A muovere i fili del vertice un gran burattinaio di nome Cfr
di Maurizio Blondet
Da far appisolare fra sereni sbadigli il migliaio di potenti riuniti che ascoltano, a Davos, i panel le conferenze dei relatori. Un ‘oasi di pace. Un po’ strana, nelle ore in cui Alan Greenspan, il capo della banca centrale Usa, allenta d’urgenza il credito (a rischio di far infuriare l’inflazione) per scongiurare all’economia americana un crac, e Condoleeza Rice ha appena formato un gruppo congiunto fra National Security Council e il Consiglio Economico della Casa Bianca per «occuparsi di crisi economico-finanziarie», evidentemente imminenti.
Non fatevi ingannare. Il tono edulcorato fa parte della «lingua di legno» di quel tipo di consessi iper-capitalisti. L’ha messo in chiaro, a Davos, Jacob Fìenkel capo supremo della Merrill Lynch: «Non parleremo di recessione. Parleremo di rallentamento di una crescita insostenibile». Poiché «crescita sostenibile», nel linguaggio della nomenklatura multinazionale, è un eufemismo per crescita zero, il «rallentamento» di tale crescita è proprio la recessione.
L’adozione di questo fraseggio rosa rivela la dipendenza cultura le del Forum di Davos dal Council on Foreign Relations, fabbrica di tutta questa terminologia tranquillante. E’ stato Zbigniew Brzezinsky. capo del Council negli anni ‘70, a inventare questa lingua, dove gli aggettivi limitano i sostantivi: «crescita sostenibile» per dire meno crescita, «democrazia funzionante per dire meno democrazia («Per funzionare, la democrazia necessita di una certa apatia dell’opinione pubblica», sancì Zbig).
Il Council on Foreign Relations (Cfr) fu creato nei 1918 dalla famiglia Rockefeller per contrastare le tendenze isolazioniste degli americani, contrarie (ovvio) agli interessi delle multinazionali Usa. Organizzato come un altissimo ufficio-studi, semi-segreto, e pagato dal contribuente americano in quanto Fondazione Culturale, il Cfr studia strategie «globali» che invariabilmente la Casa Bianca, poi, adotta come direttive di politica internazionale. Nel ‘39, fu il Cfr a suggerire l’entrata in guerra a degli Stati Uniti.
Nel dopo guerra, lancio il Piano Marshall e la convivenza pacifica con l’Urss (allora il Council era anch’esso pianificatore e statalista, rooseveltiano); oggi preme per la liberalizzazione globale di capitali e merci. Le direttive, studiate dal Cfr in riunioni riservatissime, vanno poi fatte digerire a più vaste platee di politici, imprese e decisori sparsi nel mondo. A questo servono consessi come quello di Davos, aperti (si fa per dire) a un numero più ampio di potenti minori, e persino ai nuovi «imprenditori» russi.
Non stupisce dunque apprendere che a fondare nel ‘71 il World Economy Forum di Davos è Klaus Schwab, poco noto docente di business administration, allievo entusiasta di Jean Jacques Servan-Schreiber. Oggi dimenticato, Servan-Schreiber è stato un futurologo ascoltatissimo. Negli anni ‘60 previde che l’Europa avrebbe dovuto alzare un muro verso l’Est, per impedire ai nostri lavoratori di fuggire nel paradiso sovietico, dove trionfava il pieno impiego e lo sviluppo senza ombre. Tuttavia la sua fama non ne soffrì: Servan-Schreiber, oltre che miliardario, era una creatura di Jean Monnet.
L’uomo che, per conto dei Rockefeller, dei Lazard e delle altre banche americane, distribuiva a suo arbitrio i fondi del Piano Marshall. L’intoccabile che con quei fondi impose l’Unione Europea come la conosciamo oggi, burocratica, sovranazionale e tecnocratica.
C’è bisogno di dire che il Forum di Davos, ente privato, agisce con contributi della Commissione Europea (cioè nostri?). Ne fanno parte come membri un migliaio di grandi imprese, ma nel comitato che conta siedono entità come Nestlé, Time Warner, JP Morgan Chase, Sony e PepsiCo. Oggi, il Forum rende note ai suoi soci minori decisioni prese da tempo dal Cfr.
L’anno scorso, il Cfr ha elaborato un «Progetto per la vulnerabilità finanziaria», ossia un progetto (con simulazioni) per capire come gestire, nell’interesse delle banche, un possibile crack della Borsa americana. Questo, a Davos, viene presentato come «Sostenere la crescita». Quanto al «ridurre le disparità», sono mesi che Flora Lewis, autorità del Cfr, scrive che il liberismo globale deve «ridurre le iniquità» e diventare «più inclusivo», a scanso di rivolte sociali imprevedibili.