Fu probabilmente l’egemonia di una classe politrica cattolica ma «progressista» la causa del prolungarsi in Italia per oltre un decennio della stagione sessantottina e della sua degenerazione terroristica.
di Mario Arturo lannaccone
Lo scoppio semirivoluzionario si verificò in moltissimi Paesi nei primi mesi del 1968. L’interesse per i cortei, le occupazioni, i disordini hanno parzialmente occultato il fatto che in quegli anni venne a maturazione una rivolta culturale della quale le tensioni movimentiste furono un aspetto, tutto sommato, secondario.
Il cosiddetto «’68» insomma fu lo strappo finale di una tensione che durava da molti anni, alimentata da forze culturali interessate a mettere in questione, in forma distruttiva più che costruttiva, la tradizione, la religione, il passato.
In Italia la crisi durò più a lungo, forse perché fu necessario vincere l’attrito di una società civile che s’opponeva con tenacia, con il suo sistema di valori, ai disegni dei «liberatori». Qui le forze dei rivoluzionari culturali – che fossero azionisti, liberali e libertari o che agissero nella forma di cupi partitini di osservanza marxista-leninista — dovettero esercitare una pressione più violenta e duratura.
Il decennio 1968-1978 – cioè la fase movimentista e gli «anni di piombo» – è stato oggetto di numerosi studi mentre molto meno indagata e ancor meno compresa è la fase preparatoria di quella stagione. Ecco perché va considerato come un autentico evento editoriale, per la numerosità degli argomenti che contiene e il numero inconsueto di stimoli che propone, il volume Dal «centrismo» al Sessantotto (Edizioni Ares, Milano 2007, pp. 488, euro 24), curato da Marco Invernizzi e Paolo Martinucci. Il libro contiene i contributi di una quindicina di studiosi che parteciparono a un convegno organizzato presso l’Università Cattolica nell’autunno del 2006 (1).
Rievocando momenti dimenticati, svolte cruciali, personaggi caduti nell’oblio, il libro riesce nell’impresa di offrire un’immagine complessa e inaspettata delle forze che esercitarono influenze (spesso nefaste) sulla società italiana del dopoguerra, nel ventennio che va dal 1948 al 1968, gli anni in cui progredì una rivoluzione silenziosa che preparò l’aggressione alla cultura cristiana del nostro Paese.
Il paradosso del 18 aprile 1948
Nell’intervento di apertura, «II 18 aprile 1948: un voto dimenticato», Invernizzi spiega perché l’inizio della rivoluzione culturale, in Italia, sia stato proprio il 18 aprile del 1948 (2). È un paradosso, visto che in quella data si tennero le elezioni che sancirono la volontà degli italiani di appartenere alla civiltà occidentale, democratica e cattolica. Ma è un paradosso che si spiega con il fatto che il responso delle urne fu letteralmente «dissipato», non tanto dal punto di vista politico, quanto da quello culturale.
La vittoria del cattolicesimo conservatore fu sprecata o dimenticata dai vincitori, mentre i socialcomunisti, sconfitti, riuscirono a monopolizzare i mezzi della comunicazione sociale, dal cinema ai giornali. La spartizione delle aree di influenza non fu frutto del caso ma fu concertata fra le forze politiche. Si trattò comunque di un’«anomalia» che produsse un errore di prospettiva che sarà sfruttato dagli sconfitti per inaugurare una stagione di riforme contrarie allo spirito del 18 aprile e alla decisa scelta di campo che gli italiani avevano fatto in quell’occasione.
Il libro presenta molti argomenti per spiegare come tutto ciò sia potuto accadere, completando il lavoro di chiarificazione iniziato con un altro volume, curato dallo stesso Invernizzi, II 18 aprile 1948. L’anomalia italiana (Ares, 2007). Nel lungo periodo, i socialcomunisti, pur vinti, sono riusciti a costruire un’egemonia culturale che ha falsato la percezione pubblica della vittoria grazie anche all’eclissi volontaria delle forze che avevano contribuito al trionfo dei cattolici nel 1948 (3).
La politica del «centrismo» prima e del centrosinistra poi, la sorda resistenza ai tentativi di formare un partito cattolico di destra (o appoggiato dalla destra dell’Msi) si spiegano con l’egemonia di una classe politica sì democristiana e cattolica ma «progressista», formata alla scuola di Dossetti («adulta» si direbbe oggi) che si considerava sostanzialmente indipendente dal Magistero della Chiesa. Sicché le forze che lavorarono per la trasformazione culturale della società italiana furono libere di agire in profondità, certe di non dover temere un’opposizione più che formale da parte di chi si doveva opporre, politicamente, al loro disegno.
Quando si giungerà allo strappo semirivoluzionario del 1968, la società italiana era già profondamente trasformata rispetto a vent’anni prima; le forze che avrebbero potuto o dovuto resistere culturalmente a quella stagione, in cui tutto fu messo all’incanto, erano ormai incerte sulla direzione da seguire, dilacerate ed esigue (4). Un fattore cruciale, in questo gioco dinamico di spinte secolarizzatrici, fu la scelta di Alcide De Gasperi d’inaugurare la fase del «centrismo» ispirata dalla volontà di allontanare lo spettro di una partecipazione dei comunisti al governo ma anche di svincolare la Democrazia cristiana da influenze della Chiesa «che sarebbero state più pressanti nel caso di un governo composto esclusivamente da democristiani».
Prova ne è il fatto che il monocolore democristiano non fu realizzato, sebbene fosse possibile considerando i numeri elettorali (5). Questa situazione fa sorgere dubbi sull’effettiva volontà, da parte dei governi democristiani impegnati nell’alleanza centrista, d’opporsi alla secolarizzazione del Paese. Si domanda infatti Invernizzi: «II coinvolgimento dei partiti laici costrinse la Dc a una politica culturale meno attenta alla difesa della promozione dei valori cristiani, oppure il partito di ispirazione cristiana non aveva nel suo Dna questa preoccupazione?». Dopo il risultato elettorale del 1948 non era affatto scontata né l’opzione «centrista» e neppure, dopo il 1960, lo spostamento verso il centro-sinistra dell’asse politico italiano.
Di fatto, la dinamica politica consegnò la cultura del Paese alle forze della sinistra socialcomunista e azionista e alla loro azione tenace. La crisi sarebbe stata percepita in tutta la sua acutezza soltanto all’indomani del 1968 quando, non a caso, si arriverà alla fondazione di un giornale cattolico nazionale, L’Avvenire di Milano, dopo una gestazione non facile. Nonostante la presenza di cattolici anche ai massimi livelli nel sistema radiotelevisivo nazionale, il gran numero di giornalisti e dirigenti «progressisti» o «di sinistra» («adulti», appunto) stava già cambiando il clima nella televisione di Stato.
Stravolgimento socio-culturale
Alcuni interventi del volume – in questa sede non possiamo citarli tutti — si concentrano su singoli momenti o aspetti della trasformazione dei comportamenti sociali, chiarendo, per esempio, quale sia il rapporto fra mutamenti del costume e legislazione. Quest’ultima ha un ruolo ben più attivo di quanto vorrebbe una vulgata compiacente, in altre parole non si limita a prendere atto delle trasformazioni avvenute ma le crea e le consolida.
Sul solco di quest’interpretazione si muove il saggio di Roberto Mar-chesini dedicato alla Rivoluzione sessuale («Origini e primi sviluppi della rivoluzione sessuale») e quello di Giuseppe Brienza («Le origini della disgregazione della famiglia italiana negli anni Sessanta»), che ricostruisce le fasi della «rivoluzione anti-familiare» iniziata negli anni 1954-1961, ripresa nel triennio 1967-1969 e conclusa negli anni Settanta con la legge sulla depenalizzazione dell’aborto (1978).
Le modificazioni dei comportamenti furono pertanto anticipate, e accompagnate, dalle iniziative legislative promosse dai socialisti, dalla sinistra democristiana e in seguito dai partiti laici, tra i quali fu determinante – per l’insidiosa tattica che seppe adottare sin dalla sua origine – il Partito radicale italiano di Marco Pannella, espressione di un libertarismo radicale di stampo anglosassone.
Agli inizi degli anni Sessanta inizia anche la problematica elaborazione del dopo-Concilio che la fazione dossettiana ha sempre interpretato come rottura rispetto al passato, e parto d’una Chiesa nuova, discontinua rispetto alla precedente Tradizione. Molti fra i protagonisti delle tensioni pre-rivoluzionarie dei primi anni Sessanta furono sostenitori di questa tesi; ed è evidente che una simile interpretazione del Concilio alimentò il cosiddetto Sessantotto cattolico, dandogli forza e giustificazione.
Del resto – e questo è il tema di un lungo saggio di Maria Bocci: «Un problema d’identità? Alle origini della contestazione studentesca nell’Università Cattolica» – resta ancora da capire perché la contestazione sia effettivamente nata, per lo meno nella sua fase più attiva, proprio all’Università Cattolica di Milano, dove furono studenti di chiara formazione cattolica, come Mario Capanna, a mettersi alla guida del «movimento». La primogenitura dell’università milanese potrebbe spiegarsi con la presenza al suo interno di organismi rappresentativi che dovevano attuare una «democrazia universitaria». Le assemblee perenni abituarono al dibattito e divennero una scuola per la contestazione futura (6).
Nel saggio che chiude il libro, «Luglio 1960, centro-sinistra, Vaticano II: l’Italia verso l’esplosione del Sessantotto», Oscar Sanguinetti ripercorre gli aspetti propriamente culturali delle trasformazioni del ventennio precedente al 1968. Il periodo della contestazione nel suo complesso, scrive Sanguinetti, manifesta una rivoluzione culturale, ovvero una trasformazione che «investe principalmente la cultura, cioè la sfera delle credenze, dei valori, delle mentalità, dei modi di vedere la vita, e, nel contempo, si propaga con modalità di penetrazione capillare, osmotica ambientale, operando sugli individui piuttosto che rivoluzionando la società» (7).
Mentre la rivoluzione politica, in genere d’ispirazione marxista-leninista, fallì i suoi scopi, in Italia come altrove, quella culturale, fondamentalmente libertaria, conseguì un successo plateale nel trasformare il costume e la società. Il successo della rivoluzione culturale degli anni Sessanta fu garantito dal suo messaggio di liberazione ed edonismo, propagandato da cinema, musica, stampa periodica, teatro, arti figurative e televisione (8).
«Il Sessantotto è qualcosa da cui ancora dobbiamo riaverci», affermava Roger Scruton qualche anno fa. Nell’attesa che ci si possa riavere, è necessario mobilitare tutte le forze della comprensione e dell’analisi per indagare che cosa sia realmente successo in quegli anni, perché la natura metafisica di quella rivoluzione non cessa di inquietare gli spiriti più profondi.
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1) Milano e l’Italia dal «centrìsmo» al Sessantotto. La preparazione di una rivoluzione nella cultura e nel costume, 30 novembre – 1 dicembre, a cura dell’Istituto Italiano per l’Insorgenza e per l’Identità Nazionale in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Statale del Sacro Cuore.
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Marco Invernizzi – Paolo Martinucci Dal centrismo al Sessantotto Ed Ares 2007, pp 488