Cultura, Europa e “rieducazione”

GPIICristianità n. 180-181 (1990)

(…) non basta opporsi dialetticamente all’ultima espressione dell’errore e all’ultima fase dell’errare, non basta rivoltarsi contro le teorie da noi stessi formulate e incessantemente modificarle: la soluzione sta solo nel taglio del nodo gordiano culturale, quindi storico. “Cosa bisogna fare? Ritornare al punto di partenza da cui abbiamo preso la via sbagliata (…)”

di Giovanni Cantoni

1. Venerdì 12 gennaio 1990, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura, di fronte ai quali – dopo aver premesso che sono in corso “grandi mutamenti culturali che scuotono il mondo”, sì che si impone un migliore discernimento dei “segni dei tempi” e delle “nuove vie dell’inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture”, quindi che “l’anno che si è appena concluso è stato ricco di avvenimenti eccezionali, che richiamano giustamente la nostra attenzione, in questo ultimo decennio del nostro millennio” – ha rilevato che “un comune sentimento sembra oggi dominare la grande famiglia umana”.

“Tutti si chiedono quale avvenire costruire nella pace e nella solidarietà, in questo passaggio da un’epoca culturale a un’altra. Le grandi ideologie hanno mostrato il loro fallimento dinnanzi alla dura prova degli avvenimenti. Sistemi sedicenti scientifici di rinnovamento sociale, e anche di redenzione dell’uomo da sé stesso, miti della realizzazione rivoluzionaria dell’uomo si sono rivelati, agli occhi di tutti, per quel che erano: tragiche utopie che hanno provocato un regresso senza precedenti nella storia tormentata dell’umanità” (1). Inoltre, poiché, “in mezzo ai loro fratelli, la resistenza eroica delle comunità cristiane contro il totalitarismo disumano ha suscitato l’ammirazione”, grazie a essa “il mondo attuale riscopre che, lungi dall’essere l’oppio dei popoli, la fede in Cristo è la migliore garanzia e lo stimolo della loro libertà”.

Dunque, “alcuni muri sono crollati. Alcune frontiere si sono aperte. […] Un messianismo terreno è crollato e sorge nel mondo la sete di una nuova giustizia. È nata una grande speranza di libertà, di responsabilità, di solidarietà, di spiritualità. Tutti chiedono una nuova civiltà pienamente umana, in quest’ora privilegiata che stiamo vivendo. Quest’immensa speranza dell’umanità non dev’essere delusa: tutti dobbiamo rispondere alle attese di una nuova cultura umana. Questo compito esige [] riflessione e richiede […] proposte”.

“Non mancano nuovi rischi d’illusione e di delusione. L’etica laica ha provato i suoi limiti e si confessa impotente dinnanzi ai terribili esperimenti che si effettuano su esseri umani considerati come semplici oggetti di laboratorio. L’uomo si sente minacciato in un modo radicale dinnanzi a politiche che decidono arbitrariamente sul diritto alla vita o sul momento della morte, mentre le leggi del sistema economico gravano pesantemente sulla sua vita familiare”.

“La scienza rivela la sua impotenza a rispondere alle grandi domande sul senso della vita, dell’amore, della vita sociale, della morte. E gli stessi uomini di Stato sembrano esitare sui cammini da intraprendere per costruire questo mondo fraterno e solidale che tutti i nostri contemporanei chiedono a viva voce, sia all’interno delle nazioni che su scala continentale”.

In questa situazione, è compito delle donne e degli uomini di cultura pensare questo avvenire alla luce della fede cristiana che li ispira. “La società di domani dovrà essere diversa in un mondo che non tollera più le strutture statali disumane. Dall’Est all’Ovest e dal Nord al Sud, la storia in movimento rimette in questione un ordine che si fondava anzitutto sulla forza e sulla paura. Questa apertura verso nuovi equilibri richiede saggia meditazione e audace previsione”.

Dopo queste considerazioni di carattere generale, Papa Giovanni Paolo II concentra la sua attenzione sull’Europa e osserva che appunto tutta l’Europa s’interroga sul suo avvenire, quando il crollo dei sistemi totalitari richiede un profondo rinnovamento delle politiche e provoca un vigoroso ritorno delle aspirazioni spirituali dei popoli. L’Europa, per necessità, cerca di ridefinire la sua identità oltre i sistemi politici e le alleanze militari. E si riscopre un continente di cultura, una terra irrigata dalla millenaria fede cristiana e, nello stesso tempo, nutrita da un umanesimo laico percorso da correnti contraddittorie. In questo momento di crisi, l’Europa potrebbe essere tentata di ripiegarsi su sé stessa dimenticando momentaneamente i legami che la uniscono al vasto mondo. Ma grandi voci, dall’Est all’Ovest, l’invitano a innalzarsi alla dimensione della sua vocazione storica, in quest’ora al tempo stesso drammatica e grandiosa”. Perciò l’Europa deve essere aiutata “a ritrovare le sue radici e a costruire il suo avvenire, conformemente al suo ideale e alla sua generosità”.

A conclusione Papa Giovanni Paolo II segnala che quelli da lui toccati sono i temi da meditare “al tramonto di un secolo che ha conosciuto troppo orrore e terrore, e che riprende ad aspirare a una cultura pienamente umana“, e deve partire dalla considerazione secondo cui, “se l’avvenire è incerto, una certezza abita in noi. Questo avvenire sarà come gli uomini lo faranno, con la loro libertà responsabile, sostenuta dalla grazia di Dio. Per noi, cristiani, l’uomo che vogliamo aiutare a crescere nel cuore di tutte le culture è una persona di una dignità incomparabile, immagine e somiglianza di Dio, di questo Dio che ha preso sembianza d’uomo in Gesù Cristo”.

“L’uomo può apparire oggi esitante, talora ostacolato dal suo passato, inquieto per il suo avvenire, ma è anche vero che un uomo nuovo emerge con una nuova statura sulla scena del mondo. La sua aspirazione profonda è quella di imporsi nella sua libertà, di procedere con responsabilità, di agire per la solidarietà. A questo crocevia della storia in cerca di speranza, la Chiesa gli porta la linfa sempre nuova del Vangelo, creatore di cultura, sorgente d’umanità e nello stesso tempo promessa d’eternità. Il suo segreto è l’Amore.

È il bisogno primordiale di ogni cultura umana. E il nome di questo Amore è Gesù, Figlio di Maria”, che va portato, “come lei, con fiducia, su tutti i cammini degli uomini, nel cuore delle culture che dobbiamo costruire da uomini, con gli uomini e per tutti gli uomini”, certi che “la forza del Vangelo è capace di trasformare le culture del nostro tempo con il suo fermento di giustizia e di carità, nella verità e nella solidarietà. Questa fede che diviene cultura è sorgente di speranza”.

2. Lo sviluppo “sul campo” della stessa tematica, il Sommo Pontefice ha affrontato sabato 21 aprile 1990, nella Galleria Rodolfo del Castello di Praga, nella Repubblica Federativa Ceca e Slovacca, parlando ai rappresentanti del mondo della cultura, delle Chiese non cattoliche e agli studenti (2).

Dopo aver affermato che l’Europa unita non è più soltanto un sogno, non è un ricordo utopico del Medioevo”, nota come “le vicende di cui siamo testimoni dimostrano che tale traguardo è concretamente raggiungibile. L’Europa, sconvolta dalle guerre e ferita da divisioni che ne hanno minato il libero sviluppo, è alla ricerca di una nuova unità”. Ma “questo processo non è e non può essere un evento soltanto politico ed economico; esso ha una profonda dimensione culturale, spirituale e morale. L’unità culturale d’Europa vive nelle e dalle culture diverse, che a vicenda si compenetrano e si arricchiscono. Questa particolarità caratterizza l’originalità e l’autonomia della vita del nostro Continente. La ricerca dell’identità europea ci conduce alle sorgenti”.

Esiste dunque un’unità culturale, spirituale e morale che precede quella politica ed economica, un’unità nella e dalla diversità che si tratta di ritrovare, di porre a fondamento e di elevare a norma di quelle politica ed economica; e in questa ricerca, è straordinariamente importante aver presente che, “se la memoria storica dell’Europa non si spingerà oltre gli ideali dell’illuminismo, la sua nuova unità avrà fondamenti superficiali e instabili. Il cristianesimo, portato in questo Continente dagli Apostoli e fatto penetrare nelle varie sue parti dall’azione di Benedetto, Cirillo, Metodio, Adalberto e di una innumerevole schiera di Santi, è alle radici stesse della cultura europea. Il processo verso una nuova unità dell’Europa non potrà non tenerne conto!”.

Infatti, “come diventerebbe povera la vita spirituale, morale e culturale […], se dovesse esserne escluso tutto ciò che era, è e sarà ispirato dalla fede cristiana!”. Però, dopo il tentativo di togliere alla cultura, alla vita e all’avvenire di molte nazioni europee la dimensione spirituale e religiosa, sì che – se tale tentativo fosse riuscito – si sarebbe perduta la sorgente dell’ispirazione e dell’energia morale per risolvere molti scottanti problemi dell’oggi e per costruire la civiltà del domani, “tale civiltà non può poggiare su una visione ristretta dell’uomo, quale quella materialistica, né su una interpretazione unilateralmente spiritualistica, quale quella orientale. Occorre rifarsi ad una visione integrale che colga l’uomo in ogni sua dimensione: spirituale e materiale, morale e religiosa, sociale ed ecologica”.

3. Dunque, l’itinerario dell’umanità e delle sue articolazioni sociali si svolge logicamente da una cultura a una civiltà, da una visione del mondo alla sua incarnazione, quindi da una civiltà a una società civile, qualunque sia la sequenza storica. E ogni conclusione politico-economica è destinata a rivelarsi tragicamente instabile se non rispetta la gerarchia dei valori e, qualora la rispetti, non la circondi dell’opportuna vigilanza.

 Poiché l’Europa cristiana è esistita, la sua rifondazione è – piaccia o meno – una restaurazione, per la quale è indispensabile riandare alle fondamenta; e l’attenzione responsabile al futuro da tutti atteso e auspicato comporta un previo esame accurato del passato, cioè delle fondamenta, non per ritornare al passato in quanto passato – pratica tecnicamente impossibile e quindi evocata con puro intento derisorio oppure con colpevole leggerezza -, ma per riprendere il cammino, che è un procedere – anche se non obbligatoriamente un progredire, come secoli di storia hanno provato -, dal punto in cui la società europea ha sbagliato strada.

Quindi, andare avanti comporta un ritornare al punto in cui ha preso inizio l’errare – cioè il procedere non più alla luce della verità, ma dell’errore – e la deviazione spirituale, morale e culturale si è realizzata in una crisi di civiltà. Allo scopo, la ricognizione della memoria storica deve risalire impietosamente là dove tale inizio ha origine, non semplicemente alla fase precedente quella comunista: perciò non basta risalire all’illuminismo, ma la memoria storica deve spingersi oltre gli ideali a esso propri.

Infatti, il rischio è grande, perché – secondo Gonzague de Reynold – se è vero che “il dramma dell’uomo contemporaneo è […] un fenomeno di stanchezza: abdicazione dell’intelligenza e della volontà. L’omogeneità, che non esisteva più fra l’uomo e la massa, smette di esistere fra gli uomini, e, il che è più grave, all’interno dell’uomo. Ma l’uomo si rivolta segretamente contro le teorie da lui stesso formulate. Ecco perché le modifica incessantemente. Da ciò l’instabilità, l’inquietudine, il malessere che abbiamo constatato nel romanticismo: l’uomo alla ricerca della sua unità perduta, l’uomo alla ricerca della sua anima. “Questa è la grande pena dell’uomo contemporaneo. Questo è il segno che abbiamo cambiato mondo, che l’era luciferina, come la chiama Günther Gründel, che l’era moderna, come la chiamerà indubbiamente la storia, sta per finire” (3)

Perciò – ancora – non basta opporsi dialetticamente all’ultima espressione dell’errore e all’ultima fase dell’errare, non basta rivoltarsi contro le teorie da noi stessi formulate e incessantemente modificarle: la soluzione sta solo nel taglio del nodo gordiano culturale, quindi storico. “Cosa bisogna fare? Ritornare al punto di partenza da cui abbiamo preso la via sbagliata: è quanto non smetteremo di ripetere. Se abbiamo definito il Medioevo l’età degli interessi spirituali e religiosi, non dobbiamo sentire, ancora una volta, e con più forza, le affinità profonde che, sopra l’epoca moderna, ci collegano al Medioevo?”

” Se è vero – ed è vero, evidente – che la nostra unica possibilità di salvezza sta nel risalire la scala, nel risalire ai valori spirituali e alle concezioni religiose, facciamo dunque il nostro ingresso virilmente, consapevolmente, in un nuovo Medioevo. Finalmente, se è vero che il Medioevo aveva il genio della sintesi, il senso dell’unità, è imperiosamente necessario che ci riponiamo alla sua scuola. Con una sola parola, che è tedesca, abbiamo bisogno di umlernen [di rieducazione]. Di ritornare a un unico centro” (4).

Di riprendere il cammino da quell’umanesimo cristiano, che nella sua prima versione storica si è rivelato eccessivamente “umanesimo” e insufficientemente “cristiano” (5), e che quindi abbisogna di una versione aggiornata (6), mai dimentica del fatto che “in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (7).

Note

(1) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura, del 12-1-1990, in L’Osservatore Romano, 13-1-1990. Fino a diversa indicazione tutte le citazioni sono tratte da questo documento.

(2) Cfr. Idem, Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, delle Chiese non cristiane e agli studenti, a Praga, il 21-4-1990, ibid., 23/24-4-1990. Fino a diversa indicazione tutte le citazioni sono tratte da questo documento.
(3) Gonzague de Reynold, L’Europe tragique, Spes, Parigi 1934, p. 463.
(4) Ibid., pp. 463-464.
(5) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 72-73.
(6) Cfr. Victorino Rodríguez y Rodríguez O.P., Temas-clave de humanismo cristiano, Speiro, Madrid 1984.
(7) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n 22; e Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis, del 4-3-1979, nn. 7-17