Cubo contro Cattedrale. La partita perduta della Chiesa in Francia

Grande Arche de la Défense

La Grande Arche de la Défense

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9 maggio 2005

La cultura laica stravince e la sociologa Danièle Hervieu-Léger decreta la fine del cattolicesimo francese. Ma anche la Chiesa ha le sue colpe. Gianni Ambrosio spiega perché

di Sandro Magister

ROMA, 9 maggio 2005 – Eleggendo Joseph Ratzinger a papa, i cardinali hanno anche fatto una scelta strategica: hanno individuato nell’Europa l’epicentro del grande conflitto di fede, di cultura, di civiltà – imperniato sulla visione della vita e dell’uomo – che la Chiesa cattolica dovrà affrontare nei prossimi anni e decenni. Dentro l’Europa è la Francia il centro reale e simbolico di questo conflitto.

In simbolo, il conflitto è tra “The Cube and the Cathedral”: titolo dell’ultimo saggio di George Weigel, politologo e teologo, uscito nei giorni scorsi negli Stati Uniti.  Il Cubo è La Grande Arche de la Défense, l’edificio fatto costruire a Parigi da François Mitterrand come monumento alla modernità laica. Mentre la Cattedrale è quella cattolica di Notre-Dame.  La contrapposizione tra il Cubo e la Cattedrale è quella che divide oggi in Europa il laicismo dal cristianesimo.

Nella sua ultima conferenza prima d’essere eletto papa, pronunciata a Subiaco il 1 aprile scorso, Ratzinger ha definito questa contrapposizione in termini molto radicali.  L’Europa, afferma Ratzinger, “ha sviluppato una cultura che, in modo sconosciuto prima d’ora all’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica”.  La conferma di questa esclusione è il “no” alla menzione delle radici cristiane dell’Europa nel preambolo della nuova costituzione europea.

Secondo Benedetto XVI, “le ragioni che si danno nel dibattito pubblico per spiegare questo ‘no’ sono superficiali; ed è evidente che più che indicare la vera motivazione la coprono”. La vera motivazione, a suo avviso, è che “secondo la cultura illuminista e laicista le radici cristiane non possono entrare nella definizione dei fondamenti dell’Europa perché sono radici morte che non fanno parte della sua identità attuale.

Questa nuova identità, determinata esclusivamente dalla cultura illuminista, comporta che Dio non c’entri niente con la vita pubblica e con le basi dello stato”.  La Francia è il paese europeo che più di tutti esprime questa cultura. Ed è anche il paese in cui il cattolicesimo è in più forte regresso, rispetto a un non lontano passato in cui faceva da guida anche al di fuori dei propri confini.

L’ultimo saggio importante di Danièle Hervieu-Léger, rinomata sociologa della religione, dedicato a un bilancio della condizione della Chiesa in Francia, è liquidatorio fin dal titolo: “Catholicisme, la fin d’un monde”.  Per descrivere questa fine, Hervieu-Léger inventa un neologismo: “exculturation”. È una parola che fa pensare, più che a una battaglia in atto, a una battaglia finita: col cattolicesimo totalmente estromesso dalla cultura laica dominante.  È corretta questa lettura dei fatti? E soprattutto, che parte di responsabilità ha avuto e ha la Chiesa cattolica francese in questa deriva?

A entrambi gli interrogativi risponde la recensione del libro di Hervieu-Léger riportata qui sotto. Ne è autore Gianni Ambrosio, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica di Milano e docente di sociologia della religione alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il giudizio di Ambrosio sulle responsabilità del cattolicesimo francese è molto severo: se la Chiesa è stata marginalizzata, è anche perché si è autoesclusa essa stessa.

L’errore della Chiesa di Francia – a partire da dopo la seconda guerra mondiale – è d’aver respinto il proprio ricco passato religioso in nome di una proposta pastorale nuova dai contenuti astratti: “Si è abbandonata una strada ritenendola superata, indicando solo qualche possibile sentiero in vista del rinnovamento pastorale, per di più secondo un modello alquanto utopico che fa riferimento esclusivo alla comunità, alla fraternità, al piccolo gruppo, alla scelta individuale”.

La recensione di Ambrosio del libro di Hervieu-Léger è apparsa sul n. 12, 2004 del mensile “La Rivista del Clero Italiano”, edito dall’Università Cattolica di Milano. Titolo originale: “Tra fragilità ed entusiasmo. Uno sguardo al cristianesimo che verrà”.

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“La Rivista del Clero Italiano” n. 12, 2004

Sul futuro del cattolicesimo in Francia

 di Gianni Ambrosio

 Sono sempre più numerosi i bilanci sullo stato del cristianesimo. Tra le valutazioni più drastiche spicca quella espressa da Danièle Hervieu-Léger, che in “Catholicisme, la fin d’un monde”, Bayard, Paris, 2003, non esita a pronosticare la fine del cattolicesimo in Francia.

La diagnosi è perentoria. Non si tratta solo di una crisi grave ma settoriale, relativa, ad esempio, alla perdita di fedeli da parte della Chiesa o al declino della pratica religiosa. Si tratta di una regressione complessiva che conduce il cattolicesimo alla sua fase terminale. È infatti “un monde” che finisce, riprendendo un’espressione introdotta da Émile Poulat: la crisi è generalizzata e globale, destinata, appunto, a concludersi con la morte.

Forse per questo Hervieu-Léger non s’impegna nel precisare se questa fine riguarda i cattolici che vivono in Francia, o la Chiesa come istituzione, o il credito teorico e pratico della fede cristiana. Sembra che l’esito della diagnosi sia talmente scontato da poter prescindere dalle diverse ipotesi possibili, peraltro considerate: ossia se si tratta della struttura ecclesiale troppo arcaica, o dell’inadeguatezza della predicazione cattolica, o del congedo dal cristianesimo da parte di una società diventata “pagana”.

In ogni caso la modernità, di tappa in tappa, prende le distanze dal cattolicesimo e lo sradica dal contesto culturale francese. La Francia “laica” diventa la Francia “pagana”. Per cui in quella Francia che già fu la sua “figlia primogenita” non ci sarebbe più lo spazio culturale per la madre Chiesa. Non importa se dalla Chiesa come “matrice civilizzatrice” derivano lo stato, la scuola, la giustizia.

Non importa se proprio dalla Chiesa di Francia sono arrivate, da parte di un’avanguardia riformatrice, intuizioni preziose e rigeneratrici per il rapporto fra il cristianesimo e la modernità. Il termine “pagano” è ricorrente nella letteratura pastorale francese, come ricorda l’autrice. Basti citare la nota opera “La France pays de mission?” di H. Godin e Y. Daniel, del 1943. In essa si denunciava il pericolo della scristianizzazione, intesa appunto come ritorno al paganesimo: i “nuovi pagani” della città e della fabbrica vivono nel vuoto sociale e nella corruzione morale di una società caratterizzata da una visione del mondo puramente materialista.

Cinquant’anni dopo, in un’opera che ha destato parecchio interesse, “Vers une France païenne?”, Hippolyte Simon, vescovo di Clermont, riprende il concetto di paganesimo adeguandolo alla nuova realtà. Scrive infatti di un “nuovo paganesimo” che consiste nell’accettazione supina del mondo così come esso è: il nuovo paganesimo è la schiavitù della fatalità. Per Simon, questo paganesimo può portare alla distruzione del modello di società francese, in particolare della sua laicità. Se l’idea di giustizia della società francese è connessa all’ethos cristiano e se questo ethos viene meno, allora l’idea stessa di giustizia rischia di andare perduta.

Questa deriva, prosegue Simon, interpella certamente la Chiesa e la sua missione. Ma interpella soprattutto la società francese che deve difendere la sua laicità. Perché la laicità è il luogo in cui si compiono, anche se in forma secolarizzata, i valori originati e sostenuti dal cristianesimo: l’uguaglianza delle persone, la responsabilità degli individui nell’elaborazione delle regole della vita comune, la distinzione tra la cura di Dio e gli interessi di Cesare. Per cui, conclude Simon, “il vero dibattito, il solo che conta, non passa tra i credenti e i ‘miscredenti’, come si autodefiniscono. Passa da un lato tra coloro che riconoscono la dignità della persona umana come il valore eminente che dà senso a ogni azione personale e collettiva e dall’altro lato quelli che sono pronti a fare della persona uno strumento al servizio dell’idolatria, di qualunque ordine essa sia” .

Per questo, secondo Simon, la missione odierna della Chiesa non comporta affatto il rifiuto di questa modernità e dell’idea francese di laicità. Anzi, oggi la Chiesa intende salvare queste acquisizioni rispetto all’invasione delle nuove forme di credenza pagana che spingono gli individui alla fatalità. È la società stessa che deve avere un “soprassalto collettivo” se vuole salvare se stessa e non sprofondare nell’insignificanza pagana della modernità.

LE TAPPE DELLA MODERNITÀ VITTORIOSA

Per Hervieu-Léger, invece, non c’è stato e non ci sarà alcun “soprassalto collettivo” della società francese, la quale non avverte la minaccia pagana nelle diverse (e in parte contrapposte) versioni di Godin-Daniel e di Simon. La società francese continua la sua strada all’insegna della modernità, procedendo per tappe progressive verso “l’exculturation” del cattolicesimo. Un cammino reso ancor più spedito se si considera che il cattolicesimo, nel frattempo, ha perso i suoi tradizionali punti di appoggio come la ruralità e la famiglia, luoghi di trasmissione della visione del mondo, della fede, della morale, senza averne cercati o trovati altri.

Si possono indicare rapidamente alcune tappe di questo processo.

La prima è la “laicizzazione” operata dalle “Lumières à la française”, dalla “Révolution”, dalla “République”. Il “monopolio ecclesiale della trascendenza” è così dissolto a favore della ragione, della libertà, dello stato laico, dello spirito scientifico e tecnico.

La seconda tappa è caratterizzata dalla “secolarizzazione interna” al mondo ecclesiale, causata del lavorìo della modernità all’interno della sfera religiosa, con la polemica fra l’affermazione dei valori religiosi o di quelli profani, fra l’idea della comunità religiosa elitaria e quella di istituzione religiosa popolare, fra il cattolicesimo festivo e il cattolicesimo impegnato.

Si arriva, infine, alla terza tappa, segnata dall’“ultramodernità”, intesa come accentuazione di quella modernità che si è affermata come liberazione da ogni pregiudizio e da ogni ipocrisia e come autonomia di giudizio morale. Essa è “la messa in questione dei fondamenti di ogni assolutezza”, di ogni riferimento che trascenda l’individuo, dalla natura all’autorità, dal legame coniugale alle istituzioni sociali, dalle norme ai valori.

A questo punto, sia l’edificio istituzionale della Chiesa sia il fondamento della fede cristiana (dai contenuti della fede ai principi morali, dal magistero all’obbedienza) si trovano fuori dalla nuova logica culturale. Con la corsa al benessere e alla felicità, solo l’io sta al centro, soltanto l’io ha diritto di piena cittadinanza in una cultura polarizzata dal compimento di sé. Da qui si concepiscono e si vivono le relazioni tra gli individui e tra questi e il mondo; da qui si valuta ogni valore e ogni comportamento.

Il compimento di sé è il punto di riferimento e il principio di base della nuova etica. Questo demone cui ubbidire è da un lato del tutto intimo (etica del soggetto) e d’altro lato è pure planetario, in quanto sospinge, in funzione del soggetto, alla cura del pianeta e alla salvaguardia dell’ambiente (etica ecologista). È inoltre estremamente suadente e persuasivo, riferendosi alla spontaneità delle esigenze psico-fisiche del soggetto individuale, ma è pure fortemente esigente ed imperativo, ponendo in rapporto l’assoluto del compimento di sé con le esigenze dell’altro, e dunque con il complessivo contesto societario.

L’INCOMPRENSIONE DEL MUTAMENTO ANTROPOLOGICO

Il saggio di Hervieu-Léger non si limita alla situazione della Chiesa francese e al confronto fra cristianesimo e modernità. Se l’interesse è rivolto innanzi tutto ai cambiamenti in ambito religioso, di fatto l’opera si sofferma e si concentra sulle trasformazioni della società e in particolare della cultura, considerate dal punto di vista del cattolicesimo. Il fatto religioso serve come porta di accesso per un’analisi più ampia delle mutazioni del legame sociale e della visione del mondo, come avviene nella tradizione sociologica classica, in particolare francese.

È in questa luce che il cattolicesimo subisce, secondo l’interpretazione dell’autrice, una dequalificazione culturale così palese e profonda da sprofondare nell’insignificanza culturale. Così la Chiesa, già estromessa dalla società e dalla politica per opera della laicità ottocentesca, si trova ora eliminata anche dalla scena culturale. Oggi inoltre il cattolicesimo deve affrontare un’ulteriore sfida, ben più radicale, quella dell’individuo “legislatore di se stesso”, il quale, insensibile ai riferimenti simbolici del messaggio religioso, nega alla radice la pretesa della Chiesa di dire la verità circa la vita.

Come allora la Chiesa può affrontare la sfida? L’autrice non si sofferma direttamente sull’argomento che non è, di per sé, di pertinenza della sociologia, tanto più se il verdetto circa la fine del cattolicesimo in Francia è già decretato. Tuttavia è utile esaminare ciò che potrebbe essere considerato come un problema della pastorale.

Emerge infatti il limite della strategia ecclesiale che ha accompagnato – o forse inseguito – l’affermarsi dell’individuo, accogliendo la “laicitè à la française”, andando incontro ai bisogni psico-spirituali, accettando di inserire l’interiorità nell’espressività religiosa. Il rischio per la Chiesa (e per il cristianesimo) è stato di disintegrarsi, di diventare solo una delle tante risorse per il benessere dell’individuo. E dunque, alla fine, di accettare di situarsi fuori dalla cultura, anche se la Chiesa di Francia – “stimata e stimabile”, precisa l’autrice – continua ad essere presente per il servizio interiore e psicologico.

Sembra dunque che la Chiesa non abbia voluto o potuto comprendere la trasformazione della visione del mondo nel tempo dell’“affermazione della componente psicologica della modernità, che dona all’individualismo contemporaneo la sua tonalità particolare”. In altri termini, sembra che la Chiesa, assieme alle altre istituzioni tradizionalmente incaricate di dare senso all’avventura comune, abbia già messo in conto la sua delegittimazione.

Proprio l’incomprensione della radicalità del tornante antropologico – che concerne sia il legame sociale e il rapporto con il mondo, sia “la trasformazione qualitativa del rapporto con la natura indotta dalle avanzate folgoranti della scienza e delle tecnologie, in particolare negli ambienti delle scienze del vivente e delle neuroscienze” – accentua drammaticamente la crisi del rapporto fra cattolicesimo e modernità.

ILLEGGIBILITÀ DELLA CHIESA E AUTOESCLUSIONE DELLA CHIESA?

Se infatti sono almeno due secoli che la crisi caratterizza il rapporto fra cattolicesimo e modernità, non si deve trascurare che solo negli ultimi trent’anni la crisi è divenuta esiziale, fino ad arrivare, secondo la diagnosi di Hervieu-Léger, alla “illeggibilità” della Chiesa, alla fuoriuscita del cattolicesimo dalle evidenze collettive, alla totale sconnessione fra le rappresentazioni dei francesi e la cultura cattolica. Si potrebbe dire che il recente cattolicesimo francese, dopo aver abbandonato i luoghi classici del suo radicamento, e cioè la ruralità e la famiglia, non abbia saputo o voluto cercare altri luoghi per radicarsi.

Il processo di “exculturation” del cattolicesimo in Francia non è solo connesso al disincanto del mondo o alla secolarizzazione che rende poco plausibile il discorso religioso. Esso è connesso anche al declino generale del regime dell’istituzionalità. Ciò coinvolge in modo del tutto particolare la Chiesa, in quanto tale regime aveva in sé una matrice implicitamente religiosa. Questo è il punto che interpella decisamente la pastorale.

Se riconosciamo che le istituzioni sono abitate dalle persone, non possiamo non chiederci se il declino dell’istituzionalità non sia stato favorito dalle decisioni e dalle strategie messe in atto. L’interrogativo non è indebito. La questione è in qualche modo posta dalla stessa autrice quando afferma che “l’apparente dispersione di strategie ecclesiali aggrava, ad intra e ad extra, il sentimento di illeggibilità del cattolicesimo”.

Insomma, sembra che il processo che porta alla marginalità della Chiesa vada di pari passo con l’autoesclusione della stessa Chiesa, per le sue strategie dispersive che trascurano la trasmissione della memoria religiosa nel vissuto, fino a lasciar da parte quel “lavoro civilizzatore” e quella produzione di senso che il cattolicesimo francese del passato ha saputo offrire, pur nella polemica con la “République” e con la modernità. “La fine di un mondo non è necessariamente la fine del mondo”, conclude l’autrice. L’affermazione, al di là dell’arguto gioco di parole, appare in qualche modo consolatoria. Ma Hervieu-Léger va oltre, indicando anche la strategia per la Chiesa.

Afferma infatti che il “cattolicesimo fragile” non è affatto di “basso profilo”, ma “è senz’altro la sola risposta realista e razionale al movimento irreversibile dell’exculturation”. Una valutazione sorprendente nell’opera di una sociologa: ci si può chiedere se essa sia basata sull’“osservazione partecipante”, secondo il metodo sociologico, oppure sia una valutazione troppo funzionale alla tesi sostenuta. Comunque, non è certo meno inquieto il sonno di chi ha a cuore il “mondo”: quel mondo che è il cristianesimo e la Chiesa, come pure quel mondo che è la società degli uomini in cui si costruisce l’identità cristiana in un luogo-tempo determinato. […]

NOTE CONCLUSIVE

Mi limito ad alcune rapide annotazioni che, pur concernendo in parte l’opera esaminata, tengono presente la questione delle pratiche pastorali per una presenza significativa della Chiesa nella realtà di oggi. La prima osservazione riguarda il rischio di una lettura semplificatrice della realtà religiosa e sociale.

L’analisi di Hervieu-Léger, pur prendendo le distanze dalla “minaccia pagana”, deve fare i conti con l’immagine idealizzata della Francia rurale e cattolica, rispetto alla modernità e in seguito alla “ultramodernità” che estromette il cattolicesimo dall’universo culturale. In più occasioni si avverte una certa fragilità dell’interpretazione dovuta a uno schematismo così sintetizzabile. Posta l’affinità elettiva di ruralità e cattolicesimo, ne deriva l’incompatibilità tra modernità urbana e cattolicesimo/Chiesa. […]

La seconda osservazione riguarda il riferimento al “paganesimo” e alla “minaccia pagana”. Questo riferimento risulta problematico, sia dal punto di vista metodologico sia dal punto di vista contenutistico. Come è stato osservato, il termine venne reintrodotto da “La France pays de mission?”, opera che è stata – assieme alla lettera pastorale del cardinale di Parigi , Emmanuel Suhard , “Essor ou déclin de l’Église”, 1947 – punto di riferimento per il rinnovamento pastorale in Francia e altrove, nel dopoguerra. Partendo dalle giuste istanze di una pastorale rinnovata, si è attuata una sorta di contrapposizione forzata fra la pastorale attuata e quella auspicata.

L’esigenza di una pastorale missionaria ha comportato un giudizio molto critico sulla pastorale attuata. Tuttavia, alla svalutazione del passato religioso, delle mediazioni culturali e dei gesti rituali che la tradizione cristiana aveva consegnato, non ha corrisposto una proposta pastorale nuova dai contenuti precisi e praticabili.  Si è abbandonata una strada ritenendola superata, indicando solo qualche possibile sentiero in vista del rinnovamento pastorale, per di più secondo un modello alquanto utopico che fa riferimento esclusivo alla comunità, alla fraternità, al piccolo gruppo, alla scelta individuale. Ma appare difficile realizzare il processo di trasmissione della fede in una sorta di vuoto causato dall’abbandono di quei legami sociali utilizzati dal cattolicesimo per aggregarsi e per costituirsi come gruppo sociale.

In definitiva, proprio la contrapposizione tra la pastorale tradizionale ritenuta superata e la nuova ma ipotetica ed astratta forma pastorale può aver contribuito a ”l’exculturation” del cattolicesimo.

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George Weigel: La cattedrale e il cubo. Europa, America e politica senza Dio – Rubettino – pag 150