprattutto gli adulti criticano la loro apatia. Li accusano di vivere al di fuori della realtà.
Eppure se mi metto a pensare a quand’ero adolescente mi rendo conto che a noi è toccata un’epoca troppo sobria. Erano i tempi del lavoro volontario durante i fine settimana, delle pratiche militari che sembravano infinite e della noiosa tv di stato come unico mezzo di distrazione. A differenza dei giovani di oggi, uscire per strada con i capelli tinti di un colore sgargiante o con i jeans poteva essere interpretato come una deviazione ideologica. Figuriamoci leggere una rivista di fumetti stranieri!
Ecco perché quando vedo questi ragazzini indolenti mi sento sollevata e felice. Preferisco che siano apatici e non fanatici, che stiano attaccati all’mp3 invece di organizzarsi per andare a combattere in trincea. Sono felice che per loro sia anacronistico ripetere slogan o iscriversi all’unica organizzazione giovanile autorizzata dalla legge. So che riusciranno a svegliarsi da quest’inerzia. Sarà molto più facile di quanto non sia stato per noi lasciarci alle spalle il fanatismo.
Internazionale n. 901 del 10 giugno 2011
Dall’Avana Yoani Sànchez
CAMPI DA GOLF
Gli irrigatori umidificano il vasto terreno. L’erba è tagliata così corta da sembrare artificiale e i golf cart pieni di palline tirate a lucido sembrano usciti da un cartone animato. E’ tutto così perfetto che fanno male gli occhi. I nuovi campi da golf cominciano a spuntare sull’isola e suscitano lo stupore dei cubani, che conoscono meglio di chiunque altro il degrado e l’improvvisazione del resto del paese.
La costruzione dei campi è stata accompagnata da molte discussioni sottovoce sull’opportunità di erigere degli spazi di lusso per turisti durante la crisi economica. M;a l’ultima parola l’ha avuta il sesto congresso del partito comunista cubano, stabilendo che i campi erano necessari per attirare i visitatori dalle tasche più gonfie.
Anche se sono belle, queste distese verdi sollevano dubbi e non certezze. La nostra diffidenza non è dovuta né a un rifiuto del golf né all’attaccamento al baseball, il passatempo nazionale. L’incertezza dipende dal fatto che questi luoghi di ricreazione paradisiaci sorgeranno in un paese segnato dall’inefficienza produttiva, dall’improvvisazione a tutti i livelli e dalla mancanza di qualità nella maggior parte dei servizi.
Con i loro green perfetti e una costanze pioggia nebulizzata, i campi da golf aumenteranno il contrasto tra la Cuba turistica e quella reale, tra le persone che lanciano le palline bianchissime e quelli che possono solo stare a guardare dall’altra parte della recinzione.
Internazionale n.902 del 17-23 giugno 2011
Dall’Avana Yoani Sànchez
DIPENDENZA
In questi giorni sono stati firmati più di cento accordi bilaterali tra Cuba e il Venezuela. Il timore è che la nuova ondata di risorse in arrivo dall’esterno rafforzi la sfera statale a scapito di quella privata. Tra le ragioni che hanno frenato l’iniziativa privata alla fine degli anni novanta c’è stato l’arrivo al potere di Hugo Chàvez. Grazie al sostegno materiale offerto da Caracas, Fidel Castro ha trovato un modo più centralizzato e meno pericoloso di sostenere le casse dello stato.
Ecco perché questi ultimi accordi, che valgono 1,3 miliardi di dollari per il 2011, sono preoccupanti. Come se non bastasse, ogni giorno dalla terra di Boh’var arrivano centomila barili di greggio. Anche se il governo lo definisce uno scambio equo e solidale tra due popoli uniti da un sentimento fraterno, è difficile nascondere la nostra inferiorità. La stampa ufficiale giustifica l’arrivo di risorse così ingenti con il fatto che Cuba fornisce al Venezuela dei servizi medici. Ma tutti sanno che il personale sanitario della missione Barrio adentro riceve uno stipendio basso.
Il rischio di svegliarci un giorno e venire a sapere che Chàvez non c’è più, com’è successo con il muro di Berlino, incombe su questa nuova dipendenza. La paura nasce da quello che abbiamo già vissuto. Fino a quando ci sarà un partner potente a sostenerci, le fragili gambe del paese non riusciranno a svilupparsi e la sovranità economica di cui tanto abbiamo bisogno non farà che slittare in avanti
Internazionale 903 del 24-30 giugno 2011
Dall’Avana Yoani Sànchez
CAFFETTIERE ESPLOSIVE
Una settimana fa il quotidiano Granma ha pubblicato un breve articolo che potrebbe far parte di un’antologia dell’assurdo. In tono didattico e quasi di rimprovero, spiegava ai lettori come preparare il caffè con una caffettiera italiana. Per un popolo accanito bevitore di caffè è stato buffo leggere questa spiegazione. L’articolo era accompagnato da varie foto che mostravano le proporzioni “corrette” di acqua e polvere da usare. Se uno straniero avesse letto quel testo avrebbe pensato che noi cubani stessimo cominciando a interessarci per la prima volta a quello che gli africani chiamarono “il nettare nero degli dèi bianchi”.
Sul mercato razionato è in vendita solo un caffè mescolato con i piselli al 50 per cento. La miscela, oltre ad avere un pessimo sapore, nasconde anche un grande pericolo: fa scoppiare le caffettiere perché ostruisce la valvola di sfogo. Le lamentele hanno sommerso il ministero del commercio interno, e diverse persone sono finite in ospedale con bruciature o ferite. L’umorismo di strada ha soprannominato la nuova miscela Bin Laden.
Il malcontento è così forte che il quotidiano del partito comunista è stato obbligato a renderne conto sulle sue pagine. Ovviamente, secondo Granma, la colpa non è della miscela di chicchi varietà arabica e piselli importati, ma dei consumatori che non sanno preparare la caffettiera. Al cattivo sapore del caffè ora si aggiunge la sensazione di essere messi in ridicolo dai mezzi d’informazione ufficiali.