Le contraddittorie giravolte ideali di un mainstream in cui si può discutere tutto tranne che il dogma della sacralità dell’agenda omosessuale
di Michele Gastaldo
(presidente Agapo –Associazione genitori e amici e persone omosessuali)
Siamo abituati a considerare il livello di attenzione e di tolleranza verso gli omosessuali come un indicatore di democraticità di una società. Ed è normale che sia così. Ma ciò che si segnala nella “conversione” del ministro Carfagna è qualcosa di più. È la vittoria della cultura del gender, il trionfo assoluto dell’idea secondo la quale “l’identità di genere” è risultato esclusivo di una “costruzione sociale”, dell'”educazione etero sessi-sta”.
Ora, sarà anche poco elegante scriverlo, ma come si fa a non notare la crescente attitudine alla censura delle idee altrui che caratterizza il ceto politico fondato sull’identità sessuale? Perché, ad esempio, l’opinione divergente dalle rivendicazioni dell’agenda gay viene quasi sempre qualificata di “pregiudizio omofobo”? «Sono deluso, perché le mie convinzioni personali mi sono costate la possibilità di continuare il mio lavoro per la comunità di Sacramento».
Con queste parole Scott Eckern, direttore artistico del Teatro di Musica della California, conclude la lettera con cui rassegna le sue dimissioni. Un autolicenziamento a cui Eckern è stato costretto perché, nel referendum sui matrimoni gay in California, aveva sostenuto il movimento per la difesa della famiglia tradizionale.
Simili atti di intolleranza non sono fatti isolati. Basti pensare a Donnie McClurkin, cantante gospel che ha accompagnato Obama nella campagna elettorale, finito nel mirino degli attivisti gay d’America perché si dichiara ex gay. O alla famosa hit di Povia, che ha esigito un’apparizione a Sanremo dell’onorevole Grillini, dal momento che neppure una canzonetta si deve permettere di discutere il dogma degli “omosessuali per sempre felici e contenti”.
O a Luca di Tolve (secondo alcuni lo stesso Luca cantato da Povia), che forse può vantare il primato di uomo più insultato d’Italia perché ha abbandonato un ruolo di spicco nell’Arci-gay e si è sposato con una donna.
O agli psicologi come Antonio Cantelmi, perseguitati perché non accettano la teoria (mai dimostrata scientificamente) che “omosessuali si nasce”. E ancora – notizia di questi giorni – si pensi alla campagna di screditamento, intimidazione, atti di vandalismo, che ha accompagnato la tournée italiana dello psichiatra americano Joseph Nicolosi.
Idee come titoli tossici.
Dice l’ex omosessuale Randy Thomas: «Quando negli anni Ottanta collaboravo a promuovere la liberazione dei gay, il nostro unico scopo era di ottenere la tolleranza, mentre l’attivismo politico odierno si è spostato dalla tolleranza alla dominazione e al potere. È sconcertante guardare un gruppo formato da persone che si dichiaravano oppresse diventare esso stesso oppressore».
Si potrebbe obiettare: Scott Eckern ha perso soltanto il lavoro, in fondo Donnie McClurkin non è stato licenziato da Obama, e Povia la sua canzone alla fine l’ha cantata, Luca di Tolve sta con chi vuole e Joseph Nicolosi ha svolto la sua conferenza. Vero. Ma la creazione ad arte di un nemico (l'”omofobo d’opinione”) e la stigmatizzazione del pensiero divergente dalla teoria del gender stanno facendo emergere una pericolosa censura illiberale in un campo così importante per il nostro futuro come quello della questione antropologica e delle biopolitiche.
Siamo ancora in mezzo al guado della crisi causata nella finanza dai cosiddetti titoli tossici. Fino a qualche istante prima che questi ultimi provocassero il crollo dell’economia mondiale, le informazioni finanziarie venivano filtrate e deformate ad arte. Il rischio che corriamo oggi rispetto alla questione antropologica è analogo. C’è un mondo politico, culturale e giornalistico che senza opporre resistenza sdogana la teoria del gender che stravolge la natura dell’uomo.
Si tratta di un processo già accaduto nella storia moderna, per esempio con il razzismo scientifico di Gobineaut e soci, che a partire dalla metà dell’Ottocento estremizzava le differenze tra le razze. Oggi, a distanza di tempo, tutti sappiamo come tale pensiero fosse funzionale al colonialismo e all’imperialismo, ma si dimentica che la maggior parte delle associazioni scientifiche dell’epoca aderivano alle teorie razziste ed eugenetiche con la stessa euforia e acriticità con cui adesso università come la prestigiosa Harvard battezzano la cattedra dedicata al gender e i mezzi di comunicazione di massa celebrano la scientificità dei postulati dell’agenda gay
I segreti intenti dell’Europa
II percorso del pendolo della manipolazione è lo stesso, si trova soltanto alla sua altra estremità. Il razzismo scientifico negava la pari dignità tra gli uomini, il gender nega la “pari dignità nella diversità” tra uomo e donna. Concettualmente richiede che in futuro uomo e donna si conformino su un comune format desessuato, quello codificato nel “Gender Mainstreaming” che già oggi e all’insaputa della maggioranza delle persone costituisce la politica ufficiale dell’Unione Europea. In ossequio alla linea del Gender Mainstreaming, l’Unione Europea ha infatti cominciato a parlare di “ruoli stereotipati” (tipicamente maschili, tipicamente femminili) e a penalizzarli.
In Italia la battaglia del movimento gay e dei gruppi di interesse ad esso collegati, oltre al tema delle unioni civili, si concentra sulla limitazione della libertà di scelta terapeutica da parte degli omosessuali egodistonici, cioè di quelle persone che provano sentimenti indesiderati di attrazione verso lo stesso sesso.
Non solo. Dal momento che certe rivendicazioni del movimento gay non ottengono il consenso della maggioranza in un confronto democratico aperto, esse vengono fatte passare “top-down”, dall’alto verso il basso, attraverso campagne di immagine e leggi apparentemente innocue, o attraverso organismi internazionali del cui lavoro poche persone sono a conoscenza. Al tempo stesso si delegittimano le persone che esprimono dissenso come razziste o omofobe, si tenta di trasformarle in “fuorilegge”, rovesciando il concetto di tolleranza nel suo esatto contrario.