di Oscar Sanguinetti
Il 10 dicembre 1948 la neonata Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) promulgava una Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, una sorta di magna charta cui il futuro dell’umanità avrebbe dovuto improntarsi. I trenta articoli del documento intendevano rappresentare ciascuno un «[…] ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni» dell’Organizzazione.
I princìpi della carta, pur indeboliti dal mancato riferimento metafisico, ossia legato alla struttura dell’essere, presentano ancora in larga misura aspetti coincidenti con i princìpi alla base della dottrina etica che la Chiesa cattolica professa.
Tutela dell’onore, famiglia fondata sul matrimonio eterosessuale e riconosciuta “nucleo naturale e fondamentale della società”, diritto di proprietà privata, libertà di religione inclusa la libertà di proselitismo, partecipazione di tutti alla vita politica, diritto a lavorare e di percepire una remunerazione “[…] equa e soddisfacente che assicuri a [all’uomo] e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana”, diritto al riposo, priorità dei genitori “[…] nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”: tutto questo riecheggia quello che è stato chiamato tradizionalmente il “diritto naturale” e oggi è più noto come diritti o libertà “fondamentali”.
La Dichiarazione ha di certo trovato in certa misura attuazione in questo senso nei primi decenni di vita dell’ONU, ma l’impressione è che questa componente da un certo punto in avanti sia rimasta lettera morta. E non, o almeno non solo – come si sente troppo spesso affermare -, per colpa di questo o di quel dittatore o di questo o di quel regime totalitario che ne avrebbero rinnegato in maniere diverse il dettato, ma perché a un dato momento è cambiata l'”ideologia” che sta alla base del documento.
È un fatto che al livello delle organizzazioni mondiali e di molti governi, quantomeno dagli anni 1970 emergono le prime potenti lobby neo-malthusiane sul tipo del Club di Roma che veicolano un diverso modo di pensare. Divengono centrali concetti nuovi come “sviluppo sostenibile”, “nuovo paradigma”, “approccio olistico”, “eguaglianza dei generi”, parità di diritti non più fra sessi ma fra “orientamenti sessuali”.
La svolta si ripercuote nei programmi dei vari ambiti dell’intervento internazionale, dalla sanità all’agricoltura, alla bioetica, ai diritti delle donne, alla politica monetaria e alle diverse organizzazioni – l’ONU, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Fondo Monetario Internazionale, l’UNESCO – vengono fissati obiettivi non più mirati allo sviluppo dell’uomo in generale ma a uno sviluppo “selettivo”, nominalmente coerente con la scarsità – ovviamente pronosticata sempre più vertiginosamente crescente – delle risorse planetarie e con l’inquinamento ambientale. Introduzione di politiche di pianificazione familiare, aborto e sterilizzazione di massa, eutanasia, sviluppo solo per i paesi e le classi di umanità con le carte “in regola”, diritto al lavoro e al giusto compenso subordinati alle esigenze dei mercati, diffusione delle credenze religiose limitata in quanto fattore di squilibri sociali, famiglia posposta alla libertà in campo sessuale.
Per avere un’idea di questo impressionante mutamento di orientamenti e delle sue derive planetarie basta leggere il documentato studio del sociologo belga monsignor Michel Schooyans, edito dalla San Paolo nel 2000 con il titolo: Nuovo disordine mondiale.
Questo nuovo scenario è frutto del caso oppure è qualcosa di fatale oppure si tratta invece di un disegno complessivo e coerente portato avanti da un potente gruppo di pressione che agisce sui vertici mondiali?
È difficile fare in questo campo affermazioni precise. Le spinte verso un’economia globale, verso una cultura e un’etica universali e, infine, verso un governo mondiale, in un “brodo di coltura” New Age sono però un fatto sempre più clamorosamente evidente. Come pure è una realtà che un nuovo ordine mondiale, successivo e alternativo all’Europa cristiana, è stato teorizzato a più riprese dagli utopisti e dai tecnocrati alla Saint-Simon del Sette-Ottocento come pure dai primi circoli imperialistico-industriali inglesi e tedeschi a cavallo fra secolo XIX e XX e che oggi è la ragione sociale di molte fondazioni i cui nomi sono sempre meno ignoti: Bilderberg Club, Commissione Trilaterale, Council on Foreign Relations, Aspen Club sono alcune delle etichette con cui circoli discreti e dai budget sconfinati elaborano piano globali e operano come gruppi di pressione sui governi e sulle organizzazioni internazionali per influenzarne le scelte.
La globalizzazione galoppante odierna, frutto della rivoluzione informatica – ossia di un processo analogo tanto nei fatti quanto nell’ideologia amoralmente “liberistica” che lo accompagna alla rivoluzione industriale del primo Ottocento e dagli effetti altrettanto dirompenti -, ha impresso una prepotente accelerazione a questi progetti, il cui culmine è l’unificazione politica del mondo, auspicata di recente da uno dei più qualificati tecnocrati nostrani, membro del direttivo della Banca Europea, Tommaso Padoa-Schioppa, nel suo “fondo” sul Corriere della Sera del 19 luglio scorso. La Dichiarazione dell’ONU del 1948 diviene in questa prospettiva un freno e una realtà da superare.
Un passaggio importante può essere la promulgazione di una nuova carta dei diritti fondamentali, non più limitata ai diritti dell’uomo ma estesa ai diritti “globali”. È il caso della Carta della Terra, promossa da The Earth Council (Consiglio della Terra) e dalla Croce Verde Internazionale, giunta nel marzo del 2000 alla sua formulazione finale dopo un lungo processo di gestazione.
“Rispetto e attenzione per la comunità della vita”, “Integrità ecologica”, “Giustizia economica e sociale”, “Democrazia, non violenza e pace” sono i titoli delle quattro parti in cui il documento si articola, mentre ecco quali sono i quindici “comandamenti che la Carta prevede: “Rispetta la Terra e la vita, in tutta la sua diversità. Prendi cura della comunità della vita con comprensione, compassione e amore. Costruisci società democratiche che siano giuste, partecipate, sostenibili e pacifiche. Tutela l’abbondanza e la bellezza della Terra per le generazioni presenti e future. Proteggi e restaura l’integrità dei sistemi ecologici terrestri, soprattutto per quanto riguarda la diversità biologica e i processi naturali a sostegno della vita. Impedisci il danno come modo migliore di tutela ambientale e, quando le conoscenze siano limitate, adotta un approccio cautelativo. Adotta sistemi di produzione, consumo e riproduzione capaci di salvaguardare le capacità rigenerative della Terra, i diritti umani e il benessere delle comunità. Sviluppa lo studio della sostenibilità ecologica e promuovi lo scambio libero e l’applicazione diffusa delle conoscenze così acquisite. Sradica la povertà come imperativo etico, sociale e ambientale. Assicurati che le attività economiche e le istituzioni a tutti i livelli promuovano lo sviluppo umano in modo equo e sostenibile. Afferma l’uguaglianza dei generi e l’equità come prerequisiti per lo sviluppo sostenibile e garantisci l’accesso universale all’istruzione, all’assistenza sanitaria e alle opportunità economiche. Sostieni i diritti di tutti, senza alcuna discriminazione, ad un ambiente naturale e sociale capace di sostenere la dignità umana, la salute dei corpi e il benessere dello spirito, soprattutto per quanto riguarda i diritti degli indigeni e delle minoranze. Rafforza le istituzioni democratiche a tutti i livelli e garantisci trasparenza e responsabilità a livello amministrativo, compresa la partecipazione nei processi decisionali e l’accesso alla giustizia. Integra nell’istruzione formale e nella formazione permanente le conoscenze, i valori e le capacità necessarie per un modo di vivere sostenibile. Tratta ogni essere vivente con rispetto e considerazione. Promuovi una cultura della tolleranza, della non violenza e della pace”.
Al di là della imprecisione o della discutibilità dei termini e di una certa confusione di categorie scientifiche e filosofiche, balza evidente il “salto” che il documento fa e, fra l’altro, l’oggettiva consonanza anche letterale del testo con posizioni di molte realtà odierne soprattutto giovanili e del mondo cattolico – di recente ricompattate dalla campagna “No-global” e dalle manifestazioni di Genova del giugno di quest’anno – e non si può di conseguenza non pronosticarne il successo.
Ma bisogna fare attenzione: non si tratta dell’ennesima petizione di principio di realtà più o meno importanti dell’arcipelago ecologista, ma di un vero e proprio programma organico di trasferimento dei diritti dall’essere umano a un livello più basso: quello della più ampia e indifferenziata biosfera. Non è un caso che dietro i promotori della Carta si ritrovino ambienti mondialisti e che il suo “profeta” sia Michail Gorbaciov, già segretario generale del Partito Comunista sovietico, salvato dalla fame dagli ambienti cultural-capitalistici occidentali – gli stessi che favorirono la Rivoluzione d’Ottobre e che andarono in estasi al lancio della perestrojka sovietica – dopo la sua estromissione dal potere in Russia nel 1991 e oggi riciclato come presidente della Croce Verde Internazionale.
Proprio la sua traiettoria personale incarna a buon titolo – monsignor Michel Schooyans lo sottolinea apertamente – quella ennesima metamorfosi “teorica” del marxismo che da materialismo dialettico si fa “eco-marxismo”, un marxismo che non ha più il proletariato industriale come “antitesi” ma la lotta per l’ambiente.
Una tendenza affiorata negli anni del crollo dell’impero sovietico in Europa e che in futuro potrebbe fungere da alternativa e da collante ideologico dei fermenti evocati. Anche per questo, per bloccare l’ulteriore passaggio di degrado nella concezione dell’essere umano, ora come non mai è il momento dunque di difendere e di appellarsi il più spesso possibile alla Dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo del 1948.