La Croce quotidiano 29 novembre 2016
Un falso mito, quello del “Leader Maximo” della Rivoluzione Cubana, sulla cui responsabilità storica e politica la recente morte, avvenuta venerdì scorso a L’Avana, non ha aperto squarci di luce. Il dopo-Castro, inoltre, non è certo che porti alla libertà. Ci consoliamo, mentre il “mondo libero” intona peana al dittatore, piangendo tutta la libertà uccisa in 57 anni di dittatura
di Giuseppe Brienza
«Picchiato a morte dalla polizia. La denuncia dei dissidenti cubani». Quanti titoli di questo genere abbiamo letto fino a poco tempo fa nelle cronache da L’Avana! Ora che Fidel Castro, ex presidente del consiglio di Stato e del Governo della Repubblica di Cuba, è morto nella tarda serata di venerdì 25 novembre, all’età di novant’anni, tutta questa “eredità” è però d’un colpo svanita nel nulla. Gli episodi di tortura, le esecuzioni, la violazione della dignità e dei diritti umani, però, che hanno avuto come vittime dissidenti politici ma anche leader ed esponenti religiosi, contrassegnano tutto (o quasi) il mezzo secolo di vita di questo regime militare totalitario e dinastico del Sudamerica, guidato negli ultimi anni da due ottuagenari: Fidel e Raúl Castro.
Nato a Birán il 13 agosto 1926, figlio del proprietario terriero spagnolo Ángel Castro e della cubana Lina Ruz, Fidel Castro ha studiato prima nei collegi La Salle e Dolores di Santiago de Cuba, poi, dal 1941 al 1945, all’Avana, nella prestigiosa scuola di Belén tenuta dai gesuiti. La laurea in legge coincide con gli anni della salita al potere di Fulgencio Batista (1901-1973) con il “golpe dei sergenti” del 1933 e con la nuova costituzione del 1940. Castro è subito uno dei principali oppositori di Batista, prima nei tribunali, poi, nel luglio del 1953, con l’assalto alla caserma della Moncada. L’attacco fallisce e Castro è condannato a quindici anni di prigione.
Due anni dopo viene rilasciato grazie a un’amnistia generale e va in esilio negli Stati Uniti e in Messico. Qui conosce uno studente fuori corso di medicina, Ernesto “Che” Guevara (1928-1967), con il quale maturò a fondo la sua visione sovversiva e rivoluzionaria. Proprio con il “Che” e con altri esuli cubani, un anno dopo, Castro ritornò clandestinamente in patria dando avvio alla guerriglia sulle montagne della Sierra Maestra. L’anno della svolta è il 1959: i “barbudos”, come venivano chiamati Castro e i suoi uomini, rovesciarono Batista per entrare all’Avana. Da quel momento, Cuba diventa uno dei principali avamposti sovietici in America e, quindi, scacchieri della contrapposizione tra Est ed Ovest.
Castro lascia teoricamente il potere nel 2008, anche a causa di motivi di salute. Da quel momento si dimette da presidente per passare la mano al fratello Raúl. Ed è stato proprio quest’ultimo a dare la notizia in diretta tv della morte del “Leader Maximo” della Rivoluzione Cubana, cui seguono ben nove giorni di lutto nazionale. Ai funerali di Fidel, che si terranno domenica prossima a Santiago de Cuba, non parteciperà Juanita Castro, una delle sorelle di Fidel, in segno di solidarietà con gli esuli di Miami (dove l’anziana risiede dal 1964).
Alle esequie non parteciperanno naturalmente le tre generazioni di dissidenti che, dalla lontana Rivoluzione del 1959, si sono succedute dentro e fuori dell’isola caraibica. Quella dei giovanissimi tra i 16 e i 35 anni, che combatte il regime facendo uso delle nuove tecnologie, quella dei giovani fra 36 e 55 anni, che hanno vissuto della repressione “nascosta” del dopo-Guerra Fredda e, infine, quella dei veterani, cioè degli uomini e donne che vanno dai 56 ai 76 anni, che hanno dovuto subire la persecuzione più dura, tipica di tutti i Paesi comunisti durante la Guerra Fredda.
Come ha testimoniato Guillermo Coco Farinas, psicologo e giornalista cubano appartenente a quest’ultima “categoria” di dissidenti, tutte e tre le generazioni sono comunque accomunate da grandi privazioni subite: «Da anni affrontano tradimenti, torture e finte esecuzioni, un metodo molto usato dal governo in passato. Essi si dedicano soprattutto ad elaborare documenti di denuncia» (p. 5). Il Dott. Farinas, riconosciuto nel 2010 Premio “Sacharov” dal Parlamento europeo, intervistato da due giornalisti di “Avvenire”, ha invitato anche a diffidare profondamente di Raúl Castro, innanzitutto perché «la repressione e le minacce contro i dissidenti continuano» (cit. in Lucia Capuzzi e Nello Scavo, Adiòs Fidel. Fede e dissenso nella Cuba dei Castro, Edizioni Lindau, Torino 2011, pp. 164).
I volumi più documentati sulla situazione attuale dell’Isola socialista ne svelano tuttora lo stato disastroso dell’economia, causato non da ultimo dalle obsolete concezioni marxiste che ancora sopravvivono nel regime. Ad esempio, «nelle industrie di Stato cubane ci sono 12.000 guardiani per impedire agli 8.000 operai di rubare merci e macchinari. La metà delle terre coltivabili in mano alle aziende di Stato è improduttiva e il Paese deve importare l’80% degli alimenti» (op. cit., p. 22).
I tenui spiragli di apertura introdotti negli ultimi anni nel regime, dalla possibilità di dormire negli alberghi riservati ai turisti alla facoltà di acquistare taluni elettrodomestici e anche un cellulare o un PC, sono ben lontani dal toccare i punti dolenti che permangono nel sistema cubano: l’assenza di libertà di stampa e di associazione, il divieto di uscire dall’isola senza autorizzazione, l’impunita corruzione della burocrazia, il dissesto finanziario. In una frase, l’assenza di Stato di diritto e di democrazia.
Negli ultimi anni il nuovo dittatore Raúl Castro è stato costretto, tanto dal dissesto economico quanto dagli insuccessi dell’economia pianificata, a promuovere l’ingresso di investimenti esteri e ad incentivare forme approssimative di attività privata. Tutte queste “riforme”, però, sono state realizzate esclusivamente per le impellenti necessità di evitare il tracollo e, quindi, sono rimaste esplicitamente nel contesto di una cultura e di un “sistema socialista”.
Le Forze armate “rivoluzionarie”, del resto, sono ancora le uniche a controllare, almeno per la stragrande maggioranza delle sue attività, l’economia cubana. Si apre però ora il tempo della speranza, come quella espressa dalla sorella di Castro Juanita, «che noi cubani sapremo trovare una strada che riesca finalmente ad unirci». Anche Papa Francesco, nel telegramma indirizzato subito dopo la morte di Fidel al presidente Raúl Castro, ha offerto «preghiere al Signore per il suo riposo», affidando «tutto il popolo cubano alla materna intercessione di Nostra Signora della Carità del Cobre, patrona di questo Paese» (cit. in È morto Fidel Castro, in “L’Osservatore Romano”, 27 novembre 2016, p. 1).
Uomo della Guerra Fredda, ha rilevato Luca Possati sull’Osservatore Romano, il sistema castrista ha conosciuto il suo definitivo fallimento nel momento del crollo dell’Unione sovietica. «Con la caduta del Muro di Berlino – ha giustamente riconosciuto lo storico delle idee e docente all’Università di Roma “La Sapienza” nel “coccodrillo” del dittatore cubano pubblicato sul giornale “ufficioso” della Santa Sede – Cuba attraversa un periodo di grave crisi economica, segno anche del fallimento del progetto castrista» (Luca M. Possati, Leader dalle mille facce, in “L’Osservatore Romano”, 27 novembre 2016, p. 3).
Oggetto di un incredibile culto della personalità da parte della sinistra “post-comunista” di tutto il mondo, Fidel è riuscito clamorosamente a mantenere il potere anche dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e il successivo tracollo dell’Unione Sovietica nel 1991. L’immagine mitica e idealista propugnata dalla propaganda interna e internazionale ha sempre cozzato però contro la dura realtà del regime.
Al contrario di quanto possa pensarsi, a testimoniare i crimini che hanno contraddistinto l’esperienza socialista cubana non sono i giornali della destra conservatrice americana che danno voce agli esuli scappati dal regime, ma le stesse dichiarazioni rilasciate anche di recente dallo stesso Castro, oltre che a suo tempo dal suo braccio destro Ernesto Che Guevara. In un’intervista riportata sul quotidiano comunista “il Manifesto” del 31 agosto 2010, ad esempio, il Leader Maximo Castro ha pubblicamente ammesso le sue colpe e chiesto scusa.
Anche per questo pare che negli ultimi anni della sua vita Fidel Castro, in preda ai sensi di colpa e agli scrupoli di coscienza, si fosse riavvicinato alla fede cristiana. Da cristiani speriamo con tutto il cuore che possa essersi sinceramente pentito dei suoi crimini. La storia non può assolverlo, ma Dio sì.